• Francesca Zangari1
• Anita Labonia1
1Odontologa forense, Mediatrice ex D.Lgs. n. 28/2010
Riassunto
Il legislatore, ispirato dalla volontà di deflazionare il lavoro dei giudici e di offrire ai cittadini procedure semplici e poco costose per la risoluzione delle liti, ha ricercato strumenti alternativi alla definizione delle controversie. La dimensione dinamica e flessibile della mediazione offre una risposta concreta sia sul piano giudiziario sia su quello degli interessi delle parti in lite, rappresentando un modello di soluzione delle controversie capace di propiziare la nascita di una nuova cultura giuridica. Il procedimento si caratterizza per porre l’attenzione sulla dimensione relazionale ed emotiva, su tutti quegli aspetti soggettivi che nel giudizio ordinario per irrinunciabili esigenze di garanzia e di obiettività non possono essere presi in considerazione. Si tratta, infatti, di uno strumento di risoluzione extragiudiziale della lite, informale ancorché strutturato, autonomo e consensuale, in base al quale una terza persona neutrale assiste le parti in conflitto orientandole verso la ricerca di accordi reciprocamente soddisfacenti in un clima collaborativo che faciliti la loro comunicazione. La mediazione si presenta, pertanto, come una soluzione della controversia particolarmente utile tra coloro che al termine del conflitto dovranno continuare a relazionarsi come nel caso del rapporto medico-paziente, dove il recupero di un atteggiamento meno conflittuale e il ristabilirsi di un clima disteso può consentire al sanitario di continuare a svolgere la propria attività professionale in serenità e al paziente di ritrovare la fiducia nei suoi confronti. Le Autrici, analizzando gli aspetti procedurali della mediazione così come inizialmente statuita dal D.Lgs. n. 28/2010, ne discutono le potenzialità applicative in ambito di responsabilità professionale alla luce della più recente normativa.
Summary
Mediation in professional liability between opportunity and obligation
The legislator, inspired by the wish to deflate the job of the judges and to offer to the citizens simple and few expensive procedures for the resolution of the quarrels, has sought alternative tools to the definition of the controversies.
The size of the dynamic and flexible mediation offers a concrete response in terms of both judicial and the interests of the parties to the dispute, representing a model of dispute resolution that can propitiate the formation of a new legal culture. The procedure is characterized for setting the attention on the relational and emotional dimension, on all that subjective aspects that in the ordinary judgment for indispensable demands of guarantee and objectivity cannot be considered. It is, in fact, a dispute resolution procedure of the court, informal although structured, independent and consensual, in base to which a third neutral person assists the parts in conflict and focuses them on the search of mutually acceptable agreements, in a collaborative environment that facilitates their communication. Mediation is thus given as a solution to the dispute useful particularly between those who will continue to interact at the end of the conflict as in the case of the physician-patient relationship, where the recovery of a less confrontational attitude and the restoration of a relaxed atmosphere can help the sanitary to keep on developing his/her own professional activity in serenity and to the patient to find again the trust in its comparisons. The Authors analyses the procedure of the mediation as originally established by the Legislative Decree n. 28/2010 and discusses its potential applications in the field of professional liability in light of the most recent legislation.
Come tutte le relazioni umane, anche quella tra medico e paziente è complessa, caratterizzata da un delicato intreccio di elementi emotivi e cognitivi, qualche volta difficile, qualche volta addirittura conflittuale.
Attualmente, il rapporto terapeutico tende sempre più a prendere la forma del contenzioso, con gravissimo danno per tutti i soggetti coinvolti se si considera l’inflazione delle cause e delle richieste di risarcimento: da una parte il paziente, che solo in una minoranza dei casi ottiene soddisfazione in sede giudiziaria e, anche allorché venga pronunciata una sentenza favorevole, sconta un senso di delusione e di tradimento non risarcibili; dall’altra il professionista, cui un’eventuale dichiarazione di non colpevolezza non basta a riparare il danno all’immagine e lo stress subito; le compagnie assicuratrici, tendenzialmente in fuga dal settore; le aziende ospedaliere, gravate da costi insostenibili; il sistema salute in generale, offuscato da una crisi di fiducia della collettività verso le sue istituzioni e i soggetti che vi operano.
Per l’elevata incidenza di giudizi risarcitori, l’area sanitaria rappresenta così il banco di prova per verificare la capacità del sistema giudiziario di rispondere in maniera efficiente alla domanda di giustizia: i lunghi tempi dei processi civili, gli elevati costi della difesa e l’alto tasso di litigiosità sono fattori che evidenziano la necessità di interventi volti a promuovere l’introduzione di strumenti di composizione stragiudiziale delle controversie.
La produzione normativa degli ultimi anni da parte del legislatore, anche comunitario, ha interessato fortemente la materia delle soluzioni alternative delle controversie, e in particolare della mediazione, con l’indubbia finalità di abbreviare i tempi del contenzioso.
Il procedimento di mediazione – rapido, economico e flessibile – si presenta come uno strumento altamente vantaggioso per le parti in lite: si tratta di un’alternativa, ma soprattutto di un’occasione di prevenzione del contenzioso, poiché consente a medico e paziente di incontrarsi al di là delle formalità del rito giudiziario, confrontandosi secondo modalità che permettono loro di esprimere gli autentici bisogni, i valori, i punti di vista e i sentimenti che sottendono il conflitto.
Il D.Lgs. n. 28/2010 in tema di mediazione finalizzato alla conciliazione civile e commerciale, attuato con il D.M. n. 180/2010, può considerarsi l’evoluzione dell’esperienza italiana sulla conciliazione stragiudiziale.
La mediazione nelle controversie tra medico e paziente
Negli ultimi anni si è assistito al proliferare delle cause per eventi relativi a responsabilità medica in ogni campo, a cui sono corrisposti risarcimenti del danno sia per via giudiziale che extragiudiziale.
L’incremento delle denunce da parte dei cittadini non è legato a un peggioramento qualitativo dell’assistenza sanitaria, anzi: la scienza medica ha compiuto in questi ultimi anni un’evoluzione davvero sorprendente e le tecnologie e la professionalità degli operatori hanno raggiunto talora livelli di vera eccellenza.
Le cause sono da ricercarsi in motivazioni più profonde, di cui le principali sono rappresentate da una diversa percezione del diritto alla salute da parte dei cittadini, con maggiori aspettative di risultati dalla medicina, e dalle modificazioni relative al concetto di colpa professionale medica in ambito sia giuridico sia forense.
Una denuncia non sempre si accompagna a errore medico: spesso il sentimento di ingiustizia che anima il paziente nasce dalle emozioni e dalla relazione che si è instaurata con il sanitario. Le parti non comunicano più, cristallizzandosi nelle loro posizioni di partenza e nascondendosi dietro a una “questione di principio”. Si apre allora il contenzioso, comunemente risolto mediante la richiesta di un risarcimento del danno attraverso i mezzi giurisdizionali. L’avvio di un contenzioso giudiziario, tuttavia, può non procurare adeguata soddisfazione alle parti, anche quando si concluda con una decisione favorevole.
Quando si considera come dall’esito dell’azione giudiziaria derivino molto spesso delusione e frustrazione a entrambe le parti, anche in virtù dei costi sostenuti, se ne trae l’impressione che il contesto giurisdizionale invece di configurarsi come il luogo in cui il conflitto trova soluzione e le ragioni ricevono soddisfazione si riveli incapace di dare le risposte cercate e diventi, anzi, la sede in cui il conflitto si acutizza ed esaspera. Non bastano, infatti, le decisioni dell’autorità giudiziaria a riportare serenità nel rapporto tra il medico e il paziente, diventate parti contrapposte di un processo e tali rimaste anche dopo la sua conclusione, come non deriva un miglioramento nei rapporti tra la struttura cui il professionista appartiene e la collettività neppure dalla rilevazione di quanto siano rare, rispetto alla mole delle citazioni in giudizio, le pronunce dei tribunali che attribuiscono ai medici una responsabilità per colpa.
Così anche in caso di pronuncia favorevole il paziente può sentirsi incompreso, perché nel corso del processo il suo vissuto non è uscito dal dibattimento: vi è sempre qualcosa che resta irrisolto, ad esempio per l’impossibilità di comunicare e sentire compresi e riconosciuti la frustrazione o il dolore provati. Nel caso di pronuncia sfavorevole, il paziente riceve la ferita di un disconoscimento doppio, del suo sentirsi vittima di un fatto ingiusto e della sua individualità: difficilmente comprende che l’errore non c’è stato o non è colposo o che le conseguenze da lui patite non sono in relazione causale con la condotta del professionista, e continua a sentirsi arrabbiato.
Per il professionista l’esperienza del procedimento può essere altrettanto dolorosa e frustrante: egli può sentirsi vittima di un’accusa spesso percepita come ingiusta e infamante, che lo mette in discussione non solo come professionista, ma anche come persona che sa ascoltare e comprendere i problemi, quindi anche da un punto di vista morale. Il medico sa di non poter contare sulla stessa solidarietà popolare che accompagna il paziente: il paziente-vittima viene ascoltato e compreso dall’opinione sociale, mentre per il medico non esiste la medesima solidarietà, da parte non solo dell’opinione pubblica ma anche dei colleghi. Se una sentenza sfavorevole può ferire e umiliare il professionista, anche una decisione di segno opposto non vale a riscattare adeguatamente l’ombra di sospetto che è stata gettata sulla sua persona e la possibilità che il cittadino gli porga le sue scuse per averlo accusato ingiustamente è assai poco realistica. L’esperienza del contenzioso può così incidere anche nel suo rapporto con gli altri pazienti e in quello con la propria professione.
In tempi relativamente recenti si sono consolidate, nell’esperienza sia nazionale che internazionale, strumenti di risoluzione alternativa delle controversie, note comunemente con l’acronimo ADR (Alternative Dispute Resolution), che mettono in primo piano le parti e la possibilità di giungere a una soluzione per certi versi “negoziata”, al termine di un processo in cui viene stimolato il confronto delle reciproche posizioni. La mediazione è una di queste1-3.
L’ascolto e la comprensione esulano dalla giustizia tradizionale: il diritto è norma, può stabilire se esiste oggettivamente una responsabilità e in che misura, ma non può arrivare, per suo limite ontologico, a riparare quei sentimenti di offesa, quei vissuti che le parti vorrebbero venissero presi in considerazione. La mediazione, invece, indaga, affronta, si occupa non solo dei fatti, ma di tutti gli affetti, cioè di tutte le radici che hanno prodotto quei fatti, con la peculiarità di porre l’attenzione sulla dimensione relazionale ed emotiva. Attraverso un’intensa attività di ascolto e di confronto le parti sono indotte a realizzare come in quel contesto non valga la logica per la quale se uno è nel giusto ciò avviene necessariamente a scapito dell’altro, il quale per definizione sbaglia4,5. Le parti in conflitto, assistite da un terzo neutrale, tentano di giungere da sole a un accordo condiviso e reciprocamente soddisfacente, senza cercare né accettare compromessi che potrebbero farle sentire entrambe, in parte, perdenti. La risoluzione al conflitto può esserci o non esserci, non deve essere trovata obbligatoriamente e le parti possono mettersi in gioco, regolando i rapporti nel modo che ritengono più opportuno, secondo il loro sentire.
Alla fine del percorso di mediazione, un processo informale ancorché strutturato, non vi saranno né vinti né vincitori, ma persone confortate dalla consapevolezza di essere state in grado di gestire una situazione complessa, modificandola, e di avere contribuito a evitare la distruttività del conflitto6,7.
Si tratta, dunque, di una soluzione della controversia molto articolata e complessa, necessaria soprattutto per coloro che al termine del conflitto dovranno continuare a relazionarsi. Ecco allora che il procedimento, istituito in primis per alleggerire l’iter giudiziario, offre al rapporto medico-paziente la possibilità di un confronto su posizioni diverse, e comunque legittime, attorno a un tavolo di mediazione piuttosto che in un’aula di tribunale, istituzionalmente deputata allo scontro e alla rivendicazione di interessi contrapposti. Il mediatore, quindi, non solo e non tanto deve proporre soluzioni razionali per risolvere il conflitto, ma tenta soprattutto di capire gli stati d’animo delle parti secondo l’assioma per cui l’emotività del conflitto implica la possibilità di risolvere il conflitto stesso. L’ascolto del paziente e l’assenza di giudizio sono tra i cardini della mediazione, procedimento che potrebbe ridurre il contenzioso e donare più fiducia nei confronti della professione medica8.
Da questo punto di vista, il risultato positivo della mediazione non è il mero accordo tra le parti in lite, bensì il superamento della controversia attraverso il confronto, in un clima collaborativo che faciliti la comunicazione tra le parti per il recupero di un atteggiamento meno conflittuale, ovvero lo spostare la relazione su basi nuove e il responsabilizzare le parti in merito al conflitto e alla soluzione eventualmente trovata9,10.
La mediazione ex D.Lgs. n. 28/2010
Nell’ambito del riesame della normativa processuale civile, il legislatore, ispirato dalla volontà di deflazionare il lavoro dei giudici e di offrire ai cittadini procedure semplici e poco costose per la risoluzione delle liti, ha ricercato strumenti alternativi alla definizione delle controversie, introducendo un istituto giuridico finalizzato alla deflazione del sistema giudiziario sia in termini di semplificazione dei riti sia di abbreviazione dei tempi della giustizia ordinaria. Il 21 marzo 2010 è entrato in vigore il D.Lgs. n. 28, pubblicato nella G.U. n. 53 del 5 marzo 2010, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione, che inizialmente prevedeva come obbligatorio il procedimento conciliativo per molte delle controversie civili e commerciali, comprese quelle in materia di risarcimento del danno derivante da responsabilità medica. Ciò significa che la procedura costituiva, per certe materie, condizione preliminare alla via giudiziaria, per cui solo qualora la mediazione non fosse andata a buon fine le parti avrebbero potuto rivolgersi al giudice.
Il tentativo obbligatorio di conciliazione era già presente in alcuni settori dell’ordinamento, dove non aveva dato buona prova di sé, soprattutto per il modo in cui il legislatore lo aveva pensato e per l’assenza di una formazione specifica nei soggetti chiamati a prestare la propria opera come conciliatori. Il D.Lgs. n. 28/2010 e i successivi regolamenti attuativi, il D.M. n. 180/2010 e il D.M. n. 145/2011, hanno l’obiettivo di fornire, per la prima volta in Italia, una disciplina organica della mediazione. Nei provvedimenti legislativi precedenti, i termini conciliazione e mediazione sono stati usati come sinonimi, mentre il D.Lgs. n. 28/2010 attua una precisa scelta terminologica: l’art. 1 definisce alla lettera a) la mediazione come “l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti”, e alla lettera c) la conciliazione come “la composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione”. Emerge, dunque, un’importante distinzione: per mediazione si intende l’iter procedurale, ossia il procedimento che conduce alla composizione di una controversia, mentre per conciliazione si intende l’esito del procedimento stesso, ossia la composizione della lite.
La volontà del legislatore di incrementare e promuovere gli strumenti conciliativi emerge dalla disposizione ex art. 11, ai sensi della quale nel caso in cui non si pervenga a un accordo amichevole il mediatore può formulare una proposta di conciliazione, se le parti gliene fanno concorde richiesta, in qualunque momento del procedimento.
Se la mediazione civile non soddisferà una delle parti, questa potrà comunque sempre ricorrere alla giustizia civile ordinaria, solo che nel caso in cui il giudice faccia propria la proposta avanzata dal mediatore, o nella sentenza ne ricalchi la sostanza, chi ha rifiutato in prima istanza la mediazione quale soluzione della vertenza sarà obbligato al pagamento di tutte le spese legali e giudiziarie e di una tassa ulteriore.
La normativa di cui al D.Lgs. n. 28/2010 è modellata sull’utilizzo di una forma di mediazione cosiddetta amministrata, ossia affidata a specifici organismi, pubblici o privati, accreditati dal Ministero della giustizia, che erogano il servizio di mediazione nel rispetto della legge, del regolamento ministeriale e del regolamento interno di cui sono dotati, approvato dallo stesso Ministero, per il tramite di mediatori a loro volta accreditati presso il medesimo Dicastero.
Il provvedimento introduce, così, anche una nuova figura giudiziaria: il mediatore, ovvero “la persona o le persone fisiche che, individualmente o collegialmente, svolgono la mediazione rimanendo prive, in ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo” (art. 1). A tal riguardo è opportuno evidenziare che la mediazione può essere svolta sia da un singolo mediatore, sia da un collegio di mediatori e che il mediatore, rispetto al giudice o all’arbitro, non ha potere di rendere una decisione vincolante per le parti, poiché la conciliazione opera su base volontaria e si conclude a seguito di un accordo delle stesse.
I requisiti indispensabili dell’attività del mediatore, previsti dalla lettera a) dell’art. 1, sono la terzietà e l’imparzialità. Il mediatore è un soggetto terzo indipendente rispetto alle parti e che non deve avere un interesse personale nella controversia, né come rappresentante, consulente, legale o parente. Inoltre, il mediatore deve essere imparziale, nel senso che è tenuto a non privilegiare una parte rispetto all’altra, ovvero non deve avere pregiudizi nei confronti di una delle parti in un momento precedente alla mediazione, né atteggiamenti di parzialità a favore di una parte durante la procedura di mediazione. È, inoltre, tenuto al segreto istruttorio e non potrà in alcun caso, neanche in quello nel quale le parti approdino poi a un tribunale ordinario, rivelare le dichiarazioni rese in sede di mediazione che non potranno comunque essere utilizzate in un eventuale processo ordinario. Le parti stesse si impegnano a mantenere la riservatezza su quanto accade in mediazione.
Il mediatore, privo di poteri decisori, è invece lasciato libero di condurre il procedimento attraverso la scelta delle tecniche di negoziazione e comunicazione ritenute più idonee rispetto alle circostanze del caso, alle caratteristiche e alla volontà delle parti, al tipo di conflitto che le vede coinvolte e alla necessità di trovare una rapida soluzione. Ogni mediatore ha un proprio stile e non vi sono mediazioni che seguano schemi predefiniti: molto dipende dalla preparazione del mediatore, dal suo vissuto professionale e culturale e dalla capacità di adattarsi alle circostanze e alle parti. Nello svolgimento dell’attività il mediatore dovrà comunque tenere sempre presente la cornice normativa prevista dalla legge, dal regolamento dell’organismo e dal codice etico adottato dall’organismo a garanzia di una conduzione della procedura che rispetti i principi di autodeterminazione delle parti, imparzialità, riservatezza e segretezza, neutralità e indipendenza11.
Secondo le norme attuative indicate nel D.M. n. 180/2010 il rilascio dell’abilitazione a operare quale mediatore è consentito ai soggetti che, avendo conseguito almeno una laurea triennale o, in alternativa, essendo iscritti a ordini o collegi professionali, seguano “un percorso formativo, di durata complessiva non inferiore a 50 ore, articolato in corsi teorici e pratici, con un massimo di trenta partecipanti per corso, comprensivi di sessioni simulate partecipate dai discenti, e in una prova finale di valutazione della durata minima di quattro ore” (art. 18). Inoltre, lo stesso art. 18 prosegue disponendo che “i corsi teorici e pratici devono avere per oggetto le seguenti materie: normativa nazionale, comunitaria e internazionale in materia di mediazione e conciliazione, metodologia delle procedure facilitative e aggiudicative di negoziazione e di mediazione e relative tecniche di gestione del conflitto e di interazione comunicativa, anche con riferimento alla mediazione demandata dal giudice, efficacia e operatività delle clausole contrattuali di mediazione e conciliazione, forma, contenuto ed effetti della domanda di mediazione e dell’accordo di conciliazione, compiti e responsabilità del mediatore”. Al corso base di cinquanta ore deve poi far seguito, onde mantenere l’abilitazione, uno specifico percorso formativo di aggiornamento di diciotto ore biennali, articolato in corsi teorici e pratici comprensivi di simulazioni o di sessioni di mediazione. Il legislatore, riconoscendo l’ampio spettro di qualità richieste al mediatore, ha apportato alcune modifiche al decreto attuativo n. 180/2010 attraverso l’approvazione del D.M. n. 145/2011 pubblicato sulla G. U. n. 197 del 25 agosto 2011. In particolare, nel nuovo regolamento è stata aggiunta “la partecipazione, da parte dei mediatori, nel biennio di aggiornamento e in forma di tirocinio assistito, ad almeno venti casi di mediazione svolti presso organismi iscritti” (art. 2); viene, altresì, stabilito che il regolamento degli organismi di mediazione debba prevedere “criteri inderogabili per l’assegnazione degli affari di mediazione predeterminati e rispettosi della specifica competenza professionale del mediatore designato, desunta anche la tipologia di laurea universitaria posseduta” (art. 3).
Il mediatore è dunque un professionista che ha unito alla sua professionalità di base le conoscenze delle tecniche di gestione dei conflitti e di negoziazione nelle controversie, psicologia della comunicazione, prossemica, mimica, tecniche di risoluzione alternative delle controversie, gestione delle emozioni. Il mediatore deve essere anche in grado di capire ciò di cui le parti stanno parlando: la conoscenza nelle materie imposte per legge serve al mediatore non per affrontare il problema da un punto di vista giuridico, come farebbe un legale, ma per applicare efficacemente quelle tecniche di comunicazione che ha acquisito. La mediazione opera in circostanze ben precise e concrete: possedere delle competenze di tipo psicologico e comunicativo non può esimere dall’attrezzarsi delle indispensabili conoscenze specifiche del campo in cui si opera. All’opposto, nessun aspirante mediatore può considerarsi tranquillamente al riparo nella “nicchia” della propria competenza tecnica specifica12,13.
In caso di controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, il legislatore ha comunque previsto la figura di esperti diversi dal mediatore, eventualmente formati alle tecniche di mediazione, secondo quanto statuito dall’art. 8, commi 1 e 4, del D.Lgs. n. 28/2010. Pertanto, se l’organismo di mediazione deve affrontare un procedimento che richiede specifiche competenze tecniche può nominare uno o più mediatori ausiliari, scegliendoli fra gli esperti formati di cui può eventualmente disporre, oppure, se ciò non è possibile, il mediatore potrà avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali14.
In materia medica, per quanto riguarda la mediazione obbligatoria, perplessità sono insorte in merito alla mancanza di un disposto normativo che obblighi il mediatore a estendere la partecipazione al procedimento di mediazione a tutti i soggetti coinvolti nel contenzioso, dai rappresentanti della compagnia assicurativa e della struttura sanitaria, pubblica o privata, a tutta l’équipe medica. In realtà, la mediazione è un istituto concepito sulla base delle esigenze delle parti, che trova nella dinamicità e nella flessibilità della procedura due sue peculiari caratteristiche; pertanto il mediatore si trova già nella possibilità di coinvolgere nel procedimento tutte le parti in conflitto ma, soprattutto, è tenuto a farlo al fine di perseguire l’obiettivo stesso della mediazione, ovvero consentire alle parti in lite il raggiungimento di un accordo condiviso, stabile e reale.
La mediazione e le recenti novità normative
Nel corso dei primi due anni di applicazione del D.Lgs. n.28/2010 diversi giudici (sia in sede civile, sia amministrativa) hanno disposto dei rinvii alla Corte Costituzionale affinché si pronunciasse sulla legittimità della nuova normativa sotto diversi profili. Con sentenza depositata nel dicembre 2012 la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune delle disposizioni del D. Lgs. 28/2010, in particolare l’obbligatorietà del tentativo di mediazione.
Di conseguenza, una volta venuta meno l’obbligatorietà i procedimenti di mediazione hanno subito una drastica battuta di arresto fino a giugno del 2013, quando nel contesto normativo sono state introdotte significative novità.
Con il decreto cosiddetto “del fare” (D.L. 21 giugno 2013, n. 69), convertito con modifiche nella legge n. 98 del 9 agosto 2013, il D.Lgs. n.28/2010 ha subito numerosi cambiamenti. In primo luogo, è stata reintrodotta l’obbligatorietà del tentativo di mediazione, ma con alcune importanti differenze rispetto al sistema precedente: le parti, per soddisfare la condizione di procedibilità, sono tenute a partecipare solo a un primo incontro nel corso del quale il mediatore chiarisce loro la funzione e le modalità della mediazione, dopodiché si dovranno esprimere sulla possibilità di iniziare il relativo procedimento o meno.
La partecipazione all’incontro preliminare è gratuita, a eccezione delle sole spese di avvio qualora le parti non vogliano procedere con la mediazione.
Nell’attuale versione dell’obbligatorietà si specifica che nel suo ambito vi rientrano le controversie relative alla responsabilità sanitaria, oltre a quella medica: tale specificazione è decisamente utile per evitare ogni precedente dubbio sull’eventuale coinvolgimento nelle richieste di risarcimento, oltre che dei medici, anche delle strutture sanitarie. È stato altresì aggiunto un termine di efficacia di quattro anni, allo scadere del quale l’obbligatorietà potrà essere prolungata solo attraverso un nuovo intervento normativo.
Una novità introdotta, di non poca importanza e che interessa particolarmente la mediazione nelle controversie in responsabilità sanitaria, è l’inserimento dell’art.696 bis del Codice di Procedura Civile, per cui se si va nella direzione di un accertamento tecnico preventivo in funzione di conciliazione della lite non c’è la necessità di tentare prima la mediazione presso un organismo; in tal caso si pone tuttavia il problema sul tipo di caratteristiche che dovrebbe avere il CTU (Consulente Tecnico d’Ufficio), il quale pur svolgendo una funzione di mediazione non ha i requisiti formativi del mediatore.
Di enorme rilievo è anche il ruolo che è stato attribuito agli avvocati in mediazione. Si è infatti previsto che le parti, nelle materie nelle quali la mediazione è condizione di procedibilità, siano tenute a servirsi dell’assistenza di un avvocato sia nell’esperimento del tentativo di mediazione che nel corso dell’eventuale procedimento di mediazione.
Altrettanto importante è il ruolo del legale nella fase finale dell’incontro di mediazione: l’accordo sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che li assistono costituisce direttamente titolo esecutivo e titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale , senza necessità di omologa da parte del presidente del Tribunale, ferma restando la possibilità, già prevista precedentemente, di chiederne l’omologa al Tribunale a prescindere dalla firma degli avvocati sul verbale di accordo o qualora l’accordo non sia sottoscritto dai legali che assistono le parti.
Inoltre, gli avvocati sono oggi “mediatori di diritto”, con la precisazione che, con il richiamo che nel decreto viene fatto all’art. 55 bis del loro codice deontologico, restano fermi gli obblighi di formazione e aggiornamento per gli avvocati iscritti nell’elenco degli organismi di mediazione. Anche ai giudici è stato conferito un ruolo ancora più rilevante per agevolare lo sviluppo della mediazione: il magistrato, nel corso del giudizio, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione, che così costituisce condizione di procedibilità del giudizio stesso.
Ulteriori novità sono costituite dall’individuazione di un criterio di competenza territoriale per la scelta dell’organismo presso il quale depositare la domanda di mediazione, che dovrà essere quello del giudice territorialmente competente per la controversia, e dalla riduzione della durata del procedimento di mediazione da quattro a tre mesi. Tuttavia, ci si domanda se la competenza territoriale possa essere derogabile e quali siano le conseguenze quando le parti non sono assistite dai propri avvocati, oppure venga scelto un organismo che non ha competenze in base alle norme del decreto.
Sostanzialmente l’orientamento dovrebbe essere quello che, qualora l’accordo sia raggiunto, la mancata assistenza degli avvocati e il mancato rispetto della competenza territoriale non avranno nessuna ricaduta; al contrario, se l’accordo non viene raggiunto si tenderà a ritenere non assolta la condizione di procedibilità se la domanda di mediazione è stata presentata presso un organismo non competente e se il procedimento di mediazione si è svolto senza l’assistenza dell’avvocato.
Conclusioni
Il costante aumento del numero di contenziosi per errori professionali pone l’accento sulla trasformazione del rapporto fiduciario medico-paziente in un rapporto conflittuale, che mette in difficoltà
entrambe le parti: il medico si trova a dover sostenere per anni il peso del sospetto di colpevolezza e il paziente deve attenderne altrettanti per un risarcimento che rappresenta il più delle volte un riconoscimento tardivo.
Spesso i conflitti generano da motivazioni profonde, legate a offese morali che non riescono a trovare un riconoscimento nella pena inflitta o nel risarcimento pecuniario.
Largamente usata nei paesi anglosassoni, la mediazione ha un’elevata possibilità di successo, potendo fornire una risoluzione extragiudiziale conveniente e rapida delle controversie attraverso procedure concepite in base alle esigenze delle parti. Essa si pone come uno strumento concreto, strutturato e flessibile, mirato e celere, basato su comprensione, rispetto reciproco e costruttiva creatività.
Grazie al ruolo centrale che viene dato al dialogo e al confronto, la soluzione del conflitto sarà il risultato di un processo dinamico e partecipativo tra i soggetti coinvolti, che restano i veri protagonisti della mediazione, e l’accordo raggiunto non potrà che essere più efficace dal momento che agisce sulle motivazioni profonde.
Ecco allora che la responsabilità medica si candida come materia dove maggiormente possono emergere i benefici della mediazione prima di arrivare davanti al giudice, grazie all’opportunità di incontrarsi in un campo neutro e in condizioni di assoluta parità, in un ambiente protetto e sicuro, dove la riservatezza è garantita per tutta la durata del procedimento.
Attraverso il confronto dei rispettivi vissuti, il ripristino della relazione tra medico e paziente diventa possibile poiché ascoltati dal mediatore essi possono esprimersi come persone, e come tali riconoscersi.
Ciò costituisce certamente un risparmio dei costi, non soltanto economici, elevatissimi del contenzioso, ma ha anche un valore sociale ed etico non suscettibile di valutazione economica, qualora dal confronto ne derivi la ricostruzione del legame di fiducia nel rapporto di cura.
Corrispondenza
Francesca Zangari
Via Fusconi 60
48121 Ravenna
f.zangari@tin.it
Bibliografia
1. Minarini A, D’Errico A. I sistemi alternativi di risoluzione delle controversie. Tagete 2005;4:1-8.
2. Pinchi V. ADR Alternative dispute resolution: esperienze a confronto Riv It Med Leg 2009;3:579-610.
3. Stefanelli S. Gestione stragiudiziale della lite. Conciliazione e mediazione. Tagete 2008;1:1-26.
4. Castagnola A, Delfini F. La mediazione nelle controversie civili e commerciali. Padova: Cedam, 2010.
5. Martello M. L’arte del mediatore dei conflitti. Protocolli senza regole: una formazione possibile. Milano: Giuffrè, 2008.
6. De Palo G, D’Urso L, Golann D. Manuale del conciliatore professionista. Milano: Giuffrè, 2004.
7. Schneebalg A, Galton E. Avvocati e consulenti delle parti in conciliazione. Manuale per organizzare e condurre gli incontri. Milano: Giuffrè, 2005.
8. Zangari F. La mediazione come possibile alternativa al contenzioso (Mediation as a possible alternative to litigation). Dental Cadmos 2011;79(6):365-70.
9. Quattrocolo A. Mediare i conflitti nella relazione medico-paziente. Quaderni di mediazione. Anno I, Vol. n.3. Cagliari: Puntodifuga, 2006.
10. Bruni A, Sitzia M. Mediazioni civili e commerciali. 30 casi di successo. Sant’Arcangelo di Romagna (RN): Maggioli, 2011.
11. Savio D, Campanati E, Orlandi F. Tecniche e procedure della nuova mediazione. Sant’Arcangelo di Romagna (RN): Maggioli, 2011.
12. Cosi G, Romualdi G. La mediazione dei conflitti. Teoria e pratica dei metodi ADR. Torino: Giappichelli, 2010.
13. Zangari F. Profili di responsabilità nell’attività di mediatore ai sensi del D.Lgs. n. 28/2010. Minerva Medicolegale 2012;132(1):43-59.
14. Julini M. La mediazione nelle controversie civili e commerciali. Forlì: Esperta, 2010.