Alla ricerca dell’eccellenza

Francesco Mangani

Un traguardo, secondo Francesco Mangani, professore associato di odontoiatria conservatrice ed estetica dentale presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, nonché presidente eletto per il biennio 2015-2017 della Società Italiana di Odontoiatria Conservatrice, raggiungibile solo se non si trascurano i dettagli dell’odontoiatria.

Calabrese di nascita, romano d’adozione, Francesco Mangani, classe 1954, inizia a frequentare il corso di laurea in medicina che non ha ancora compiuto i 17 anni. Poi, racconta, se la prende un po’ comoda, nel senso che, durante gli anni dell’università, fa molti viaggi in giro per il mondo, senza però mai perdere di vista il suo obiettivo. Si laurea all’età di 24 anni, per poi intraprendere la specializzazione in Odontostomatologia, un interesse nato strada facendo, racconta, grazie agli amici più grandi, suoi e della sorella, che già frequentavano questo indirizzo di studi. Tuttavia, la svolta avviene dopo l’incontro con il suo maestro, il Professor Martignoni che all’epoca, per un ragazzo che voleva fare il dentista, spiega, era un traguardo pari a chi avesse avuto il sogno di fare il pilota e fosse stato ingaggiato dalla “Casa di Maranello”. Oggi, Francesco Mangani è professore associato di odontoiatria conservatrice presso il corso di laurea in Odontoiatria e protesi dentaria dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, dove è titolare anche dell’insegnamento di Estetica dentale presso il corso di laurea in Igiene dentale. Autore di numerose pubblicazioni di carattere scientifico e docente in corsi di perfezionamento e master presso diverse sedi universitari italiane e straniere, Mangani è anche socio attivo e co-fondatore dell’Italian Academy of Esthetic Dentistry, nonché presidente eletto per il biennio 2015-2017 della Società Italiana di Odontoiatria Conservatrice, per la quale, spiega, ha grandi progetti.

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Professor Mangani, cosa le ha insegnato il suo maestro, il professor Martignoni?

Mi ha insegnato molto, l’entusiasmo, ma anche il rigore per la professione. I giovani lo hanno sempre venerato perché era un grande dentista, una persona non comune. Aveva un carattere non facile: in questo ci siamo subito riconosciuti perché anch’io credo di avere un carattere difficile.

Oggi lei, invece, cosa insegna ai suoi allievi e quando ha capito di essere diventato per gli altri un maestro?

Cerco di insegnare quello che è nella mia filosofia, che poi è quella del mio maestro, cioè la ricerca dell’eccellenza: uno dei caratteri che, questo è quanto mi riconoscono, mi ha sempre contraddistinto. Ci si accorge di essere considerati maestri quando i giovani, anche quelli più straordinari, quelli che si sanno distinguere nel panorama attuale, si avvicinano e senza timore, ma con rispetto, chiedono un consiglio: è in quel momento che ci si rende conto di essere maestri o perlomeno che qualcuno ci considera tali, evidentemente per quello che siamo capaci di trasmettere, per l’attenzione che riserviamo alla professione.

Cos’è per lei l’eccellenza, come la si può raggiungere?

L’eccellenza per me è innanzitutto il rigore operativo, la disciplina nell’esercitare l’odontoiatria, in altre parole un modello verso cui tendere e che non può né deve essere condizionato dalla realtà contingente. L’eccellenza è la cura del dettaglio, non necessariamente qualcosa di difficile: possono essere i cinque minuti aggiuntivi che si dedicano al paziente e che permettono di erogare la prestazione in modo ineccepibile. L’eccellenza poi, per definizione, non può sposarsi con l’odontoiatria low-cost, non perché gli operatori che lavorano in queste realtà siano incapaci, ma perché i tempi operativi richiesti dalle tecniche odierne non si possono ridurre senza intaccare la qualità e la longevità dei trattamenti. Comprimere i tempi o peggio ancora la qualità dei materiali, come accade nel mondo low-cost, è l’errore più grave che un odontoiatra possa fare, perché anche in un momento di crisi come quello attuale certe prestazioni non possono essere svendute senza creare danno al paziente.

In qualità di socio attivo e cofondatore dell’Italian Academy of Esthetic Dentistry, cosa pensa dell’estetica in ambito odontoiatrico?

L’estetica oggi rappresenta un elemento molto importante, non tanto per il dentista, quanto per il paziente, l’attore principale: per questa ragione l’odontoiatra ne dovrebbe tener conto e non limitarsi a considerare rilevante soltanto il rifacimento di un dente. L’Accademia Italiana di Odontoiatria Estetica, infatti, in quanto emanazione della sua corrispondente europea che probabilmente è una delle accademie più importanti e rigorose nel panorama odontoiatrico mondiale, suggerisce all’odontoiatra di considerare di proprio interesse e pertinenza anche gli elementi anatomici del viso e del sorriso, in un’ottica di equilibrio dell’estetica nel suo complesso. Questo significa che l’odontoiatra, se necessario, dovrebbe poter interagire con il chirurgo plastico, con lo specialista di medicina estetica o altri professionisti del settore.

Come si possono convincere gli odontoiatri più ortodossi della necessità di considerare anche quest’altro aspetto nei piani di trattamento?

Forse le parole di Ivo Pitanguy, padre della chirurgia plastica a livello mondiale possono essere di aiuto. Ebbi la fortuna di incontrarlo in Brasile, grazie a un amico comune, Olympio Faissol Pinto, uno dei fondatori della gnatologia moderna: egli mi confessò la sua incapacità di capire perché noi dentisti siamo così restii a collaborare con i chirurghi plastici, dato che ci occupiamo dello stesso distretto e per questo riteneva assolutamente necessaria una cooperazione laddove richiesto un intervento che rispondesse ai concetti forse più importanti in assoluto che sono quelli di armonia, forma, dimensione, rapporti tra tessuti molli e quindi forma del viso e delle labbra. Gli ortodossi dovrebbero uscire dall’ortodossia sterile per abbracciare un’idea di odontoiatria più produttiva.

Nel biennio 2015-2016, quando assumerà l’incarico di presidente della Società Italiana di Odontoiatria Conservatrice, cosa intende realizzare per questa società scientifica?

Stiamo preparando due congressi per tentare di rilanciare questa società che purtroppo è considerata troppo legata al mondo accademico in maniera quasi nevrotica. Quando si parla di questa realtà, molti accoppiano questo termine, accademia, alla scarsa qualità o a persone con interessi estranei alla salute del paziente, ma non è così. Stiamo cercando di stilare programmi di interesse per gli odontoiatri, che li avvicinino alla nostra società. Nel programma del congresso del prossimo anno spiccano professionisti di rango mondiale come Giovanni Zucchelli, Roberto Spreafico, Didier Dietschi, Vinio Malagnino, Mauro Fradeani e Domenico Massironi, un parterre di assoluta eccellenza. Nel 2016, molto probabilmente, ne stiamo discutendo nel Consiglio Direttivo, ospiteremo i dentisti brasiliani, universitari e non, per fare sì che l’estetica venga vista e conosciuta come una parte straordinaria che ha come primo obiettivo la salute. Vuole essere un omaggio a tanti amici carissimi stimati in tutto il mondo, celebrati anche in Italia, e soprattutto a personaggi nuovi perché troppo spesso vediamo i nostri congressi fossilizzati sempre sugli stessi nomi, ma è giusto che si conoscano anche altre persone.

Di cosa parlerà, invece, il prossimo ottobre, a Milano, in occasione del convegno promosso da Il dentista moderno di cui sarà uno dei relatori?

Del rapporto costi benefici nella moderna terapia conservativa. Oggi alla chirurgia estetica restaurativa troppo spesso si accoppia l’aggettivo “artistico” ma gli artisti non hanno niente a che vedere con i dentisti: nostro compito è eseguire trattamenti “predicibili” e duraturi. Il rapporto costi-benefici deve essere mirato all’ottenimento di questo risultato, pertanto qualsiasi cosa facciamo deve tenere conto del costo biologico, perché a volte è anche sbagliato ridurre il costo biologico rischiando un fallimento: meglio far pagare un piccolo costo biologico in più, ma garantire longevità al trattamento.

Per concludere, l’eccellenza, dunque, sembrerebbe il risultato di un’equazione…

Sì, un’equazione che fa capo e ha come fine ultimo la qualità. Una qualità che però dovrebbe sempre basarsi su parametri oggettivi, su una clinica validata dall’esperienza e non sulla cosiddetta evidenced based dentistry più teorica che pratica. Inoltre, una delle pecche maggiori dell’odontoiatra italiano è la sua scarsa conoscenza dei materiali dentali, argomento che l’università del nostro Paese tratta veramente poco e che invece andrebbe approfondito, insieme all’odontotecnica. Questo è un altro limite che rischia di allontanarci dall’eccellenza, l’obiettivo verso cui dovremmo tutti tendere.

Alla ricerca dell’eccellenza - Ultima modifica: 2014-09-30T11:43:11+00:00 da Redazione

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