È all’interno di questo perimetro che Enrico Manca, 40 anni, cagliaritano, odontoiatra libero professionista, ma anche relatore apprezzato in Italia e all’estero, pratica l’odontoiatria protesica, una passione nata dal desiderio di ridare il sorriso a chi l’ha perso, nel rispetto della clinica, ma anche del contesto generale in cui opera.
Da ragazzino sognava di fare il dentista per restituire il sorriso alla gente, ma anche per abbracciare una professione redditizia, ammette con un pizzico di autoironia Enrico Manca, classe 1970, una laurea in Odontoiatria e Protesi dentale conseguita nella sua città natale, Cagliari, e grande entusiasmo per la professione odontoiatrica che esercita da oltre 15 anni in Sardegna, ma non solo. Sì, perché dopo gli studi universitari e un articolato e personale percorso di formazione post-laurea in ambito protesico e conservativo mai interrotto, svoltosi in Italia sotto la guida di importanti nomi dell’odontoiatria ( i dottori Domenico Massironi, Mauro Fradeani, Dario Castellani, Lorenzo Vanini e molti altri), ma anche negli Stati Uniti, alla Boston University, dove trascorre un brevissimo ma intenso periodo come ospite del reparto di Parodontologia, Enrico, insieme alla libera professione, incomincia un’altra avventura. Poco più che trentenne, racconta, viene invitato, in qualità di relatore, a partecipare a eventi congressuali di rilevanza nazionale e internazionale, dove presenta i suoi primi casi clinici di successo, ma anche gli errori da cui, dice, ha imparato moltissimo. Quella di relatore è un’attività che svolge ancora oggi, tanto che molto del suo tempo professionale lo dedica allo studio e alla documentazione dei casi clinici più interessanti: un modo, racconta, per ricercare l’eccellenza nel rispetto della deontologia, senza mai perdere di vista il piacere della professione e del rapporto interpersonale con i suoi pazienti.
Dottor Manca, com’è nato il suoi interesse per la Protesi?
È nato durante gli studi, in particolare dopo avere seguito il corso annuale di Protesi fissa col dottor Domenico Massironi, da cui ho imparato molto, anche dal punto di vista metodologico e della documentazione dei casi clinici. Col tempo ho capito che Protesi e Parodontologia sono un binomio inscindibile. Oggi c’è la tendenza, per così dire, a settorializzare la professione, a pensare all’endodontista, al conservatore e via dicendo, come a professionisti con competenze autonome. A mio avviso, invece, le discipline, e in particolare Protesi e Parodontologia, dovrebbero andare di pari passo. Un protesista non può non conoscere il parodonto. È troppa l’influenza dei nostri restauri artificiali sui tessuti orali che sono tra l’altro la cornice estetica dei nostri denti. Viceversa, un parodontologo non può non avere competenze protesiche.
La Protesi è un ambito oggi fortemente caratterizzato dalla tecnologia: com’è cambiata questa disciplina negli ultimi anni?
È cambiata e sta cambiando ancora per diverse ragioni. Innanzitutto, perché, come ho detto, il peso della Protesi, insieme a quello della Parodontologia, è sempre più forte anche in altri settori. Oggi, ad esempio, il confine tra Protesi e Conservativa non è più netto come un tempo: qual è la differenza tra un intarsio a copertura cuspidale totale e una corona? In realtà la Protesi sta cambiando insieme a tutta l’odontoiatria che, grazie all’avvento del microscopio, l’innovazione a mio avviso più importante avvenuta negli ultimi decenni in questa disciplina, e ad altre attrezzature, oggi consente di operare con grande precisione e rispetto dei tessuti. Le innovazioni che stiamo vivendo anche oggi sono innumerevoli: riguardano i materiali (metal-free, ceramiche policristalline, allumina e zirconia), le metodiche CAD-CAM e la tecnologia digitale per il rilevamento delle impronte, un sistema questo ancora in fase di sperimentazione.
Le metodiche più all’avanguardia trovano davvero applicazione nell’odontoiatria quotidiana?
Non sempre, anche se la tecnologia oggi è più accessibile rispetto a un tempo. Il problema che investe l’odontoiatria generale però è un altro: credo sia un lusso per pochi potersi occupare ad alti livelli ed esclusivamente di un ambito circoscritto di questa disciplina, anche perché, oltretutto, l’eccellenza clinica che ha in mente il professionista non sempre coincide con quella del paziente e con le sue possibilità economiche odierne.
Che rapporto intrattiene con l’odontotecnico?
Ho un ottimo rapporto. In campo protesico, credo che il successo di un dentista sia da condividere al 50 per cento con il tecnico. Un grande odontoiatra è nulla senza il supporto di un bravo odontotecnico, viceversa, un dentista più modesto può comunque sopravvivere se ha al suo fianco un tecnico in grado di sopperire esteticamente ai difetti che l’odontoiatra non è riuscito a evitare. I conflitti che a volte nascono tra queste due figure sono imputabili più a ragioni culturali che ad altro, alla convinzione atavica che un laureato dovrebbe sempre saperne di più di chi una laurea non ce l’ha. Personalmente, credo invece che odontoiatra e odontotecnico abbiano le loro precise competenze e debbano lavorare insieme in modo sinergico per il bene del paziente.
Cosa significa fare l’odontoiatra in una regione come la Sardegna, una terra straordinaria, ma poco ricca dal punto di vista economico?
Significa dare il meglio di sé, perseguire l’eccellenza clinica (anche se non sempre la si ottiene… ma ci si deve provare!), applicando tariffe ridotte rispetto a quelle di altre aree del Paese magari più fortunate economicamente.
Il mondo odontoiatrico ha forse bisogno di nuovi equilibri…
Non c’è dubbio. La riduzione dei prezzi non dovrebbe competere solo all’odontoiatra, ma all’intera filiera del dentale. Perché i materiali, le attrezzature e i costi gestionali in genere dell’odontoiatria sono molto cari. Per quanto ci riguarda, invece, dovremmo cercare di non mercificare la nostra professione, esercitandola innanzitutto con passione e coscienza ed “educando” i nostri pazienti a ricevere e riconoscere l’odontoiatria di qualità.
Come coniuga nella sua esperienza professionale gli aspetti manageriali con quelli deontologici?
Nella mia scala dei valori ho messo al primo posto la mia famiglia, poi la professione che ho scelto di esercitare perché mi piace, mi diverte. Sono un odontoiatra nato da un papà biologo e da una mamma insegnante: ho scelto questo lavoro senza alcun condizionamento. A 33 anni ho iniziato la mia attività di conferenziere: allora ero davvero un ragazzino rispetto ai professionisti con cui mi confrontavo. È stato il dottor Massironi a insegnarmi a catalogare, a fotografare e documentare i casi clinici in un certo modo, senza nascondere neppure gli errori, quelli su cui poi ho costruito i miei successi in campo protesico. Oggi svolgo la mia attività da libero professionista, con particolare attenzione alla protesi, pensando soprattutto alla mia crescita professionale, più che a un ritorno economico immediato. Dedico molto tempo alla formazione e oltre alla conduzione dello studio, ho iniziato a collaborare con la Professoressa Elisabetta Cotti dell’Università di Cagliari in qualità di Cultore della materia (protesi).
Cosa vede nel futuro della professione?
Ho molti contatti con giovani studenti e neo-laureati: trovo ci sia molta passione nel mondo dell’odontoiatria. Riscontro tra loro un grande interesse per il dialogo e il confronto a livelli professionali anche molto alti. Sono ottimista per il futuro della nostra professione. La chiave di volta è riuscire a trasferire la passione e la voglia di fare anche ai nostri pazienti che a quel punto si rivolgeranno a noi non tanto per “riparare” un dente, ma per eseguire una “terapia conservativa”, non per “fare una capsula”, ma per sottoporsi a una “terapia protesica”. Più sapremo essere professionali, più ce ne avvantaggeremo anche economicamente, come è giusto che sia, visto che la nostra è un’attività libero professionale supportata solo dal nostro lavoro. I pazienti si rivolgeranno ai nostri studi non per beneficiare di vantaggi economici rispetto alla concorrenza, ma per la nostra professionalità e competenza. Sono convinto che questo atteggiamento, se messo in atto, finirebbe per accrescere anche il livello professionale degli odontoiatri, ancora oggi considerati da molti mercenari più che medici della bocca. Come mi ha insegnato il dottor Massironi, io punto all’eccellenza, nella speranza di diventare un bravo odontoiatra: se mi accontentassi della mediocrità, finirei per essere certamente un pessimo dentista.