Il prezzo della libertà

Fortunatamente per l’odontoiatra protagonista del caso che sarà di seguito illustrato, il Giudice monocratico del Tribunale di Napoli nella sua integerrima autorevolezza si è mostrato benevolo e, soprattutto, di buon senso nel pieno rispetto della normativa vigente ma anche della professionalità di un inconsapevole dentista.

Il caso

A seguito di un normale controllo dei Carabinieri dei NAS di Napoli, il Dottor V.R. era destinatario di un decreto penale di condanna per essere stato trovato senza alcuna autorizzazione a svolgere la propria attività sanitaria presso una struttura polispecialistica del territorio. L’opposizione a tale decreto incardinava un processo a suo carico, con tanto di attività dibattimentale e istruttoria che si concludeva a suo favore con l’assoluzione, seppur con l’applicazione della formula dubitativa, ai sensi dell’art. 530 c.p.p.

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La decisione

Si accennava al buon senso poc’anzi per come il Giudice ha affrontato la problematica. Si legge: “ln punto di fatto è pacifico e non contestato che il Dott. V.R. esercitava l’attività di odontoiatra in Napoli, all’interno del centro polispecialistico “XXX”, gestito dalla società XY sas. L’attività odontoiatrica veniva effettivamente e regolarmente esercitata in loco, come risulta sia dalla deposizione del teste di PG che dalla numerosa documentazione acquisita; la circostanza del resto non è smentita dall’imputato nel memoriale di cui s’è detto, che in quanto atto proveniente dall’imputato può essere utilizzato per la decisione, pur se questi non ha inteso sottoporsi all’esame.

In ogni caso, pur se non erano presenti pazienti nel momento del sopralluogo di NAS dei Carabinieri presso il centro medico in parola, non v’è dubbio che il Dott. V.R. effettivamente operasse in quel centro, nei pressi del quale, sulla pubblica via, v’era un regolare cartello pubblicitario con il suo nome e l’indicazione della sua attività di medico odontoiatra; v’erano inoltre fatture e altra documentazione relativa al contratto stipulato dal Dott. V.R. con una ditta specializzata incaricata del ritiro dei rifiuti sanitari; sempre all’interno dello studio, poi, v’erano e vennero sequestrate venti ricevute rilasciate dal Dott. V.R. e a sua firma a favore di altrettanti suoi pazienti per prestazioni odontoiatriche a essi praticate dal medico nel periodo ivi specificato.

Ulteriore documentazione, pure acquisita dai Carabinieri e prodotta al dibattimento dal PM, conferma questa conclusione (contratti per la fornitura di materiale odontoiatrico e per la prestazione di servizi connessi con la professione medico/dentistica del Dott. V.R., tutti a suo nome). Risulta inoltre che vi fosse un contratto di cessione di una stanza per l’attività odontoiatrica al Dott. V.R. da parte del titolare del centro polispecialistico XXX, ma non era presente e non venne esibita dal primo alcuna autorizzazione sanitaria a sé rilasciata per l’esercizio dell’attività odontoiatrica a suo nome, risultandone solo una per il centro XXX a nome del Dott. B.C.. Ciò posto, può affermarsi pacificamente sia che il Dott. V.R. esercitasse ivi l’attività odontoiatrica a proprio nome, sia che egli non fosse e non fosse mai stato dipendente del centro XXX, con il quale in pratica aveva solo un contratto di locazione a uso professionale di una stanza, con la fornitura di alcuni servizi comuni all’interno della struttura polispecialistica.

Dal punto di vista economico, però, il Dott. V.R. era senza dubbio del tutto indipendente dal centro XXX, di cui non era – e a quanto pare non era mai stato – dipendente. Orbene, l’assunto della pubblica accusa, cui s’è richiamato il PM nella discussione, appare corretto, dovendosi concludere, nei limiti del sindacato rimesso al giudice penale, che il professionista che all’interno di un centro polispecialistico operi privatamente, senza un rapporto di lavoro dipendente dalla struttura che gli fornisce invece solo un supporto logistico, debba essere munito di una propria autorizzazione sanitaria; diversamente, invece, un’unica autorizzazione a nome del titolare centro polispecialistico potrebbe essere valida e sufficiente a garantire gli scopi di controllo sulla salubrità della struttura e la rispondenza ai requisiti igienico-sanitari di legge, laddove detto titolare unico sia anche effettivamente il datore di lavoro dei vari medici che ivi operino alle sue dipendenze e possa dunque vigilare sul rispetto delle prescrizioni di legge da parte di costoro, sulla gestione delle diverse sale in cui essi operano e su tutto quanto è collegato all’autorizzazione sanitaria in parola. Questo con tutta evidenza non è il caso del Dott. V.R. e del Dott. B.; il primo, infatti, non essendo dipendente del centro XXX, non era in alcun modo sottoposto al controllo e alla vigilanza del secondo, non doveva seguirne le prescrizioni e le indicazioni né in materia sanitaria né in altro settore, essendo del tutto svincolato dal centro per quanto concerne le modalità di svolgimento della sua attività odontoiatrica.

Ciò integra dunque il presupposto oggettivo della condotta in contestazione. La situazione di fatto sopra descritta, tuttavia, impone di verificare con particolare attenzione la sussistenza anche dell’elemento psicologico del reato ascritto dalla Procura al Dott. V.R.: come gli stessi testi di PG hanno dimostrato sia con le proprie deposizioni che con gli inequivocabili documenti allegati, infatti, il Dott. V.R. esercitava in maniera del tutto palese e dichiarata la propria attività autonoma professionale nel centro XXX, senza farsi schermo di quest’ultimo e senza dover occultare né dal punto di vista fiscale, né per altro verso, la propria attività medica ivi eseguita; proprio le fatture e gli altri contratti a suo nome lo dimostrano.

È innegabile che la spiegazione fornita da V.R. e supportata dai documenti prodotti abbia una sua logica; il professionista, in pratica, si diceva convinto che, operando egli in un centro polispecialistico, fosse necessaria una sola autorizzazione sanitaria per l’intera struttura a nome del direttore sanitario di quest’ultima e che questa fosse l’indicazione ricevuta espressamente dall’ASL competente. Orbene tale secondo profilo, che sarebbe stato invero tranciante, non è stato dimostrato in alcun modo dall’imputato, il quale non ha prodotto alcun documento proveniente dall’ASL, né ha addotto alcuna prova anche testimoniale o di altro tipo a sostegno delle ragioni del proprio convincimento; non è dunque ben chiaro se effettivamente egli si rivolse all’ASL e al Comune per il rilascio dell’autorizzazione a suo nome e ne ottenne un diniego perché avrebbe dovuto esistere un’unica autorizzazione per tutta la struttura a nome del legale rappresentante del centro XXX, come sostiene l’imputato nella sua memoria. In ogni caso la documentazione prodotta dalla difesa, in uno con quella acquisita dalla stessa PG consente di accedere almeno in parte a questa ricostruzione.

La difesa infatti ha prodotto un precedente decreto sindacale di autorizzazione sanitaria risalente all’anno 2000, in cui v è espresso riferimento sia - punto n.1 - al laboratorio polispecialistico di base, a nome di tale Dottoressa D.G.S., relativa alla struttura della XXX S.a.s., sia - punto n. 2 - all’ambulatorio odontoiatrico sotto la vigilanza del Dott. V.R.

Da ciò si desume che da principio, nell’anno 2000, questi era munito di autorizzazione sanitaria a suo nome per lo svolgimento dell’attività odontoiatrica all’interno del centro XXX. Di seguito, il nuovo decreto prodotto dalla difesa, risalente all’anno 2008, fa riferimento complessivamente a tutte le attività esercitate all’interno del centro XXX, nelle sue articolazioni private interne, ivi compresa l’odontoiatria e contiene un’unica autorizzazione a nome e in capo al Dott. B., di cui s’è detto. I successivi decreti prodotti dalla difesa danno poi conto del succedersi come direttore tecnico sanitario del centro XXX di altri due medici ivi indicati. Nella situazione descritta, in sintesi, non è irragionevole che il Dott. V.R. abbia erroneamente interpretato la normativa di settore e abbia omesso di premunirsi di nuova autorizzazione a suo nome, presumibilmente venendo realmente a ciò indotto dai funzionari dell’ASL, i quali evidentemente non sapevano della sua autonomia lavorativa, gestionale, finanziaria e fiscale rispetto al centro XXX. Questa errata interpretazione della disciplina di settore, tuttavia, non può essere ascritta a colpa del Dott. V.R., odierno imputato, poiché la prova a riguardo è risultata carente. La documentazione prodotta dallo stesso ufficio del PM, infatti, dimostra chiaramente che il medico odierno imputato non avesse adottato alcuno stratagemma per occultare la sua attività e per non apparirne come titolare; parimenti non risulta che il suo ambulatorio fosse carente sotto il profilo sanitario, così che non può dirsi, con la certezza necessaria per una pronuncia penale di condanna, che egli avesse dolosamente o colposamente omesso di procurarsi il rinnovo dell’autorizzazione sanitaria a suo nome, che, per quanto risulta dagli atti, egli avrebbe potuto agevolmente ottenere. In ciò dunque si ravvisa l’assenza di prova circa l’elemento psicologico, essendo del tutto evidente che anche per le contravvenzioni come quella che qui ricorre sia necessario dimostrare che l’imputato abbia agito quanto meno per colpa, ovvero una forma di negligenza o imperizia nel valutare la norma di settore e nel violarla. In assenza di tale prova non resta che mandare assolto l’imputato dalla contravvenzione a lui ascritta perché il fatto non costituisce reato, con la formula dubitativa di cui al capoverso dell’art. 530 c.p.p.”.

L’onestà che traspare

Manca quindi l’elemento psicologico, la volontà di delinquere: il nostro protagonista viveva nella consapevolezza di fare bene perché documenti e tecnici lo avevano portato a questa convinzione. Augurando agli onesti di incontrare sempre Giudici illuminati, e confidando sempre nella Giustizia, non posso esimermi dal consigliare ai lettori di fare comunque un controllo della documentazione autorizzativa della propria attività professionale.

Non si sa mai…

Mariateresa Garbarini
Il prezzo della libertà - Ultima modifica: 2019-04-19T10:19:47+00:00 da monicarecagni
Il prezzo della libertà - Ultima modifica: 2019-04-19T10:19:47+00:00 da monicarecagni

1 commento

  1. Le leggi italiane vanno sempre contro chi lavora in proprio, Arcore più umiliante nel caso di un professionista della salute che ha una grossa responsabilità e un carico di steess inimmaginabile da chi controlla che segue solo un ordine assurda creata da qualcuno che sicuramente non ha neanche studiato

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