Il sodalizio indissolubile

Interessati da un igienista che si è visto negare dal Comune competente l’autorizzazione ad avviare un proprio autonomo ed esclusivo studio professionale senza la compresenza di un odontoiatra, il TAR prima e il Consiglio di Stato poi non hanno potuto che confermare la decisione comunale, pur stemperando la rigidità della posizione con il riconoscimento dell’importanza che anche questa neonata professione ha nella tutela della salute dei pazienti.

Il caso

“…Il Dott. M., professionista laureato in igiene dentale, ha chiesto al TAR Emilia Romagna l’annullamento del provvedimento del 5/7/2013 con il quale il SUAP dell’Unione comunale Reno-Galliera ha respinto la sua istanza di autorizzazione per l’apertura, in proprio, di uno studio di igienista dentale, nonché la nota di pari data con la quale l’Azienda USL di Bologna – Dipartimento di Prevenzione Sanità Pubblica – ha espresso parere negativo riguardo al rilascio dell’autorizzazione, ritenendo che “l’attività di cui trattasi debba espletarsi all’interno di strutture pubbliche o private autorizzate in base all’art. 8 ter del D.Lgs. 502/92”.

Pubblicità

Il Tribunale amministrativo regionale respingeva il ricorso osservando che l’art. 8 ter, comma 2 del D. Lgs. n. 502 del 1992 – secondo il quale “l’autorizzazione all’esercizio di attività sanitarie è, altresì, richiesta per gli studi odontoiatrici, medici e di altre professioni sanitarie, ove attrezzati per erogare prestazioni di chirurgia ambulatoriale, ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente, individuati ai sensi del comma 4” – non definisce in alcun modo quali siano in concreto, oltre alle attività svolte dagli odontoiatri e dai medici, le altre attività sanitarie da considerarsi potenzialmente pericolose per la sicurezza dei pazienti, limitandosi essa a stabilire che – in presenza di tali attività (evidentemente in altra sede normativa individuate) – l’operatore sanitario che intende esercitarla debba munirsi della relativa autorizzazione amministrativa.

Ha conseguentemente concluso nel senso che “la concreta inclusione di tale attività sanitaria tra quelle ritenute potenzialmente pericolose va individuata nel più volte citato D.M. n. 137 del 1999, che, appunto, in ragione di tale riconoscimento, non ne consente l’esercizio mediante l’apertura di uno studio autonomo, ma solo se l’igienista dentale operi all’interno di una struttura in collaborazione con un odontoiatra; ciò all’evidente scopo – sempre in coerenza con tale tipologia di normativa disciplinante le professioni sanitarie – di tutelare la salute dei pazienti nel caso di possibili complicazioni derivanti dallo svolgimento di alcune attività da parte dell’igienista dentale mediante la necessaria presenza, nella stessa “struttura sanitaria” di un odontoiatra”.

Interessato della questione il Consiglio di Stato, così si esprimeva: “… Il punto che qui è in discussione non è la natura autonoma del lavoro svolto o, detto altrimenti, il possibile esercizio libero professionale dell’attività di igienista dentale, ma l’autonomia funzionale e operativa nei rapporti con il paziente, rispetto a un’altra figura professionale: l’odontoiatra. Riprendendo la norma già citata, deve porsi l’accento sulla circostanza che l’igienista dentale svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie, pubbliche o private, in regime di dipendenza o libero-professionale, “su indicazione degli odontoiatri e dei medici chirurghi legittimati all’esercizio della odontoiatria”.

Il concetto di integrazione funzionale

L’ordinamento oggi si è evoluto, affrancando l’igienista dal rapporto di dipendenza e conferendo al medesimo autonomia professionale nelle attività di sua stretta pertinenza (ablazione del tartaro, levigatura delle radici, ecc.), ma non sino al punto da elidere la necessità della compresenza, all’interno della medesima struttura o studio professionale, dell’odontoiatra. Occorre infatti distinguere, nell’ambito del D.M. 15/03/1999, i profili legati ai rapporti, in termini lavoristici, tra le due figure professionali (non più intesi in senso gerarchico, ma di collaborazione libero professionale), da quelli prefigurati dal legislatore in chiave funzionale rispetto all’esigenza di garantire un adeguato livello di sicurezza del paziente.

La fonte citata, non a caso, ribadisce il concetto di necessarietà delle “indicazioni” da parte dell’odontoiatra, sia nella descrizione generale del profilo professionale (comma 1 dell’art. 1), sia al comma 3, laddove è nuovamente disciplinato il rapporto tra le due figure, questa volta all’interno della struttura sanitaria (o studio professionale secondo quanto già chiarito) ove l’igienista svolge la sua professione. Le su richiamate “indicazioni”, specificamente ribadite dal comma 3 della disposizione cit. anche nel contesto della descrizione del luogo ove l’attività deve necessariamente svolgersi, evocano una contestualità spaziale, presupponendo la compresenza delle due figure professionali, bensì affrancate da qualsivoglia rapporto di dipendenza ma ancora avvinte da un legame funzionale e operativo, a prevenzione dei rischi che l’attività può generare al paziente. Il vecchio e superato concetto di “stretta dipendenza” dell’igienista dall’odontoiatra all’interno della struttura o dello studio, è oggi evoluto in quello di necessaria integrazione funzionale, nell’ottica, impregiudicata e permanente, della prevenzione dei rischi legati alla natura e peculiarità dell’attività condotta nel cavo orale, non esente da profili di pericolosità, di modo che alla previa valutazione della necessità o opportunità del trattamento, poi concretamente demandato all’igienista dentale nell’esercizio della propria autonomia professionale, si associ una pronta disponibilità dell’odontoiatra a intervenire, ove quanto indicato si risolva, in executivis, in un rischio per la salute del paziente.

“Nel respingere un’altra volta le istanze del professionista, il Consiglio di Stato pare quasi chiedergli scusa per non aver potuto e voluto decidere altrimenti”

Il Collegio è consapevole che la latitudine del concetto di “indicazione” dell’odontoiatra, nei termini sopra tracciati, non è appagante nella misura in cui finisce per scaricarsi indirettamente, come del resto è successo nella vicenda de qua, sulla concreta possibilità che l’igienista dentale possa concretamente essere autorizzato ad avviare un proprio autonomo ed esclusivo studio professionale prescindendo dalla compresenza di un odontoiatra. Il tenore della disposizione, evidentemente posta a tutela della salute dei pazienti, non consente però margini esegetici tali da giungere a conclusioni diverse, la cui percorribilità non può che rimettersi alla ponderata scelta del legislatore, ove l’evoluzione e l’approfondimento dei percorsi formativi, l’affinamento e la sicurezza delle tecniche di intervento ne lascino intravedere i presupposti secondo la migliore scienza ed esperienza”.
Nel respingere un’altra volta le istanze del professionista, pare quasi – Il Consiglio - chiedergli scusa per non aver potuto/voluto decidere altrimenti.

Il sogno infranto

Non disperi comunque l’igienista, siamo in un Paese in costante giuridica evoluzione e ciò che è assolutamente vietato oggi potrà ben essere lecito in un prossimo futuro.
Per l’intanto si rassegni a condividere spazio e terapie, come spiegato dal Consiglio, senza complessi di inferiorità nei confronti di chi, come lui, ha comunque sempre e solo a cuore la salute e i sorrisi dei propri pazienti.

Il sodalizio indissolubile - Ultima modifica: 2020-11-19T17:18:10+00:00 da monicarecagni
Il sodalizio indissolubile - Ultima modifica: 2020-11-19T17:18:10+00:00 da monicarecagni

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome