Il talento del dolore

Specializzato in ortognatodonzia e psicoterapia, Domenico Viscuso ha acquisito due master universitari di II livello in Medicina del sonno e Fisiopatologia, diagnosi e cura delle cefalee e un perfezionamento universitario in sindromi respiratorie. È docente presso la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Cagliari.

Medico chirurgo, odontoiatria e psicoterapeuta. Specializzato in ortognatodonzia e psicoterapia. Ha acquisito due master universitari di II livello in Medicina del sonno e Fisiopatologia, diagnosi e cura delle cefalee e un perfezionamento universitario in sindromi respiratorie, Domenico Viscuso è oggi docente a contratto presso la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Cagliari. Proprio in collaborazione con l’ateneo sardo ha contribuito a dare vita a un’indagine statistica sulla conoscenza, da parte dei dentisti, del dolore persistente dento-alveolare (DPDA). È la cosiddetta “sindrome del dente fantasma” e, per quanto mostri una prevalenza tutt’altro che trascurabile nel quadro delle nevralgie facciali o trigeminali atipiche, individuarla e orientarne la cura non è facile. E questo anche perché a dispetto di una legge - la 38/2010 - che riconosce il dolore come malattia a sé stante e nonostante che Paesi come gli Stati Uniti vi dedichino percorsi formativi specialistici mirati, la formazione degli odontoiatri in merito è a tutt’oggi, in Italia, largamente perfettibile. L’intervista che segue al professor Viscuso affronta anche il tema specifico del DPDA, prendendo però le mosse dal concetto stesso di dolore oro-facciale e dalle sue numerose e differenti manifestazioni.

Di che cosa parliamo quando ci riferiamo al dolore oro-facciale in generale?

È fra le tipologie di dolore dalla maggiore prevalenza presso la popolazione e questo vale a maggior ragione per quel dolore dento-alveolare che è solitamente gestito con successo dalla terapia odontoiatrica.
La categoria include poi le cefalee di tipo primario, emicraniche o tensive: non sono di diretta competenza dell’odontoiatra, naturalmente, ma a questi è riconosciuta la capacità di identificarle in modo da poter indirizzare il paziente ai centri specializzati per il loro trattamento. Alla chirurgia o alla terapia del dolore vanno orientati altresì i soggetti, soprattutto anziani, che soffrono della devastante nevralgia trigeminale essenziale o di quelle lesioni - spesso iatrogene - della branca del trigemino che dà origine alle nevralgie traumatiche. Riguardano poi per l’80% circa la popolazione femminile i dolori muscolo scheletrici secondari al disordine temporo-mandibolare che interessano, appunto, le regioni della articolazione temporo-mandibolare e i muscoli della masticazione. Sono provocati da traumi acuti per incidente o problematiche croniche riconducibili al bruxismo e cioè a un’iperattività dei muscoli masticatori che presenta aspetti tali da poter essere definita a pieno titolo un disturbo psico-sociale. Altro grande capitolo è quello delle nevralgie trigeminali atipiche.

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Di queste fa parte la “sindrome del dente fantasma”: vuole illustrarcene le caratteristiche?

I pazienti lo descrivono come riferito a un dente: in realtà si tratta di un dolore di origine neuropatica e pertanto del tutto indipendente dai denti o dalla struttura alveolare, bensì piuttosto dal sistema di conduzione nervosa del dolore. Viene trattato, innanzitutto, farmacologicamente. Il problema è però che sovente i dentisti non sono in grado di identificarlo e interpretarlo in maniera corretta e per questo motivo intraprendono, per esempio, cure basate sulla devitalizzazione. Se il dolore poi, come accade, dovesse persistere, allora si procede con un’apicectomia e infine con la avulsione dell’elemento dentario. Ciononostante, la nevralgia continua a permanere. Dal punto di vista della fisiopatologia il fenomeno è assimilabile e sovrapponibile, di qui la definizione, al dolore da arto fantasma che interviene, invece, in concomitanza o a seguito dell’amputazione di un arto.

È oggetto di una ricerca con l’Università di Cagliari: quali, sino a oggi, i risultati acquisiti?

È ancora troppo presto per pronunciarsi ma delle circa 500 risposte valide al questionario ottenute (alla metà di ottobre, NdR) si evidenzia una conoscenza veramente scarsa della tematica: in molti hanno affermato di essersi imbattuti in casi del genere, ma senza riconoscerli. Secondo i dati epidemiologici il DPDA interessa il 6% circa dei pazienti sottoposti a terapia endodontica. Non è una percentuale irrilevante. L’indagine in corso serve a capire a che punto si sia arrivati con le conoscenze in merito e definire, alla luce di tutto questo, quali competenze la patologia richieda.

E, a suo avviso, che genere di percorsi è necessario o consigliabile implementare?

Gestisco un corso universitario in gnatologia e dolore oro-facciale, ma il tema dovrebbe essere un cardine, uno standard dei corsi di laurea. L’approccio è nuovo, sebbene la legge 38/2010 riconosca il dolore, sollecitando la necessità di formazione anche da parte degli odontoiatri, come malattia a sé. Negli USA il dolore oro-facciale è affrontato come una specialità sui generis. Altrove, pur se in assenza di corsi universitari mirati, i centri specializzati non mancano e trattano anche sindromi dolorose che impattano la qualità di vita come quella della bocca urente. Questa colpisce in maggior misura, con bruciori, donne in menopausa ma è influenzato da elementi quali l’età, la xerostomia, lo stress. I dentisti devono saperla riconoscere, per indirizzare i pazienti ai centri di terapia del dolore.

Lei è anche psicoterapeuta: quanto pesano i fattori psicosomatici sullo sviluppo del dolore?

Il dolore cronico è strettamente correlato all’ansia o alla depressione ma viene trattato solitamente, in assenza di specialità, dai neurologi o anestesisti che sono poi, de facto, i medici del dolore.
C’è un vuoto, sotto questo aspetto, che andrebbe colmato al più presto col dialogo e la cooperazione multidisciplinare, poiché il dolore è di per sé malattia, come detto, che tende ad automantenersi. La terapia cognitivo-comportamentale, con la sua capacità di distogliere l’attenzione del paziente dal fenomeno-dolore e di modificarne gli aspetti comportamentali, è importante ed efficace, come mostrano ancora una volta esperienze degli USA. Il dolore oro-facciale, in particolare, ha risvolti psicosociali negativi di grande importanza, messi in evidenza da studi degli scorsi decenni. Influisce sulle relazioni sociali, più di altre tipologie di dolore, e va gestito per evitare che possa crearsi un irreversibile circolo vizioso di depressione.

Il dolore oro-facciale è in aumento, specie presso i più giovani?

Senza dubbio, e specialmente là dove sussistono problematiche relazionali familiari o dell’apprendimento. Crescono i casi di bruxismo fra i bambini e l’uso dei device, le criticità dei rapporti sociali che pandemia e smart working hanno acuito, sono fra le concause di tale aumento. La ripetitività delle mansioni, la postura, gli orari di lavoro estesi a dismisura sono tutti eventi che, sommati al complessivo rarefarsi delle relazioni personali, concorrono a ingigantire il problema.

Il talento del dolore - Ultima modifica: 2021-11-12T12:05:31+00:00 da monicarecagni
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