Materiali bioattivi: il futuro dell’odontoiatria restaurativa

Lo sviluppo di materiali da restauro sempre più performanti oggi consente di utilizzare prodotti di ultima generazione che coniugano valide proprietà fisico-meccaniche alla capacità di generare reazioni specifiche, utili alla cura e alla prevenzione.

Nei decenni passati i materiali compositi a base resinosa hanno gradualmente sostituito altri materiali, come l’amalgama, imponendosi quale riferimento per la restaurativa grazie alla facilità d’impiego e alle ottime prestazioni meccaniche ed estetiche. Le procedure adesive alla base dell’utilizzo di questi materiali hanno rivoluzionato la routine clinica quotidiana, rendendo ad esempio necessario il corretto isolamento del campo operatorio e modificando gli standard relativi alla realizzazione cavitaria, sempre più conservativa. Nonostante i promettenti e recenti sviluppi, tuttavia, i restauri in materiale composito presentano un non trascurabile rischio di carie secondaria che, se concretizzato, rende necessario un reintervento traducibile in un aumentato costo economico, biologico e di tempo per il paziente. Tale rischio è dovuto alla contrazione volumetrica che il materiale subisce durante la polimerizzazione, pari a circa l’1%-6% [Ferracane JL, 2008; Maske TT, 2019]. Grazie ai progressi della tecnologia, i compositi nanoibridi contemporanei hanno mostrato migliori proprietà fisiche e meccaniche con ridotto stress da contrazione rispetto ai microibridi [Frankenberger R, 2014]. Tuttavia, una rete continua, stabile e tridimensionale di collagene-polimero tra adesivo e substrato dentinale è difficile da raggiungere e la letteratura riporta un tasso di fallimento annuale dell’1%-3% per i restauri posteriori in composito dovuto a fratture e carie secondarie [Ástvaldsdóttir Á, 2015]. Infine, i materiali da restauro in resina composita sembrerebbero ritenere più placca rispetto ad altri materiali e ai tessuti naturali.

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Come nasce il concetto di materiale bioattivo

Tali problemi hanno orientato la ricerca verso lo sviluppo di materiali da restauro in grado di interagire con l’ecosistema della placca e definiti, pertanto, bioattivi. Per rendere bioattivo un materiale ci sono diverse strategie. Sicuramente è possibile incorporare al suo interno principi attivi a effetto biocida o, più frequentemente, batteriostatico, con lo scopo di limitare la patogenicità del biofilm che si sviluppa nell’immediata prossimità del materiale e, di conseguenza, l’insorgenza della carie secondaria. Il principio attivo può essere rilasciato in modo controllato da parte del materiale o essere presente direttamente sulla sua superficie e agire per inibizione da contatto (contact-killing).
Il primo metodo è tutt’altro che innovativo in quanto materiali che presentano la possibilità di incorporare fluoro, rilasciarlo e infine ricaricarsi da fonti esterne come dentifrici o collutori fluorati sono disponibili sin dagli anni ‘70. Parliamo dei cementi vetroionomerici (GIC) che, seppur in grado di prevenire e bloccare la progressione delle lesioni cariose, riconoscono dei limiti nelle ridotte proprietà meccaniche, nella bassa resistenza all’abrasione e nella scarsa resa estetica. Recentemente, tali materiali sono stati riproposti con caratteristiche migliorate quali materiali da restauro ad alta viscosità (HVGIC) e trovano applicazione soprattutto nel restauro di elementi decidui e di lesioni cervicali o radicolari. Negli gli anni ‘80 si è cercato di coniugare i vantaggi biologici dei cementi vetroionomerici con quelli meccanici ed estetici dei materiali compositi, producendo vetroionomeri modificati con aggiunta di resina (RMGIC) oppure compomeri (CP).
Il secondo metodo (contact-killing) prevede che il principio attivo, immobilizzato sulla superficie del dente, esplichi la sua attività antibatterica sui microrganismi durante le fasi di adesione e colonizzazione. Parliamo di molecole saldamente incorporate insieme al riempitivo (nanoparticelle metalliche, chitosano, polietilenimina) o polimerizzate insieme alla matrice resinosa (clorexidina, sali di ammonio quaternario) [Allaker RP, 2010; Brambilla E, 2013; Ionescu AC, 2015; Brambilla E, 2017]. Tuttavia, questa “intrusione” tende a interferire con una corretta polimerizzazione e può quindi comportare una riduzione delle prestazioni biologiche. Inoltre, il contact-killing funziona solo contro le cellule che vengono a stretto contatto con la superficie dei materiali stessi.
Oggi, esistono materiali compositi basati su riempitivi vetroionomerici piuttosto promettenti dal punto di vista microbiologico.

I materiali bioattivi di nuova generazione

L’ultima e più recente strategia è quella di impiegare materiali capaci di replicare alcuni aspetti dei tessuti naturali che vanno a sostituire e di generare particolari risposte nel tessuto dell’ospite, prima fra tutte la remineralizzazione guidata di lesioni cariose volutamente rimosse in modo non completo o di lesioni cariose secondarie iniziali. Materiali basati su tale tecnologia possiedono, inoltre, la capacità tampone tipica dei tessuti duri dentari e quindi potrebbero limitare lo sviluppo di un biofilm patogeno. A differenza delle resine tradizionali, progettate per essere “passive” in modo da risultare biocompatibili e non causare danni e/o lesioni, i nuovi materiali “attivi” giocano un ruolo dinamico all’interno del cavo orale. Sono idrofili e, trasportando acqua, rilasciano e ricaricano minerali essenziali per la costruzione dei denti come calcio, fosfato e fluoruro in risposta ai cambiamenti delle condizioni ambientali. Infatti, questi minerali vengono rilasciati durante i cicli di demineralizzazione a pH più basso, super saturano la saliva e, durante i cicli di remineralizzazione a pH più alto, sono disponibili per precipitare sul dente sotto forma di idrossiapatite o fluorapatite. La promozione del naturale processo di remineralizzazione e la formazione di apatite costituiscono i requisiti essenziali di un materiale bioattivo, cui si aggiungono altre vantaggiose caratteristiche:

  • reintegra strutturalmente la parte del dente compromessa;
  • subisce una minor contrazione volumetrica durante la polimerizzazione;
  • imita le proprietà fisiche e chimiche dei denti;
  • neutralizza le condizioni favorenti la carie dentale e inibisce il biofilm, riducendone la penetrazione negli spazi marginali e prevenendo il rischio di sviluppo e propagazione della carie secondaria;
  • stimola la formazione riparativa di dentina;
  • è tendenzialmente privo di Bisfenolo A (BPA) e derivati.

 

Cosa offre l'attuale mercato

Ecco un breve riassunto dell’offerta di materiali bioattivi attualmente disponile sul mercato.

Resine composite ioniche idrofile duali con una matrice ionica e riempitivi vetroionomerici bioattivi indicate per il restauro di cavità profonde, incrementi di massa (bulk-filling) e build-up di monconi. Questi materiali ci consentono anche di approcciare in modo mini-invasivo carie profonde mediante rimozione selettiva della dentina cariata (completa sulle pareti della cavità, per garantire un sigillo periferico, e parziale sul pavimento cavitario e sulle pareti assiali) allo scopo di preservare la vitalità dell’organo pulpare specialmente nei decidui e in denti permanenti giovani.

  • Cementi vetroionomerici modificati con idrossiapatite, indicati per la ricostruzione di elementi decidui, il restauro temporaneo di elementi permanenti, restauri con tecnica ART (Atraumatic Restorative Treatment).
  • Materiali da sottofondo alternativi ai tradizionali compositi flowable, automordenzanti ed autoadesivi che aderiscono chimicamente alla dentina proteggendola.
  • Materiali resinosi per la cementazione protesica in grado di stimolare il naturale processo di remineralizzazione promuovendo la formazione di cristalli di apatite che sigillano i margini dell’interfaccia dente-restauro. Duali e idrofili, possono essere utilizzati con zirconia, disilicato di litio, metallo e resina composita.
  • Materiali compositi più estetici fotopolimerizzabili contenenti calcio, fosfato e fluoro in una matrice di resina idrofila durevole e resistente all’usura, indicati per tutte le classi di restauro. Nonostante la formulazione fluida, sono discretamente modellabili.
  • Sigillanti idrofili, particolarmente indicati per denti difficilmente isolabili, che garantiscono una adesione efficace in ambiente umido e, grazie al loro contenuto acquoso, trasportano ioni calcio, fosfato e fluoro dall’ambiente orale alla superficie dentaria dove si legano ai minerali del dente formando un complesso resina-idrossiapatite.

Conclusioni

Raggiungere un equilibrio, e quindi un giusto compromesso, tra le proprietà bioattive e le proprietà fisico-meccaniche di questi materiali non è semplice e costituisce tutt’oggi una sfida e un argomento di grande interesse nella ricerca dentale e sui biomateriali. Grandi passi in avanti, tuttavia, sono già stati compiuti; questo rappresenta un successo per il futuro dell’odontoiatria restaurativa, e allo stesso tempo, un grande progresso nella cura del paziente.

 

I compositi resinosi caricati con vetro bioattivo: cosa dice la letteratura

Questa revisione fornisce un’analisi completa circa le caratteristiche dei materiali compositi a base resinosa caricati con vetro bioattivo (Bioactive Glass o BAG). Sebbene il primo BAG sia stato sviluppato più di 40 anni fa [Hench LL, 1971; Wilson J, 1981; Huang W, 2006], solo molto recentemente è stato preso in considerazione il suo potenziale impiego all’interno nei compositi dentali. La ricerca bibliografica, condotta attraverso database online (Web of Science, PubMed e Science Direct), ha permesso di selezionare 48 articoli pubblicati tra gennaio 2011 e gennaio 2022 che valutavano le proprietà fisico-chimiche, le proprietà meccaniche, la capacità di mineralizzazione e le risposte biologiche in vitro dei compositi resinosi caricati con BAG.
I risultati ottenuti circa questi materiali possono essere così riassunti:

  • mostrano un’eccellente capacità di remineralizzazione dei tessuti duri dentali: una volta a contatto con i fluidi orali, gli ioni Na+ e Ca2+ dalla superficie del BAG vengono scambiati con gli ioni H+ dalle soluzioni circostanti producendo uno strato superficiale di gel di silice caricato negativamente che porta alla formazione di HA [Tezvergil-Mutluay A, 2017; Jang JH, 2018];
  • grazie all’aumento del pH derivante dalla dissoluzione dei riempitivi vetrosi e al rilascio di ioni calcio e fosfato, esplicano un’azione antibatterica efficace contro E. coli, S. aureus, S. mutans, P. gingivalis [Allan I, 2001; Hu S, 2009; Bergum S, 2016];
  • sono biocompatibili;
  • possono rilasciare e ricaricare il fluoruro (F-) [Davis HB, 2014];
  • è preferibile utilizzare riempitivi BAG con particelle di piccole dimensioni e che non superino il 20% in peso per garantire appropriate proprietà meccaniche ai compositi [Hosseinalipour M, 2010];
  • quando si aggiungono riempitivi BAG non silanizzati nei compositi in resina, va considerato che potrebbero non legarsi bene alla matrice resinosa, inficiando il grado di conversione (DC), la profondità di polimerizzazione (DoC) e la trasmissione della luce; è stata riportata una correlazione negativa [Par M, 2018] fortemente dipendente dal sistema di resina utilizzato [Par M, 2019; Par M, 2020] nel seguente ordine: bis-EMA > bis-GMA > UDMA.

Gli studi esaminati sono, tuttavia, disomogenei in termini di proprietà del materiale esaminate (una o alcune), resina, tipi e quantità di BAG utilizzati. Pertanto, il confronto tra i risultati ottenuti non è semplice ma ci suggerisce che, pur essendo fondamentale trovare un equilibrio ottimale tra proprietà meccaniche, remineralizzanti ed antibatteriche, i compositi resinosi caricati con BAG possono essere considerati materiali bioattivi a tutti gli effetti grazie all’inibizione del biofilm mostrata in vitro e all’eccellente capacità di mineralizzazione legata al rilascio di ioni, all’aumento del pH e alla formazione di apatite.

Yun J, Burrow MF, Matinlinna JP, Wang Y, Tsoi JKH. A Narrative Review of Bioactive Glass-Loaded Dental Resin Composites. J Funct Biomater. 2022 Oct 28; 13(4):208. doi: 10.3390/jfb13040208

 

Take Home Message

1. Nonostante i recenti sviluppi, i restauri in materiale composito tradizionale sono “passivi”: ritengono placca e presentano un non trascurabile rischio di carie secondaria dovuto alla contrazione volumetrica che subiscono durante la polimerizzazione.

2. I nuovi materiali bioattivi sono “dinamici”: rilasciano ioni calcio, fosfato e fluoro in risposta alle variazioni di pH orale, promuovono la formazione di apatite e inibiscono il biofilm batterico.

 

Materiali bioattivi: il futuro dell’odontoiatria restaurativa - Ultima modifica: 2023-03-27T11:12:39+00:00 da tecnichenuove.dma
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