Implantologia, le complicanze nel tempo

Usura implantare e protesica

Leonardo Vanden Bogaerde

Anche secondo Leonardo Vanden Bogaerde, medico odontoiatra (dopo essersi occupato di parodontologia e di implantologia osteointegrata, dal 1993 svolge attività di ricerca clinica sulla rigenerazione tissutale guidata in campo parodontale e implantologico, e più recentemente sulle problematiche relative al carico immediato su impianti), avverte dai pericoli che piani di trattamento non corretti possono generare. “La diffusione dell’implantologia in Italia è legata ad un livello di competenza e preparazione degli operatori mediamente elevato”, dice, “tra i migliori in Europa.

Pubblicità

A prova di ciò è la notevole produzione scientifica internazionale dei ricercatori italiani. Questa diffusione massiva ha però comportato talvolta un uso eccessivo dell’implantologia: denti recuperabili mediante tecniche convenzionali sono spesso estratti e sostituiti con impianti. All’esordio dell’osteointegrazione si pensava che gli impianti durassero in eterno, oggi, a distanza di trent’anni, ci accorgiamo che non è così: sempre più frequentemente osserviamo fenomeni infiammatori perimplantari, anche gravi. E’ necessario quindi una maggiore prudenza nella formulazione del piano di trattamento con impianti ed è fortemente auspicabile un ritorno all’esercizio della parodontologia per una maggiore conservazione degli elementi naturali”.

Un impianto, nel corso della sua vita, ricorda Vanden Bogaerde, può andare incontro ad eventi “fisiologici”, come il rimodellamento dell’osso marginale, un fenomeno significativo nei primi 6-12 mesi con perdita di 0.5-1mm. Questo riassorbimento tende a stabilizzarsi nel periodo successivo. L’odontoiatra ha la responsabilità di conoscere questo fenomeno, posizionando l’impianto ad una corretta profondità nel tessuto osseo: si può parlare di parziale insuccesso solo quando alla recessione ossea si accompagni una recessione gengivale, con conseguente danno estetico. “Tuttavia”, precisa l’odontoiatra, “sono le mucositi (infiammazione senza perdita di osso) e le perimplantiti (infiammazione con perdita di osso) i veri eventi “patologici” che possono colpire un impianto.

La mucosite si manifesta come una gengivite marginale, con arrossamento, gonfiore, sanguinamento. La perimplantite ha invece un aspetto più severo con suppurazione, aumento della profondità del sondaggio, sanguinamento profuso e consistente perdita di osso marginale, in genere circumferenziale. Le perimplantiti si presentano dopo alcuni anni dall’installazione degli impianti. Vi è un numero limitato di dati relativo alla frequenza delle perimplantiti. In una recente review è stato osservato che, in un periodo di osservazione di 9-11 anni, tra il 28% e il 56% dei pazienti mostravano segni di perimplantite”. Un dato che deve fare seriamente riflettere, insieme a quest’altro: dopo un decennio si possono verificare fenomeni di usura delle componenti implantari e protesiche. “La più temibile complicanza”, spiega Vanden Bogaerde, “è la frattura dell’impianto, evento raro e comunque quasi sempre ascrivibile ad uno scorretto carico occlusale.

Altrimenti possiamo avere danni di vario genere e a vari livelli delle componenti protesiche, come la fratture delle viti di fissaggio delle protesi o di fissaggio degli abutments. La frequenza di questi episodi dipende dal corretto posizionamento degli impianti e dalla corretta realizzazione della protesi, nonché dalla qualità intrinseca delle componenti implantari e protesiche”. Per contrastare i rischi di complicanze, è bene effettuare controlli periodi a tutti i pazienti. “I pazienti standard (privi di particolari patologie concomitanti)”, dice, “possono essere controllati una volta all’anno con visita e radiografie; i pazienti a rischio (affetti da malattia parodontale o malattie sistemiche, i fumatori e i forti bruxisti ), a causa della maggiore suscettibilità a fenomeni infiammatori perimplantari, devono essere controllati più frequentemente, con sedute ogni 6 o 3 mesi.

Il mio orientamento attuale è di escludere dal trattamento implantare pazienti forti fumatori con concomitante parodontite diffusa. Oggi possediamo uno strumento molto importante per il monitoraggio delle condizioni implantari durante tutta la vita dell’impianto stesso: questo strumento è la Frequenza di Risonanza. Esso ci consente, in qualsiasi momento, di misurare la stabilità implantare registrandola con un valore numerico, permettendo un intervento tempestivo nel caso in cui la stabilità dovesse diminuire significativamente”.

Oltre alla prevenzione attuata attraverso il controllo periodico, è possibile contrastare la nascita delle complicanze, sostiene Vanden Bogaerde, con una nuova mentalità, anzi appoggiandosi alla mentalità di un tempo. “E’necessario ritornare a riconsiderare il paziente non in modo settoriale ma nella sua interezza”, conclude l’odontoiatra, “quindi non limitandosi ad un’analisi della sola zona da trattare, ma considerando le condizioni generali del paziente, la sua compliance, la presenza di malattia parodontale, l’abitudine al fumo e il bruxismo”.

Attenti all’odontoiatria low cost

C’è unanimità tra gli esperti di implantologia nel prendere le distanze dalla cosiddetta odontoiatria low-cost. Prestazioni ad un costo eccessivamente basso possono incidere sulla qualità dei materiali e sui tempi delle prestazioni, quindi sulla qualità complessiva delle cure, sino a divenire concausa di patologie iatrogene dovute a trattamenti incongrui, di cui già c’è traccia in molti pazienti. Tuttavia, la riduzione dei prezzi delle prestazioni e dunque dei costi di gestione dello studio resta uno dei principali obiettivi verso cui l’attuale odontoiatria dovrà indirizzarsi.

Implantologia, le complicanze nel tempo - Ultima modifica: 2013-07-01T14:06:10+00:00 da Redazione

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome