Un recente studio sulle cellule staminali condotto dal Thai Moogambigai Dental College and Hospital di Chennai (India), in collaborazione con l’Ajman University degli Emirati Arabi Uniti e con il supporto dello Sree Balaji Dental College and Hospital di Chennai, analizza nel dettaglio le più recenti strategie rigenerative in odontoiatria. Gli autori descrivono il passaggio da un approccio riparativo a uno realmente rigenerativo, con l’obiettivo di ricostruire i tessuti orali in maniera biologica e stabile.

«Questo nuovo paradigma nasce dall’integrazione di cellule staminali, biomateriali intelligenti e segnali molecolari capaci di guidare la guarigione», spiega Giulia Gori, ingegnere biomedico, Coordinatore Nazionale Arianto Consulting.
«Si tratta di un cambio di prospettiva che avvicina l’odontoiatria alla medicina rigenerativa in senso ampio e che offre nuove prospettive all’odontoiatria. Tra i professionisti di questa disciplina, chi saprà cogliere le novità con competenza, nel prossimo futuro, neppure troppo lontano, potrà contare su strumenti terapeutici potenti e sofisticati che offriranno ai pazienti una nuova esperienza di cura».
Cellule staminali e potenzialità cliniche
Le cellule staminali mesenchimali rappresentano il nucleo delle terapie rigenerative. I ricercatori sottolineano come sia possibile isolarle dalla polpa dentale, dal legamento parodontale e dall’osso alveolare. Queste cellule possono differenziarsi in odontoblasti, cementoblasti e osteoblasti, aprendo la strada a nuove applicazioni cliniche. Tra quelli analizzati dai ricercatori, diversi studi preclinici e clinici mostrano risultati promettenti nella rigenerazione della dentina, nel recupero di polpe necrotiche e nella ricostruzione parodontale.
«Il potenziale clinico di queste particolari cellule è enorme», spiega Gori. «Il loro valore non è solo nella capacità di trasformarsi in cellule specializzate, ma anche nella possibilità di sviluppare terapie personalizzate e nella loro azione paracrina: rilasciano fattori bioattivi che stimolano rigenerazione tissutale e angiogenesi e inoltre modulano i processi immunitari e infiammatori. I limiti però restano importanti: c’è il rischio di crescita tumorale, la difficoltà di controllarne la differenziazione, problemi di disponibilità e costi di produzione, oltre a possibili risposte immunitarie»
Biomateriali avanzati e scaffold tridimensionali
Gli autori pongono grande attenzione al ruolo dei biomateriali. Gli scaffold tridimensionali biocompatibili non si limitano a fungere da supporto, ma ricreano microambienti favorevoli all’adesione e alla proliferazione cellulare. Alcuni scaffold sono arricchiti con idrogel intelligenti o nanoparticelle bioattive in grado di rilasciare in modo controllato fattori biologici. Queste soluzioni tecnologiche simulano le condizioni fisiologiche e sostengono la formazione di osso alveolare e tessuti molli funzionali, rendendo più prevedibili gli esiti clinici.
«Oggi biomateriali e scaffold non sono più soltanto in fase sperimentale, ma hanno già applicazioni consolidate», ricorda Gori. «In odontoiatria, parodontologia e implantologia sono utilizzati con successo nella rigenerazione ossea e parodontale. Grazie a membrane riassorbibili, innesti a base di collagene, idrossiapatite o fosfati di calcio offrono buoni esiti in termini di osteointegrazione e stabilità implantare. In ortopedia e traumatologia vengono impiegati per colmare difetti ossei e cartilaginei. Riducendo i tempi di guarigione anche se la rigenerazione completa della cartilagine resta una sfida. Anche in chirurgia plastica e dermatologia ci sono applicazioni. Matrici dermiche e scaffold polimerici hanno migliorato notevolmente la gestione di ustioni ed ulcere croniche».
Fattori di crescita e ingegneria dei tessuti
La ricerca sottolinea l’importanza dei fattori di crescita come BMP, VEGF e PDGF che guidano angiogenesi e differenziazione cellulare. L’integrazione di cellule staminali, scaffold e segnali biochimici viene indicata come la vera chiave dell’ingegneria tissutale. Senza questa sinergia, i processi rigenerativi non raggiungono la stabilità necessaria per garantire la funzionalità a lungo termine.
«Le tecniche rigenerative con fattori di crescita e ingegneria tissutale offrono grandi opportunità anche in odontoiatria, ma richiedono cautela», avverte però Gori. «Alcuni fattori, come il BMP-2, infatti, possono causare infiammazione, ossificazione in sedi anomale e, ad alte dosi, un aumento del rischio di proliferazioni indesiderate. Gli scaffold e i biomateriali, sebbene fondamentali per guidare la rigenerazione, possono scatenare reazioni da corpo estraneo, problemi di biocompatibilità o integrazione incompleta. I costrutti di ingegneria tissutale avanzata aggiungono complessità con possibili risposte immunitarie o rischi oncologici se non adeguatamente controllati».
Applicazioni cliniche e sfide future
Le applicazioni cliniche discusse riguardano la rigenerazione parodontale nei difetti complessi, l’endodonzia rigenerativa come alternativa ai trattamenti canalari convenzionali e la ricostruzione ossea in implantologia. I risultati riportati sono incoraggianti, ma non mancano i problemi. Difficoltà legate alla vascolarizzazione, limiti nell’approvvigionamento delle cellule e problematiche etiche e regolatorie sono i principali punti deboli, come sottolinea anche Giulia Gori.
«Le problematiche etiche e regolatorie restano uno dei principali ostacoli all’uso diffuso delle terapie rigenerative. Sul piano etico, l’impiego di cellule staminali embrionali continua a sollevare dibattiti sulla liceità della loro origine. Mentre le cellule autologhe o indotte (iPSC) pongono meno questioni morali ma richiedono comunque valutazioni di sicurezza a lungo termine. Dal punto di vista regolatorio, i prodotti di ingegneria tissutale rientrano tra le Advanced Therapy Medicinal Products (ATMPs) con iter autorizzativi complessi e costosi. A ciò si aggiunge l’assenza di protocolli clinici standardizzati e la disomogeneità delle normative tra Paesi che rallentano la traduzione dalla ricerca alla pratica clinica».
Verso una nuova odontoiatria
Secondo gli autori dello studio, il futuro sarà segnato da protocolli personalizzati e da biomateriali adattati al profilo biologico dei singoli pazienti. L’odontoiatria rigenerativa offrirà ai pazienti soluzioni biologiche, meno invasive e più vicine ai processi naturali di guarigione. «Lo studio, pubblicato su Biomolecules, ne è un esempio concreto», conclude Giulia Gori. «Sicuramente restano alcune criticità come la vascolarizzazione dei tessuti complessi, la disponibilità e standardizzazione delle cellule staminali. Ma anche la biocompatibilità a lungo termine dei biomateriali, la variabilità dei risultati tra i pazienti e soprattutto le questioni etiche e regolatorie. Il futuro si giocherà sulla capacità di integrare cellule, biomateriali, fattori di crescita e tecnologie digitali in protocolli sicuri e riproducibili, con il supporto di linee guida chiare e di una regolamentazione internazionale condivisa. Solo così l’odontoiatria rigenerativa potrà trasformarsi da promessa affascinante a pratica clinica consolidata, rivoluzionando la cura dei pazienti».



