La commistione di senso tra relazione medico-paziente e consenso informato spesso genera confusione. Le due cose sono strettamente dipendenti, ma è la relazione che contiene il consenso e non viceversa. Per molti quest’ultimo è un documento utile per dimostrare di avere informato il paziente nel rispetto della Legge e... per tutelarsi sotto l’aspetto medico-legale. Tuttavia, l’informazione per il consenso ha come obiettivo primario quello di tutelare l’autonomia e l’autodeterminazione del paziente, di metterlo nelle migliori condizioni di scelta, raccontando tutti gli aspetti e le alternative di un intervento. Se il medico utilizzasse il consenso per cautelarsi, applicherebbe un comportamento di medicina difensiva, contrario al codice deontologico.
Sul consenso informato in Medicina e odontoiatria esistono numerose pubblicazioni: moltissime sono orientate nel valutare le caratteristiche di un documento (che è un’altra variabile rispetto alla informazione e al consenso) che determini la cristallizzazione della relazione medico-paziente utile alla dimostrazione dell’avvenuta informazione nel rispetto della Legge e... per tutela medico legale. Attualmente, il consenso informato non ha più molti segreti; tuttavia, la spinta della narrativa in materia orienta fortemente per l’associazione dell’informazione per il consenso ad altre metodologie relazionali per il miglioramento del rapporto medico-paziente: la disponibilità e l’empatia, la spiegazione del piano di cura e il preventivo, l’analisi dei supporti diagnostici strumentali illustrati (radiografie OPT e Tac), il tempo da dedicare alla relazione, la cura e il prendersi cura del paziente.
Questo perché il grande convitato di pietra che aleggia sulla relazione tra medico e paziente è il timore di rivalse medico legali in caso di brusca risoluzione del contratto di cura: ancora un’altra variabile. Pertanto, il consenso informato in primis, ma anche tutte le altre attività di contorno cui abbiamo accennato (a cui aggiungiamo altre variabili, come la corretta applicazione delle linee guida, la Evidence Based Medicine, le buone pratiche) sono troppo spesso viste in un’ottica di applicazione clinica finalizzata a evitare il rischio di contenzioso.
Quante possibilità di scelta dai al tuo paziente?
Decidi tu cosa è meglio per lui?
Il documento di avvenuta informazione per ottenere il consenso alle cure viene sempre più aggiornato per branca specialistica e materia. In odontoiatria esistono consensi più o meno specifici per conservativa, endodonzia, protesi, chirurgia estrattiva, chirurgia orale, ortodonzia e financo igiene orale e procedure di sbiancamento. Potrete star certi che chiunque descriva la migliore strategia per aggiungere questa o quella voce, questa o quella specifica, lo fa con un più o meno velato riferimento alla tutela medico-legale che, tuttavia, non è assolutamente lo scopo del consenso informato o, per meglio dire, dell’informazione per il consenso.
Scopo primario dell’informazione per il consenso è tutelare l’autonomia e l’autodeterminazione del paziente.
La Legge 219/17 Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento all’art. 8 stabilisce che “il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura”. Dunque la cura e la comunicazione (informazione) e non la tutela professionale dell’operatore sanitario sono al centro dell’attenzione della Legge.
Se il medico utilizzasse il consenso per cautelarsi, applicherebbe un comportamento di medicina difensiva contrario al codice deontologico.
Lo scopo di informare il paziente è quello di raccontargli tutti gli aspetti e le alternative di un intervento, per metterlo nelle migliori condizioni di scelta: se fare o non fare quell’intervento in piena autonomia e autodeterminazione.
Tuttavia, nonostante la medicina e l’odontoiatria diventino sempre più performanti in termini di risultati e nonostante la produzione di Leggi che in tema di responsabilità del Medico (Gelli-Bianco) sono presentate con grande clamore quali rimedi per favorire la deflazione del contenzioso, ebbene: le cause contro il personale sanitario (medici, odontoiatri, infermieri e oggi anche igienisti e fisioterapisti) sono in continuo aumento.
Al miglior successo storico raggiunto dalla medicina si contrappone un fallimento senza precedenti della relazione. Questo nonostante il più elaborato dei consensi: perché il problema dell’impennata dei contenziosi non è il consenso, bensì la relazione.
Una relazione malata conduce al conflitto
In termini di logica legale, il consenso rientra nel contenzioso se non è ottenuto attraverso l’informazione, la più ampia possibile e libera.
«Ma allora perché quando si parla di consenso specialistico il relatore mi suggerisce questa o quella postilla a cui non avevo pensato se non per evitare una causa?»
Non proprio: la causa, anche in assenza di un nostro errore operativo, si può verificare se il paziente obietta che non lo abbiamo informato di quanto poteva accadergli e per questo si ritiene danneggiato. Il relatore lo fa notare per ampliare il nostro punto di vista, per mettere noi dalla parte del paziente. Eppure, nella nostra mente, quando si parla di relazione si identifica il momento del consenso e il fatto di far firmare un documento come se questo fosse la cosa più importante per non finire in una controversia medico-legale: quindi, per non finire in causa, immaginiamo di ben confezionare un consenso così blindiamo la relazione. Bene, questo va senz’altro fatto e ci eviterà una causa di mancata informazione per il consenso. Ma non funzionerà, purtroppo, in caso di errore, che nulla c’entra con l’informazione. Nell’informare il paziente non si fa cenno agli errori, variabili non contemplate da un corretto procedere. Questa è la ragione che determina il contenzioso, indipendentemente dal consenso.
Hai mai pensato che le alternative terapeutiche potrebbero essere, per come la vede il paziente, meglio della tua idea di terapia?
Immaginate un paziente con una parodontite “orizzontale” che porti via, diciamo, 5 mm di osso da canino a canino superiore, dunque in zona estetica. Quando sorride, mostra un rapporto denti-gengive normale, senza spazi interdentali evidenti. Voi diagnosticate. Informate delle varie possibilità e decidete con il paziente per una gengivoplastica, risolvendo il caso. Perfetto: scomparsa clinica della parodontite e guarigione. Poi il paziente torna e vi dice che quando sorride vede spazi interdentali neri esteticamente inaccettabili.Voi dite:
«Sì ma la malattia è arrestata, i denti salvati, l’intervento riuscito». Tuttavia, il paziente vi fa causa perché dice: «Io non sorrido più, non vivo più bene come prima. Se avessi saputo del pessimo risultato estetico non avrei fatto l’intervento».
Non avete tenuto conto dell’autonomia decisionale del paziente. Ecco il punto: il relatore vi suggerisce di informare prima il paziente anche di questo effetto della terapia per consentirgli autonomia e autodeterminazione, che è lo spirito della legge e che il giudice considera prioritario. Anche rispetto al risultato clinico. Voi invece pensate:
«Devo aggiungere questo suggerimento per non farmi fare causa».
Qui sta l’incomprensione: dovete inserire quella informazione per fare l’interesse del paziente (il che vi eviterà una causa da mancata informazione) ma non è questo il motivo per cui date questa informazione. Voi date questa informazione perché spostate il momento decisionale a chi ha il diritto di decidere, ossia al paziente.
«Ma anche se ho fatto tutto giusto? Anche se questa è la migliore cosa da fare per curare la sua malattia? Nel suo interesse?».
Proprio qui sta il vecchio paradigma della medicina che tutti noi dobbiamo imparare a comprendere, per evitarlo: chi decide per l’interesse del paziente? Se dite che è il medico, ragionate ancora con il vecchio paradigma della medicina, il paradigma paternalistico, che non è più accettabile e che è necessario modificare, ancorché radicalmente inserito nella professione. Si rivela in comportamenti del sanitario orientati in maniera erroneamente protettiva nei confronti del paziente. Se foste voi il paziente, non accettereste di essere guidati in percorsi terapeutici non condivisi con il vostro medico. Giusto?
Può poi esistere un comportamento illecito relativamente all’informazione per il consenso.
Si può riassumere in questa frase:
«Se io sanitario descrivo questo effetto collaterale dell’intervento o questa alternativa alla procedura, poi il paziente non farà quello che gli raccomando».
Inutile dire che siamo di fronte a un comportamento incongruo (con i nuovi orientamenti etici e bioetici) censurabile (per i riferimenti deontologici) e illecito (per i riferimenti legislativi). Per cui, se il paziente si rivale su di voi per errore nella procedura, il consulente del paziente ravviserà, oltre all’errore, anche vizio di consenso; oppure, il paziente si rivale su di voi perché reputerà l’informazione ricevuta non completa e il consulente del paziente ravviserà il consenso non valido (vizio di consenso) pur in assenza di errore: avrà tutte le ragioni per farlo e probabilmente vincerà la causa. Ancora una volta, il relatore alla vostra conferenza sul consenso vi suggerirà di illustrare al paziente ogni dettaglio che vi eviti un contenzioso.
Proviamo a chiarire con uno schema
Il Documento: attesta l’avvenuta informazione per ottenere il consenso alla terapia ed è solo uno strumento necessario alla giustificazione attestante un atto oggi regolato per legge; il consenso ottenuto è conseguenza dell’informazione, non della firma del modulo;esistono documenti non validi o francamente falsi.
Informazione e consenso: devono avere caratteristiche precise (personalizzato e specifico, libero, manifesto e consapevole, informato e veritiero, comprensibile, revocabile preventivo e attuale, rispettoso delle alternative ecc.); se soddisfano autonomia e autodeterminazione del paziente, legittimano l’atto terapeutico, ma non sollevano dal contenzioso in caso di errore medico; sollevano dal contenzioso se il consenso scritto è presente, ma solo relativamente al fatto che, se non fosse presente, il medico sarebbe inadempiente in merito all’acquisizione del consenso, poiché non potrebbe dimostrare di averlo ottenuto e di aver fornito l’informazione. Dunque, si esporrebbe giudizialmente per lesioni personali (possibilità penale). L’assicurazione potrebbe non pagare; l’informazione per il consenso è un momento della relazione: non è la relazione; l’informazione corretta fornita dal medico al paziente giustifica il consenso alle cure dato dal paziente al medico; in caso di errore nella condotta, il medico è sempre responsabile in caso di danno accertato;esiste una tipologia di errore senza danno.
Relazione medico-paziente: il paternalismo medico è un tipo di relazione medico-paziente non più accettabile; la relazione medico-paziente tramite una corretta comunicazione-informazione produce autonomia decisionale del paziente e autodeterminazione; il paziente sceglie liberamente e da qui parte la catena informazione-consenso-documento-terapia; la richiesta di un secondo parere da parte del medico può essere vista come una buona pratica professionale, anche se non esente da critiche.
Un consiglio. In italiano, la dizione corretta sarebbe meglio espressa così: informazione per il consenso e l’autodeterminazione. È semplice da ricordare e ci mette sul sentiero per comprenderne in maniera più ampia il senso rispetto alla formula consenso informato, più breve, ma confusiva sugli intenti, poiché pone l’accento sul consenso (ossia sulla parte finale della procedura che consente la terapia) e non sull’informazione che determina il consenso.
Potete indirizzare i vostri quesiti a: caivanolegale@tiscali.it
Sapevi di poter essere condannato anche se la terapia è senza errore?