Nella terapia endodontica sono fondamentali le fasi di detersione e sagomatura canalare, poiché i canali radicolari costituiscono un facile veicolo per i batteri, che tramite essi possono raggiungere facilmente il parodonto.
Uno degli scopi delle fasi di detersione e sagomatura è quello di eliminare la massima quantità possibile di batteri presenti nei canali radicolari. A volte queste due fasi sono sufficienti nella riduzione della conta batterica, altre volte potrebbero non bastare. I canali di alcuni elementi possono, infatti, mostrare delle complessità anatomiche tali da determinare un’aggregazione batterica e condurre, quindi, a possibili fallimenti endodontici. Altre volte, il fallimento può essere causato dalla batterio-resistenza nei confronti delle sostanze normalmente utilizzate.
L’ipoclorito di sodio (NaOCl), in virtù delle sue proprietà antimicrobiche e della capacità di dissolvere i tessuti molli endocanalari, è l’irrigante comunemente utilizzato durante il trattamento endodontico. La concentrazione più utilizzata nella pratica clinica è quella al 2.5%: sondando la letteratura scientifica, sono state valutate anche sia concentrazioni più basse (0.5%) che più elevate (5.25%). Concentrazioni maggiori possono aumentare il rischio di citotossicità.
La clorexidina (CHX), in virtù della sua attività antimicrobica ad ampio spettro e della tossicità notevolmente inferiore, si pone come valido irrigante alternativo all’ipoclorito. Viene normalmente indicata per tale impiego alla concentrazione dello 0,2%, ma è stata proposta anche in forma di gel. Dal punto di vista della modalità di azione, a basse concentrazioni determina un effetto batteriostatico, che a concentrazioni alte diventa battericida. In più, esibisce una proprietà unica: le cariche positive della molecola di clorexidina si legano alle cariche negative sulle superfici dentali, determinando un’adesione, quindi un’attività antimicrobica, di lunga durata. D’altra parte, la clorexidina è tanto rispettosa dei tessuti da non mostrare la capacità di dissoluzione tissutale dell’ipoclorito.
La revisione sistematica di Ruksakiet e coll., pubblicata lo scorso anno sul Journal of Endodontics, ha fatto il punto delle evidenze sul tema, relativamente all’impiego della clorexidina in endodonzia, anche rispetto all’ipoclorito di sodio. La ricerca ha coinvolto le banche dati PubMed (MEDLINE), EMBASE, Web of Knowledge, Cochrane Library, (CENTRAL). I risultati attestano un risk ratio (RR) di 1.003, con IC95% 0.729–1.380, rispetto all’ipoclorito di sodio. Ciò significa che, nonostante i diversi meccanismi d’azione molecolari, i due composti hanno mostrato efficacia antibatterica sovrapponibile. La revisione è stata recentemente rivalutata, sul Journal of Evidence Based Dental Practice, come qualitativamente discreta, con l’assegnazione di un livello di evidenza di 2 e una B per quanto riguarda la forza della raccomandazione.
L’adesione costituisce uno dei grandi problemi, inteso come campi di ricerca, dell’odontoiatria contemporanea. La tecnica adesiva ha le sue esigenze: com’è noto, ad esempio, “non va d’accordo” con un ambiente eccessivamente umido. Uno dei fronti attuali dello sviluppo, pertanto, consiste nell’estremizzazione delle condizioni in cui viene condotta l’adesione, il che permetterebbe di allargare ulteriormente le riabilitazioni adesive, protesiche e conservative.
Dando per scontato l’isolamento del campo con diga e indipendentemente dallo sviluppo dei nuovi agenti adesivi della famiglia degli “universali” o “multimodali”, che costituiscono già uno standard operativo, è comunque nell’interesse del clinico il perfezionamento delle tecniche di pulizia e decontaminazione.
La procedura di base, in questo senso, è rappresentata dal lavaggio e asciugatura dell’interfaccia mediante l’impiego della siringa aria-acqua. Diversi autori hanno però considerato, come metodica aggiuntiva, l’impiego di un vero e proprio agente disinfettante tra perossido di idrogeno al 3%, acido ascorbico al 10% e, soprattutto, clorexidina al 2%. In questo senso, si valuti lo studio di Gaviolli e coll., recentemente pubblicato su International Journal of Adhesion and Adhesives. Tale modello in vitro ha rilevato come una mancata influenza da parte della saliva su forza di adesione microtensile e grado di conversione in situ. La contaminazione ematica, al contrario, ha influenzato negativamente tali parametri, che sono stati però ripristinati proprio dal pretrattamento con clorexidina al 2%.
In conclusione, le evidenze più recenti, indicano la clorexidina come un disinfettante efficace e soprattutto versatile. Già oggi, l’utilizzo di tale composto può essere contemplato e protocollato anche in ambiti diversi rispetto alla forma di igienizzante antiplacca, ad esempio in endodonzia e restaurativa adesiva.
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