Abstract
The foundations of the aesthetic restoration: the fiberglass post
A clinical case was examined with the aim of proving the efficacy of fiberglass posts, as an alternative to a restoration with an indirect technique with metal cast pins, to avoid the risk of vertical fractures and safeguard aesthetics.
Materials and methods. The case presents recurring caries in the anterior-superior sector with specific examination of element 2.1. The demineralized part is removed and replaced with direct restorations with chairside adhesive technique with the addition of a fiberglass post to support the reconstruction.
Results. The elements have been reconstructed respecting the spaces obtained after the removal of the old reconstructions, while increasing the resistance to vertical fractures by applying a fiberglass post.
Conclusions. The optimization of dental chair operating times is guaranteed, managing to obtain restorations with bio-mechanical and aesthetic properties that are clearly superior to previous metal restorations, avoiding the risk of root fractures.
È stato preso in esame un caso clinico con lo scopo di comprovare l’efficacia dei perni in fibra di vetro, come alternativa a un restauro con tecnica indiretta con perni fusi in metallo, per evitare il rischio di fratture verticali e salvaguardare l’estetica.
Materiali e metodi. Il caso presenta recidive cariose nel settore antero-superiore con specifica presa in esame dell’elemento 2.1. La parte demineralizzata viene rimossa e sostituita con restauri diretti con tecnica adesiva chairside e l’aggiunta di un perno in fibra di vetro a sostegno della ricostruzione.
Risultati. Gli elementi sono stati ricostruiti rispettando gli spazi ottenuti dopo la rimozione delle vecchie ricostruzioni, incrementando la resistenza a fratture verticali mediante l’apposizione di un perno in fibra di vetro.
Conclusioni. L’ottimizzazione dei tempi operatori alla poltrona è garantita, riuscendo a ottenere dei restauri con proprietà bio-meccaniche ed estetiche nettamente superiori ai precedenti restauri in metallo e scongiurando i rischi di fratture radicolari.
Gianfranco Roselli1
Lorenzo Bruno Trifone2
1Odontoiatra, Specialista in Ortodonzia Consulente presso Ospedale Generale Regionale “F. Miulli”, Acquaviva delle Fonti (Bari)
2Studente, Dental Medicine, Titu Maiorescu University, Bucharest
Con il passare degli anni i trattamenti post-endodontici hanno subito diverse evoluzioni che hanno portato oggi all’utilizzo di tecniche più conservative. In passato si usava parte dello spazio post-endodontico per l’inserimento di perni moncone fusi in metallo sui quali veniva cementato il restauro definitivo.
Questi ultimi, negli anni, hanno dimostrato la loro inaffidabilità legata al ridotto coefficiente elastico e alla loro rigidità. Oggi l’odontoiatria, grazie alle nuove tecnologie e a sistemi di monitoraggio in vitro, esalta l’utilizzo e le caratteristiche di perni che, avendo modulo elastico simile al tessuto da sostituire (la dentina radicolare), non creano compromissioni o fratture a livello radicolare: questi sono i perni in fibra di vetro o carbonio.
I denti trattati endodonticamente risultano essere più soggetti a fallimenti biomeccanici dovuti alla perdita di sostanza dentale a causa di carie pre-esistenti, piuttosto che alla terapia canalare stessa. Inoltre, durante gli anni, i vari sistemi di perni in fibra prefabbricati sono stati usati con successo nei restauri chairside, a discapito di quelli fusi, grazie alla loro velocità di inserimento, alla loro elasticità, scarsa incidenza di fallimento e migliori proprietà estetiche. La resistenza alle fratture è di più grande importanza rispetto alla ritenzione, in quanto i perni in fibra possono essere ri-cementati in caso di dislocazione dal lume canalare1.
La funzione principale di un perno in fibra è l’ancoraggio della ricostruzione post-endodontica e non il rinforzo del complesso radicolare.
È quindi fondamentale tener conto di 4 fattori essenziali.
- Effetto ferula. Effetto meccanico di ritenzione del moncone protesico per proteggerlo dai carichi disclusivi. L’altezza della ferula necessaria per migliorare significativamente la resistenza alla frattura (quando essa è esposta a carico statico) è di 2 mm e 3 mm2,3. Sulla base delle prove degli studi in vitro e in vivo, la presenza della ferula ha un effetto positivo sulla resistenza alla frattura di denti trattati endodonticamente. Ci si potrebbe aspettare una prognosi soddisfacente anche se la dentina cervicale sana fosse in grado di estendersi da 1,5 a 2 mm ricoprendo tutta la circonferenza della struttura residua a livello del colletto. Inoltre, in un periodo di follow-up di 5 anni i denti con una notevole altezza della dentina si sono comportati significativamente meglio dei denti con una minore struttura dentale rimanente4.
- C-factor. È il rapporto tra le superfici della ricostruzione a contatto con il dente e quelle libere. Se il numero di pareti residue è superiore a due, la scelta di cementare o meno un perno è arbitraria; se invece il numero di pareti residue è uguale o inferiore a due, o comunque se il tessuto dentale residuo è scarso, va cementato un perno al fine di ancorare il materiale da ricostruzione (Figura 1)5,6.
- Bio-meccanica del dente. Dopo un trattamento endodontico il dente va valutato in base alla percentuale di struttura residua e alla ridotta idratazione dentinale. Inoltre, va dedicata particolare attenzione al potenziale scarico delle forze masticatorie dopo la scomparsa del sostegno del tetto pulpare in funzione dell’anatomia e delle dimensioni del lume canalare (Figura 2).
- Rischio frattura verticale. Diversi fattori sono stati associati allo sviluppo di fratture radicolari: terapia canalare sovradimensionata, trasmissione della pressione alle pareti canalari durante la fase di strumentazione meccanica e l’otturazione dei canali radicolari, presenza di un perno fuso o vite e sovraccarico occlusale da parte delle forze masticatorie7. Un sistema di perni ideale dovrebbe mostrare una resistenza alla frattura superiore alle forze masticatorie medie. Diversi autori suggeriscono che la lunghezza del perno debba almeno essere uguale all’altezza della corona o due terzi della lunghezza della radice per facilitare la distribuzione delle sollecitazioni e fornire resistenza alle forze occlusali, lasciando almeno
4 mm di guttaperca apicale. Un perno in fibra con un modulo di elasticità simile a quello della dentina, quando sottoposto a una forte compressione, può assorbire meglio le forze concentrate lungo la radice.


I perni in fibra più lunghi, con il loro volume maggiore, hanno la capacità di assorbire una quantità maggiore di stress, dissiparlo e, sfruttando il modulo di elasticità della dentina residua, annullarlo.
I perni rigidi in metallo che hanno un modulo di elasticità elevato non assorbono le forze di compressione verticali o quelle trasmesse obliquamente sul tessuto dentinale (meno rigido in modulo). Questa condizione aumenta il rischio di frattura della radice8.
Materiali e metodi
Si presenta alla nostra attenzione un paziente di anni 20 con la richiesta di una risoluzione estetica del sorriso e di una sostituzione delle vecchie ricostruzioni.
Dall’esame obiettivo, si evince la presenza di recidive cariose diffuse nel settore anteriore. In particolare, viene preso in esame l’elemento dentario 2.1 che, dopo un controllo radiografico, risulta gravemente compromesso a livello coronale.
Dopo un’attenta valutazione del grado di infiltrazione della carie, della presenza di un effetto ferula sufficiente e del rischio di frattura radicolare, viene prospettato al paziente un restauro estetico in composito supportato endodonticamente da un perno in fibra di vetro.
Si procede eseguendo un’anestesia plessica vestibolare con articaina e adrenalina (1:100.000). Completato l’on-set dell’anestetico, si continua con la rimozione del tessuto carioso interprossimale e, tramite una mini-gengivectomia di 1 mm della gengiva libera, viene creato un sito di ritenzione per il gancio della diga.
Concluso il cleaning cavitario, si procede alla rimozione meccanica e termica del materiale da riempimento canalare (Thermafil, Dentsply Sirona) per poter creare un post space adeguato per accogliere il perno in fibra di vetro (Figura 3).

Dopo un’attenta rifinitura dei margini di preparazione, si procede con la prova del gancio (U212, Hu-Friedy, USA) e con l’inserimento della diga in gomma (Nictone, Manufacturea), badando a una corretta invaginazione a livello del colletto.
Viene passato il filo interdentale per l’accurato inserimento del foglio protettivo negli spazi interprossimali, così da non precludere l’accesso alle varie frese. Conclusa la pulizia dei siti di infiltrazione e completata la fase finale (Frese di Largo da 1 a 4) di preparazione del post-space all’interno del canale, si continua con la sabbiatura con ossido di alluminio per irruvidire la superficie cavitaria e si procede con le fasi preparatorie all’inserimento del perno:
- acid etching su smalto (durata 30 sec): consente la creazione di microritenzioni sulla superficie del perimetro di smalto per garantire una migliore e più profonda penetrazione dell’adesivo all’interno del reticolo cristallino;
- detersione con alcol etilico 96% della superficie canalare;
- asciugatura del lume canalare con coni di carta assorbenti (Figure 4a-d).
Durante la prova del perno vengono valutati i seguenti parametri:
- diametro del perno: deve essere adattabile alla larghezza del post-space e non viceversa, poiché deve garantire la funzione di ancoraggio protesico e rinforzo contro gli stress coronali tangenziali9,10. È possibile inserire più perni in modo da ridurre la quantità di cemento, unico materiale che subirà la contrazione da polimerizzazione;
- lunghezza del perno: è importante mantenere un sigillo apicale di guttaperca di almeno 4-5 mm e fare in modo che la profondità non superi, a livello radicolare, i 2/3 del canale11.
Scelto il perno da inserire, si continua con le fasi di preparazione del perno:
- detersione del perno in fibra di vetro con alcol etilico al 96%;
- asciugatura con getto d’aria per eliminare gli eccessi di alcol residuo;
- pretrattamento con silanizzazione (per 60 sec);
- asciugatura finale per eliminare gli eccessi del silano sulla superficie del perno (Figure 5a, b).


In seguito vengono inserite 2 matrici sezionali remiformi in posizione verticale, accompagnate interprossimalmente da un cuneo di legno di balsa (Figure 6a-c). Lo scopo di quest’ultimo è consentire una migliore definizione delle pareti prossimali, che verranno create durante la fase di ricostruzione coronale.
In questo modo, dopo un adeguato controllo delle chiusure dei margini prossimali, sia il lume canalare sia la porzione coronale sono pronti per la cementazione del perno in fibra di vetro e per il build-up. Le fasi di preparazione sono le seguenti:
- posizionamento dell’adesivo self-etch (durata 10 sec) (Figure 7a-d). L’ adesivo applicato (Futurabond M+, Voco, Cuxhaven, Germany) con tecnica self-etch consente di ibridizzare la superficie dentinale e permette alla matrice resinosa dei compositi di aderire alla superficie cavitaria12,13;
- rimozione degli eccessi di adesivo dalle pareti del lume canalare tramite asciugatura con coni di carta;
- attivazione dell’adesivo tramite fotopolimerizzazione (durata 60 sec) (Valo, Ultradent, Usa)14,15.
A questo punto, tramite l’ausilio di un composito nanoibrido ad alta viscosità (Grandioso, Voco, Cuxhaven, Germany), vengono ricostruite le creste marginali prossimali usando come guida le concavità create dalle matrici sezionali (Figure 8a-d)16. La fase di build -up continua con la chiusura del margine periferico contenitivo in modo tale da creare un’“anticipazione” dell’anatomia finale e da garantire stabilità alla sottostruttura residua17.
Dopo la fotopolimerizzazione (durata 60 sec) e l’aumento del grado di conversione del materiale da restauro, si può procedere all’inserimento del perno in fibra nel lume canalare. La cementazione avviene tramite un cemento duale (Rebilda DC, Voco, Cuxhaven, Germany) e puntale endocanalare, che permettono un’iniezione mirata del materiale su tutta la superficie cavitaria e assicurano una polimerizzazione omogenea nell’arco delle 24 ore. Una prima fotopolimerizzazione viene effettuata con l’intento di garantire una stabilità iniziale al perno (durata 60 sec). Un incremento di composito ibrido di colore 03 (Amaris, Voco) viene utilizzato come dentina opaca e polimerizzato per 40 secondi dal lato vestibolare. È poi applicato un ultimo strato di smalto translucente (NT) (Amaris, Voco), modellato, lisciato e polimerizzato per 60 secondi. Il risultato ottenuto con questo sistema nanocomposito semplificato a due strati (Amaris, Voco) mostra l’integrazione naturale della resina composita con la struttura dentale18.
Vengono disegnate sulla superficie vestibolare del 2.1, tramite l’ausilio di una matita HB, delle linee di transizione in modo tale che possano fungere da guida per la creazione dei solchi incisali e per la definizione dei lobi (Figure 9a-d).
Vengono eseguite infine le fasi di tessitura:
- tessitura verticale: ha un aspetto “rugoso” che ha il fine di demarcare le linee dei solchi e di conferire un’adeguata convessità alla zona 1/3 cervicale;
- microtessitura: dopo l’esecuzione di una corretta brillantatura, consente di conferire ai restauri una maggiore luminosità in funzione della riflessione della luce incidente su una geometria irregolare della superficie vestibolare19. Dopo la rimozione della diga, per perfezionare i margini distali e mesiali vengono utilizzati dischetti abrasivi (Sof-Lex, 3M ESPE) per diminuire le porosità laterali che creano ostacolo al passaggio del filo interdentale. Per mettere in risalto le proprietà di lucentezza e tridimensionalità della superficie vestibolare viene utilizzata una sequenza di gommini a coppetta a cui viene aggiunta una pasta diamantata o con granuli di zirconio.
Per concludere la lucidatura, sullo smalto vengono alternati feltrini in nylon accompagnati da una pasta all’ossido di cerio (Figura 10). Dopo la fase di lucidatura finale con gommini in silicone (Dimanto, Voco, Cuxhaven, Germany) si procede con il classico controllo radiografico a garanzia del fatto che la ricostruzione sia avvenuta in condizioni ottimali e senza potenziali siti di infiltrazione (Figura 11)20,21.

Discussione
Nello sfruttare le proprietà ottiche dei perni in fibra di vetro, il clinico mostra al paziente l’efficacia dei sistemi metal free.
Questi ultimi, infatti, non richiedono l’impiego di tecniche indirette e possono essere utilizzati con facilità in qualsiasi momento. La versatilità di questi materiali rende superflue le lunghe attese con risultati duraturi e sicuramente più estetici.
Come mostrato nelle varie fasi procedurali, oltre al netto prima-dopo, il ritrattamento dei vecchi restauri è stato possibile grazie a un completo rispetto dei tessuti endodontici in modo tale da rendere più conservativa l’intera riabilitazione (Figura 12) 22,23.

Conclusioni
In medicina è sempre opportuno, a parità di risultato, scegliere l’opzione terapeutica più semplice e meno invasiva.
Le tecniche adesive in odontoiatria restaurativa hanno agevolato il raggiungimento di tale obiettivo, consentendo al clinico di eliminare solo il tessuto infetto e strutturalmente non più valido e di sostituirlo con un materiale artificiale (resine composite, ceramiche) con caratteristiche ottiche e fisiche del tutto simili ai tessuti dentari (smalto, dentina).
In elementi dentari molto compromessi può essere necessario estendere la superficie di adesione allo spazio endodontico e per questo motivo è consigliato l’inserimento di uno o più perni in fibra, i quali, a differenza dei perni metallici, avendo un modulo di elasticità simile a quello della dentina, permettono una più uniforme distribuzione dei carichi masticatori a livello della struttura dentaria residua.
La tecnica di restauro post-endodontico descritta in questo lavoro risulta essere più semplice rispetto alle precedenti, apportando un notevole vantaggio economico al paziente e ottimizzando i tempi operatori alla poltrona.
Conflitto di interessi. Non esistono conflitti di interesse di ordine economico o di altro tipo sull’articolo presentato.
Ringraziamenti. Gli autori ringraziano l’equipe del Centro odontoiatrico Laforgia (Molfetta, Bari), in cui è stato interamente sviluppato il caso clinico.
Corrispondenza: gianfrancoroselli88@gmail.com
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