Un dente trattato endodonticamente, a causa di una lesione cariosa o di una qualsiasi patologia degenerativa, può risultare strutturalmente indebolito in quanto perde parte delle sue caratteristiche fisico-chimico-meccaniche. Dalla letteratura sappiamo che se il dente perde due o più pareti, oppure se le pareti residue hanno spessori inferiori a 2 mm, si rende necessario l’utilizzo di un perno-moncone al fine di dare supporto, ritenzione e stabilità al successivo restauro sia protesico che conservativo. Attualmente le due soluzioni più utilizzate sono i perni individualizzati fusi in metallo e i perni prefabbricati in fibre di vetro. Ciascuna delle due tipologie presenta degli indubbi vantaggi, ma anche qualche limite: il nostro lavoro nasce proprio dal desiderio di realizzare un manufatto capace di superare questi limiti unendo i vantaggi propri delle due categorie di perni.
I perni fusi
I perni fusi poiché vengono preparati dal laboratorio che si basa sull’impronta del canale sono perfettamente corrispondenti all’anatomia endodontica di quest’ultimo e quindi si adattano nel miglior modo possibile alla superficie canalare. Un altro indubbio vantaggio proprio di questi perni è il fatto di essere dei perni-moncone, cioè costituiti da un unico blocco derivante da un’unica fusione; appare evidente come un blocco unico e monolitico presenti migliori caratteristiche di resistenza e di ritenzione per il restauro coronale. I limiti di questo tipo di perni, invece, sono da individuare principalmente nel materiale utilizzato per la loro fabbricazione, cioè le leghe metalliche, indubbiamente resistenti ma con un modulo di elasticità molto differente da quello della dentina radicolare; pertanto, utilizzandoli si può esporre la radice a un aumentato rischio di frattura. C’è da aggiungere inoltre che la resa estetica nel restauro finale non è delle migliori poiché per mascherare la presenza del metallo al di sotto del restauro coronale sarà necessario utilizzare per quest’ultimo ceramiche più opache, meno traslucenti e, in definitiva, con una resa del colore meno naturale. Un ultimo limite, proprio dell’impiego della tecnica del perno-moncone fuso, è la necessità di più appuntamenti per arrivare al restauro definitivo.
I perni in fibra di vetro
I perni in fibra di vetro, invece, avendo un modulo di elasticità di 42GPa, quindi più vicino a quello della dentina (Modulo di Young 18,6 GPa), riducono il rischio di frattura della radice. Inoltre possiedono una resa estetica sicuramente migliore: essendo infatti bianchi o traslucenti, si integrano piuttosto bene all’interno del restauro finale. Anche questi perni però non sono esenti da difetti, e il più grande è sicuramente il loro adattamento; infatti, nonostante vengano prodotti perni diversi per conicità, forma e dimensioni, essendo prefabbricati essi non riescono mai ad adattarsi perfettamente alle innumerevoli varianti anatomiche presenti in natura (Figura 1).
Quindi, per cercare di ottenere un adattamento che sia il migliore possibile, ma che comunque non sarà mai perfetto, si può agire in due direzioni, ossia alesando ulteriormente il canale, sacrificando altro tessuto e indebolendo maggiormente la radice del dente, oppure cercando di colmare il gap residuo tra lume canalare e superficie del perno con una quantità maggiore di cemento, incorrendo però in questo modo in una maggior contrazione da polimerizzazione, con un relativo aumento delle possibilità di distacco del perno dalla cavità radicolare. Successivamente, quando si deve ricostruire il moncone, si presenta un’altra criticità di questa tecnica: infatti è necessario utilizzare un altro materiale, di solito composito, con tutti i rischi che questo comporta e cioè una nuova contrazione da polimerizzazione e soprattutto la creazione di una nuova interfaccia basata sull’adesione, ovvero quella tra perno e moncone, in aggiunta a quella già presente costituita da perno e cemento.
Tutto questo si traduce nell’introduzione all’interno del “sistema restauro” di due zone di fragilità, in quanto seppure le tecniche di adesione moderne ormai garantiscano buoni margini di sicurezza si tratta pur sempre di due zone di minor resistenza e potenzialmente soggette a distacco. Infine, il moncone deve essere ricostruito in eccesso e successivamente preparato di nuovo, generando vibrazioni potenzialmente dannose per il sistema adesivo che dalla turbina si diffondono al moncone e al dente. Inoltre, per permettere al laboratorio di realizzare un corretto restauro gli spessori devono essere calcolati dall’odontoiatra direttamente sul paziente e non sul modello in laboratorio; tutto ciò alla fine si traduce in un’ulteriore quantità di tempo necessaria per arrivare al restauro definitivo e soprattutto in una minore precisione di quest’ultimo.
Presentazione del caso
Nel tentativo di superare i limiti di queste due tecniche abbiamo ipotizzato che la soluzione ideale potesse essere un perno individualizzato in fibra di vetro (Figura 2).
Per ottenere tale manufatto è stato necessario fare ricorso a una tecnologia che sta iniziando a essere sempre più presente all’interno dello studio odontoiatrico, ovvero la tecnica di progettazione e modellazione CAD/CAM.
È infatti grazie a questa tecnologia che si può ottenere un’impronta digitale del canale che sarà utilizzata dal fresatore automatizzato per intagliare da un blocchetto ottenuto partendo da cialde di fibra di vetro (Tabella 1) un perno la cui forma è perfettamente corrispondente al lume canalare (Figure 3a-3b).
Bisogna comunque precisare che anche se la tecnologia CAD/CAM è indispensabile per poter realizzare il perno da noi ideato, non è comunque strettamente necessario averla all’interno dello studio; infatti si può tranquillamente prendere l’impronta del canale in modo tradizionale con materiali siliconici, facendola però sviluppare in laboratori attrezzati con tecnologia CAD/CAM, dove scannerizzando il modello in gesso sviluppato dall’impronta in silicone si può ottenere una versione digitale dello stesso da cui creare in seguito il modello digitale e successivamente fisico del perno individualizzato in fibre di vetro.
I vantaggi di un simile manufatto sono dovuti alle proprietà fisiche ed estetiche proprie della fibra di vetro, ma ancora di più alla perfetta corrispondenza tra la forma del perno e l’anatomia del canale radicolare; in questo modo sarà necessario meno materiale per la cementazione, diminuendo così la contrazione da polimerizzazione e quindi il rischio di distacco del perno dalla superficie del canale (Figure 4a-4b).
Una caratteristica ancora più importante del perno così costruito è quella di essere innanzitutto un perno-moncone, con tutti i benefici che questo comporta: trattandosi di un blocco unico monolitico, per di più costituito interamente da un solo materiale resistente ma flessibile, conferirà il massimo rinforzo possibile all’elemento dentario.
Ultimo vantaggio, ma non meno importante, che deriva dall’utilizzo di questo nuovo tipo di perno è il risparmio di tempo in poltrona: infatti, utilizzando la tecnologia CAD/CAM e non essendoci la necessità di ricostruire il moncone con il composito saranno necessari meno passaggi e soprattutto meno appuntamenti per arrivare al restauro definitivo.
Conclusioni
Vogliamo ricordare come la nostra sia una nuova proposta per restaurare un elemento dentario dopo la terapia endodontica e la sua validità dovrà essere valutata attraverso una serie di test sulle proprietà fisiche e meccaniche del perno così ideato, nonché attraverso prove di trazione per valutare l’efficacia dell’adesione tra perno e pareti. In attesa di questo possiamo comunque già prospettare come dall’utilizzo di questo tipo di perno possa derivare un notevole risparmio di tempo, con un vantaggio sia per l’operatore che per il paziente.
Inoltre, sarebbe auspicabile anche un ulteriore passo avanti dal punto di vista del software, che potrebbe offrire la possibilità di creare non solo il perno-moncone individualizzato ma anche la sovrastante corona protesica, il tutto servendosi della stessa impronta digitale, presa successivamente all’adeguata preparazione del dente. Ovviamente tutto questo deve essere subordinato alla possibilità clinica di ottenere un adeguato effetto ferula. Il vantaggio sarebbe innanzitutto quello di un ulteriore risparmio di tempo e di sedute, visto che sarebbe possibile cementare tutto, perno-moncone e corona, nello stesso appuntamento; ma soprattutto si eviterebbero traumi ripetuti al perno dovuti al pull-out conseguente alla rimozione del provvisorio.
Corrispondenza
Angelo Sonaglia
dott.sonaglia@gmail.com
Alessio Tariciotti
alessio.tariciotti@gmail.com
Bibliografia
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Goracci C, Ferrari M. Current perspectives on post systems: a literature review. Aust Dent J 2011 Jun;56 Suppl 1:77-83.
iNTERESSANTE
[…] commercializzazione della professione odontoiatrica ha spinto molti a temere che l’odontoiatria fosse ormai solamente una questione di marketing, spinta al ricavo e al ridurre al minimo il tempo […]
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buona sera, il mio commento è se posso fare una domanda, mi è stato installato un perno di fibra di vetro, e durante l’installazione in perno si è rotto all’interno, che rischio posso correre? sono molto preoccupata, perché sento dei formicolii sotto il mento, e ci rimangono delle cicatrici. che nessun dermatologo mi sanno dire da che dipende. grazie mille se qualcuno mi potrebbe dare un suggerimento. cordiali saluti Antonietta Galante
Si ma non é stata descritta la procedura operativa. Come fanno lo scabber intraorale o quello da banco a leggere correttamente la profondità e l’ampiezza del post space?