Registrare il marchio che caratterizza la propria attività e i propri servizi offre molti vantaggi, tra cui la possibilità di affittarlo, darlo in licenza oppure cederlo, oltre a tutelarsi da eventuali usi impropri da parte della concorrenza. Ma prima di decidere è bene tener presente costi e aspetti fiscali.

Grazie a Internet e ai social network, è possibile osservare le modalità di comunicazione pubblica adottate da un grande numero di dentisti. In particolare, si può notare una sempre maggiore diffusione dell’uso di particolari segni grafici, abbinati o meno a slogan, il cui scopo è quello, in breve, di rappresentare un’immagine differenziante che possa caratterizzare in modo positivo l’offerta di prestazioni cui sono abbinati: in pratica, a distinguersi dalla concorrenza.

Si tratta dei “marchi”, il cui uso si vede esteso anche alla modulistica professionale, all’interno e all’esterno dei locali dello studio oppure sulle divise di lavoro. In sintesi, un marchio è principalmente un segno grafico, detto anche logotipo (o, in breve, logo), figura che di solito si usa per rappresentare un prodotto, un servizio, un’azienda, un’organizzazione, un gruppo musicale o altro ancora. Tipicamente, è costituito da un simbolo o da una rappresentazione grafica di un nome o di un acronimo, o anche di una denominazione sociale, che si avvale di un lettering originale, cioè di caratteri appositamente disegnati. Al marchio può essere associato uno slogan, detto payoff, per rimarcare meglio l’identità oppure lo scopo del prodotto o del servizio offerto. Un marchio può essere anche un colore, un suono e anche un nome a dominio di un sito Internet. Lo scopo del marchio è quello di trasmettere un’immagine positiva, rendendo quindi chi lo guarda ben disposto verso le offerte che quel logo contraddistingue, in modo da generare più richieste da parte della clientela attuale e potenziale.

Segno distintivo unico

L’utilizzo di un marchio grafico si può vedere come un primo innesto, nella pratica professionale, di elementi tipici dell’azienda, essendo uno dei suoi tre principali “segni distintivi” assieme alla ditta e all’insegna. I tre segni distintivi permettono ai consumatori di identificare e distinguere, nell’ordine: i prodotti o servizi dei vari imprenditori, gli imprenditori fra loro, le loro aziende intese come i luoghi in cui si esercita l’attività. Oltre al marchio, di cui si è detto, un dentista potrebbe decidere di presentarsi al pubblico anche con una denominazione di fantasia, similmente alla ditta dell’imprenditore, ad esempio “Al Beldente”, così come di caratterizzare l’esterno dei locali in cui opera con una insegna similare. Nel tempo, l’impiego di tali segni potrebbe rappresentare un’immagine, per il pubblico, che si distacca dalla persona del dentista e che si associa invece alla sua organizzazione, riuscendo a fungere in tal modo da autonomo collettore di clientela. È la cosiddetta “spersonalizzazione”, quel fattore, tipicamente aziendale, per cui la clientela, o comunque parte di essa, si rivolge a un certo studio non per il suo titolare, ma per la sua organizzazione. In questi casi, l’utilizzo dei segni distintivi acquista un autonomo valore economico, in quanto essi stessi divengono capaci, se utilizzati, di fare acquisire domanda di cure anche se il titolare dello studio non fosse più chi l’avesse fondato e avesse creato quei segni distintivi. Al ricorrere di questa situazione, si pone il problema della protezione legale dei segni distintivi da utilizzi non autorizzati da parte di terzi.
Dopo che il dentista ha investito tempo e denaro per qualche anno in un marchio, cosa succede se qualcuno, magari un concorrente della sua zona, ne utilizzasse uno simile per contraddistinguere un’attività odontoiatrica, sfruttando il fatto che quel segno è già conosciuto dal pubblico? Si tratta di eventualità possibili e spiacevoli, oltre che dannose rispetto all’investimento effettuato, che conviene cercare di prevenire o, qualora si verificassero, di impedire. Purtroppo, il dentista professionista non gode di alcuna tutela specifica per i propri “segni distintivi”. Le tutele legali sono previste solo se il marchio è impiegato nell’ambito di un’attività d’impresa. Al dentista non resta dunque, nel caso si ritenesse danneggiato da un comportamento imitativo del suo marchio (o della sua ditta e insegna) da parte di un terzo, che imboccare la via del risarcimento generico previsto dall’art. 2043 del Codice civile, caricandosi così l’onere di provare, oltre al danno patito, il nesso causale fra quello e il comportamento denunciato.

Contraddistinguersi ha un prezzo

Per il solo marchio, il dentista professionista può, in qualità di privato cittadino, ottenere una tutela. Una legge speciale regola infatti il procedimento, facoltativo, con cui si può ottenere protezione contro utilizzi non autorizzati: è la procedura di “registrazione” prevista dal “Codice della proprietà industriale”, cioè dal decreto legislativo 10 febbraio 2005 nr. 30. Chi non è imprenditore, in base alla citata normativa ha il diritto di registrare un suo marchio, ma non per sfruttarlo in proprio, bensì per cederlo o, più frequentemente, darlo in licenza a un’impresa che lo utilizzerà per contrassegnare i propri prodotti o servizi, contando sui positivi effetti dell’abbinamento di quel marchio sulle vendite. La procedura di registrazione del marchio ha un suo costo, che può diventare elevato qualora ci si affidi a uno studio specializzato in queste pratiche. La consulenza degli specialisti serve per eseguire le necessarie ricerche volte a verificare che il marchio possieda i requisiti richiesti dalla legge per poter godere della tutela offerta dalla registrazione: l’originalità, ovvero consentire l’immediata identificazione del servizio o del prodotto fra quelli simili presenti sul mercato; la verità, cioè evitare di usare segni idonei a ingannare il pubblico sulla natura o qualità dei prodotti o servizi; la novità, quindi non essere già stato usato per i prodotti o servizi cui è associato; la liceità, ossia non contenere segni contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume. La domanda di registrazione va presentata a un apposito Ufficio del Ministero dello sviluppo economico. Si presenta direttamente per via telematica o cartacea tramite le Camere di commercio. Le spese da sostenere per la domanda partono da un minimo di 101,00 euro e la domanda cartacea costa più di quella telematica. La tutela, una volta ottenuta, dura dieci anni e può essere rinnovata: consiste nella facoltà di agire contro chi dovesse fare uso di un marchio imitativo, o comunque ingannevole, per veicolare gli stessi servizi per i quali quel marchio è stato registrato.

Quando e perché conviene

Come si è detto, un marchio che si associa a una realtà, anche professionale, “spersonalizzata” può entrare come valore da stimare in modo autonomo in una trattativa per la cessione dell’attività, al momento della costituzione di studi associati o società o all’uscita da essi. In mancanza di questo valore autonomo, non ci si potrà aspettare che un marchio possa avere un suo prezzo di cessione o possa essere dato in licenza. In pratica, il marchio sarà ceduto o affittato alla costituenda società o al subentrante nello studio. Chi dovesse acquistare o prendere in licenza il marchio, lo farà perché si aspetta che la “canalizzazione” della clientela del professionista a favore della nuova titolarità sia facilitata, più rapida e sicura, poiché si crea un alone di continuità fra vecchia e nuova gestione; questo è monetizzabile a priori, applicando specifiche tecniche valutative, e potrà essere contrattualizzato. Nelle trattative, la presenza della procedura di registrazione è un elemento di sostegno del valore di cessione o di licenza del marchio.

Quali sono i risvolti fiscali

Il professionista che registrasse un suo marchio, non potendo dunque avere da questo atto un’utilità diretta per la sua propria attività perché non è un’impresa, non potrà dedurre le spese della eventuale consulenza e della registrazione per mancanza del nesso con la professione esercitata richiesto dalla norma tributaria. Nei casi in cui il titolare di un marchio registrato lo ceda o lo affitti a un terzo, quest’ultimo, sia esso impresa o professionista, potrà in ogni caso dedurre gli importi versati in base alle regole fiscali. In caso di marchio registrato ceduto o affittato a terzi, il titolare del marchio agirà come privato cittadino, parte di un contratto con effetti reali. L’intero provento relativo ai contratti di sfruttamento dei marchi viene ricondotto a tassazione come “reddito diverso” ex art. 67 Tuir. Dal provento si possono dedurre le spese sostenute per la gestione del marchio. In caso di cessione o affitto di un marchio non registrato, invece, la situazione è più articolata. Se il dentista ha già cessato l’attività, la tassazione è analoga a quella illustrata nel periodo precedente. Se il professionista fosse invece ancora attivo, partita Iva aperta, e il marchio ceduto o affittato fosse riconducibile alla professione esercitata, si potrebbero verificare situazioni nelle quali il provento potrebbe essere attirato nel reddito professionale e soggetto a Iva. Per il medico, tale provento dovrebbe però sfuggire all’imponibilità ai fini della contribuzione previdenziale. Si consiglia, nella realizzazione di queste fattispecie quando ancora in attività, data la potenziale ampia variabilità dei singoli casi, di farsi assistere da un consulente esperto del settore, in grado di rappresentare dettagliatamente ciò che si intende attuare, evidenziandone in modo esaustivo benefici e rischi.

Il buon nome ha il suo valore - Ultima modifica: 2022-03-10T10:11:05+00:00 da Paola Brambilla
Il buon nome ha il suo valore - Ultima modifica: 2022-03-10T10:11:05+00:00 da Paola Brambilla

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