Esperto di patologia e chirurgia orale, il professor Umberto Romeo è tra i protagonisti della ricerca italiana su diagnostica avanzata, laserterapia e fotobiomodulazione. Direttore del Dipartimento universitario di Scienze Odontostomatologiche e Maxillo Facciali e Professore ordinario all’Università Sapienza di Roma, coordina un gruppo di lavoro che unisce clinica, innovazione tecnologica e didattica. Approfondiamo con lui le applicazioni più promettenti del laser nella gestione delle mucose orali, la diagnosi precoce delle lesioni potenzialmente maligne e le prospettive future. Una riflessione lucida e concreta su cosa significhi oggi fare ricerca clinica nel contesto universitario e preparare la prossima generazione di professionisti.
Professor Romeo, qual è il contributo più significativo del suo gruppo nell’ambito di laser, fotobiomodulazione e diagnostica avanzata?

Dobbiamo differenziare i laser che sfruttano l’effetto fototermico dai laser non termici, che generano la biostimolazione dei tessuti biologici. Per la prima tipologia di laser, abbiamo evidenziato aspetti che riguardano la scelta dei parametri corretti per eseguire una biopsia dei tessuti molli in modo da non creare artefatti termici sul campione istologico prelevato né problemi nella lettura e nella refertazione del pezzo operatorio. Per i laser che generano fotobiomodulazione (FBM) abbiamo valutato, tramite trial clinici, il vantaggio offerto nella gestione del dolore post-chirurgico, nei disturbi dell’ATM, nelle mucositi post radio e chemio terapia e nei movimenti ortodontici; stiamo valutando, con uno studio in vitro, l’effetto della FBM sulle cellule osteoprogenitrici umane isolate dall’osso trabecolare mandibolare. In ambito di diagnostica avanzata, abbiamo portato avanti progetti di ricerca riguardanti la biopsia liquida (saliva e plasma) per la diagnosi precoce del carcinoma squamocellulare del cavo orale, ancora oggi con numeri di prevalenza importanti. Questa metodica consente di evitare la biopsia tradizionale, più invasiva, e di studiare una terapia individualizzata.
Come si è evoluto l’utilizzo del laser in chirurgia orale e nella gestione dei tessuti molli?
La tecnologia laser si è evoluta, specie per quanto riguarda i software e le apparecchiature, sempre più ergonomiche, funzionali e di ridotte dimensioni. Grazie alle caratteristiche intrinseche della luce laser, alcune specifiche lunghezze d’onda, come quelle comprese tra i 400 e i 600 nm e quelle del rosso e del vicino infrarosso, sono ben assorbite dall’emoglobina e quindi sono in grado di trattare alcune lesioni vascolari del cavo orale senza effettuare alcuna azione di taglio. Tutto ciò avviene attraverso la cosiddetta fotocoagulazione transmucosa. Studi multicentrici eseguiti con un gruppo di ricerca giapponese ci hanno permesso di definire protocolli di trattamento minimamente invasivi per la gestione di malformazioni vascolari con applicazioni di luce laser sia attraverso la mucosa sia per via intramucosa, cioè inserendo la fibra laser con un angiocatetere all’interno della malformazione per farla collassare.
Quando preferisce il laser rispetto al bisturi convenzionale?
Alcune apparecchiature hanno spiccata azione emostatica e consentono di operare senza il minimo sanguinamento; questo rende l’utilizzo del laser molto utile sia nell’asportazione chirurgica di neoformazioni peduncolate (fibromi, granulomi piogenici, ecc.) sia nella realizzazione di frenulectomie e nella fotocoagulazione di malformazioni vascolari. La scelta del laser rispetto allo strumento tradizionale è motivata dalla azione selettiva e minimamente invasiva sui tessuti bersaglio, che ottimizza il decorso post-operatorio tramite la riduzione di dolore, edema ed ecchimosi.
Come gestisce la biostimolazione laser dopo chirurgia orale maggiore?
La fotobiomodulazione post-operatoria ha sempre più importanza in chirurgia orale. Numerosi studi, alcuni del nostro gruppo della Sapienza, sottolineano che gli effetti di riduzione del dolore e dell’infiammazione post-chirurgica e, più di recente, l’efficacia dell’irradiazione laser di bassa potenza nella riduzione dell’attività osteoclastica conseguente a un intervento di chirurgia orale svolgono un ruolo innegabilmente positivo nel decorso post-chirurgico. Manca però ancora un consenso universalmente accettato che statuisca dosaggi e numero di sedute necessarie: è una questione controversa su cui stiamo lavorando con i principali studiosi a livello internazionale. Malgrado ciò, basandosi sugli effetti positivi supportati da ampia evidenza clinica, si può dire che la FBM in pazienti sottoposti a chirurgia orale sia importante e positiva.
Il laser è utilizzato anche in patologie come la sindrome della bocca urente...
Risale al 2010 il nostro primo articolo che ha permesso di dimostrare gli effetti positivi della fotobiomodulazione nella riduzione del dolore/bruciore nei pazienti affetti da sindrome della bocca urente (BMS). Da quasi 15 anni, il nostro gruppo svolge un’intensa attività quotidiana su un numero crescente di casi, che ci ha permesso di offrire benefici ai pazienti BMS con origine neuropatica periferica, migliorandone la qualità di vita. Tra gli svantaggi, vi è la necessità di applicazioni prolungate e ripetute, oltre all’assenza di un protocollo standard che non permette ancora di semplificare la gestione di questa patologia.
Ha osservato differenze clinicamente rilevanti tra laser Er:YAG, Nd:YAG e diodi nel trattamento di lesioni epiteliali potenzialmente maligne?
I laser si differenziano per la lunghezza d’onda, con cui è possibile raggiungere un determinato target biologico (acqua, idrossiapatite, emoglobina) e per la loro azione sui tessuti, più o meno superficiale. I laser ad Er:YAG hanno una lunghezza d’onda ben assorbita da acqua e idrossiapatite e azione ablativa superficiale; quelli a Nd:YAG e a diodi vengono ben assorbiti dall’emoglobina e hanno azione più profonda. Per il trattamento di lesioni epiteliali potenzialmente maligne, come le leucoplachie, possono andare bene tutte e tre le lunghezze d’onda. Per asportare una lesione leucoplasica saranno più indicati i laser Nd: YAG e diodi; per vaporizzarla sono più indicati i laser ad Erbio. Nel caso di vaporizzazione/ablazione della lesione leucoplasica il risultato a lungo termine sembra essere più stabile rispetto ad altre metodiche di trattamento.
Avete valutato l’efficacia della fotobiomodulazione nella rigenerazione di difetti parodontali o post-estrattivi?
Abbiamo pubblicato uno studio, in collaborazione con i colleghi dell’Anatomia Patologica della nostra Università, relativo agli effetti della FBM su cellule staminali mesenchimali umane ricavate da pazienti sottoposti a terapia chirurgica. Lo studio ha evidenziato, attraverso l’analisi istologica e di espressione genica, gli effetti positivi della FBM nella riduzione dell’infiammazione locale e dell’attività di riassorbimento osteoclastico; entrambi questi fenomeni concorrono a una migliore guarigione del sito osseo post-chirurgico e aprono orizzonti interessanti sia nella gestione dell’alveolo post-estrattivo sia nell’ambito della osteointegrazione implantare, aspetto oggetto di studi in collaborazione con colleghi di altre università.
In quali patologie orali rare ritiene che il laser rappresenti una frontiera terapeutica?
I laser a bassa intensità possono avere un ruolo importante nella gestione di alcune patologie delle mucose orali e nella medicina rigenerativa. Ad esempio, per la gestione del dolore e della mucosite orale in pazienti sottoposti a chemioterapia e radioterapia, patologie che compromettono gravemente l’alimentazione e il benessere dei pazienti oncologici. L’impiego del laser, attraverso la fotobiomodulazione, potrebbe offrire una valida alternativa o un supporto alle attuali terapie per patologie infiammatorie croniche come il Lichen planus orale o le lesioni mucose ulcerative ed erosive come le afte.
Molti studi si stanno orientando per alleviare i sintomi, ridurre l’infiammazione e promuovere la guarigione, offrendo un’alternativa all’uso prolungato di steroidi topici. Il laser può avere anche un ruolo cruciale nella medicina rigenerativa orale, sebbene il suo potenziale sia ancora in fase di studio. Può essere utilizzato per stimolare le cellule ossee (osteoblasti) e promuovere la guarigione dell’osso, applicazione che può avere implicazioni future in implantologia e nel trattamento di lesioni perimplantari oltre che per decontaminare e promuovere la guarigione delle osteonecrosi correlate all’uso di farmaci (MRONJ).
Quali sono i progetti di ricerca o clinici attualmente attivi nel suo dipartimento?
Inizio dal progetto sulla biopsia liquida e sull’impiego di nanotecnologie per la diagnosi precoce di lesioni epiteliali potenzialmente maligne e del carcinoma orale. La biopsia liquida è un metodo semplice, rapido e a ridotta invasività. Consiste in un prelievo di fluidi corporei, nello specifico di sangue venoso, da cui si separa la componente cellulare per ottenere il plasma. Da questo si possono analizzare alcuni biomarkers circolanti quali frammenti di DNA libero (cfDNA), esosomi o cellule tumorali. Si tratta di ottenere informazioni sulla biologia di un tumore grazie all’isolamento del DNA tumorale che circola nel sangue e che può essere analizzato tramite una serie di analisi genomiche. Altro filone di ricerca collegato alla biopsia liquida è la possibilità di associarla alla nanotecnologia. La caratterizzazione della corona proteica, ovvero lo strato biomolecolare che circonda i nanomateriali esposti ai fluidi biologici, è emersa come possibile strumento per distinguere i pazienti oncologici dai soggetti sani. Questa metodica, già validata per il tumore del pancreas, è in fase di studio per la diagnosi precoce del carcinoma orale e di lesioni epiteliali potenzialmente maligne. Ulteriore aspetto è l’impiego dell’Intelligenza Artificiale (IA) nel riconoscimento, attraverso immagini cliniche, dell’area più sospetta dove eseguire una biopsia incisionale; sempre collegato all’uso dell’IA è il progetto denominato SMART (Systematic multidisciplinary approach for remote telemedicine). L’obiettivo è sviluppare un’applicazione di telemedicina che consenta ai pazienti con diabete di tipo I (T1DM) di valutare il proprio rischio parodontale e ricevere cure basate su una combinazione di tecniche di Intelligenza Artificiale. Grazie a un finanziamento europeo con altri centri specializzati (Università di Wroclaw, Barcellona e Berna) portiamo avanti la ricerca denominata PERI-EDU (Peri-Implantitis, Systemic Diseases, and Systemic Inflammation: A Comprehensive Review and Conceptualization of Novel Systemic Inflammation Index for Improved Diagnostics). Lo scopo è sviluppare un indice predittivo della perimplantite, l’Immune-Inflammation Index (PII), che costituisca un’opzione interessante per i medici, specialmente in contesti con risorse limitate.
Quali tecnologie ritiene più promettenti per il futuro della chirurgia orale?
Le tecnologie più promettenti includono l’impiego di Intelligenza Artificiale (IA) e Machine Learning nella patologia chirurgica per la diagnosi e la pianificazione predittiva di alcune patologie ossee. I sistemi IA sono in grado di analizzare migliaia di immagini radiografiche (come TC Cone Beam) per identificare anomalie, patologie o strutture anatomiche complesse che potrebbero sfuggire all’occhio umano. Ciò permette una diagnosi più accurata e una pianificazione pre-chirurgica altamente dettagliata, anticipando potenziali complicanze. Tramite scansioni 3D del paziente (da scanner intraorali e CBCT), i clinici possono visualizzare e simulare l’intero intervento chirurgico in un ambiente virtuale. Questo permette di provare diverse strategie e identificare e risolvere problemi prima di entrare in sala operatoria. Infine, i biomateriali e la bio-ingegneria (creazione di scaffold o impalcature personalizzate, spesso stampate in 3D, che fungono da struttura per la crescita di nuovo osso, permettendo una rigenerazione mirata e prevedibile) grazie a nuovi materiali e tecniche rigenerative stanno rivoluzionando la ricostruzione ossea e tissutale. La tecnologia non sostituisce il ruolo del chirurgo, ma serve a potenziarne le capacità, consentendo di raggiungere nuovi standard di precisione, sicurezza ed efficacia.
Quali strategie consiglia ai colleghi per migliorare l’intercettazione precoce dei tumori del cavo orale nei contesti ambulatoriali?
Ogni dentista, durante la prima visita, deve eseguire un esame clinico approfondito, che prevede ispezione e palpazione di tutte le strutture del cavo orale: labbra, mucosa geniena, gengive, lingua (porzione dorsale e ventrale), pavimento orale, palato duro e molle e orofaringe. Può così evidenziare lesioni sospette, come ulcere persistenti che non guariscono in 2-3 settimane, placche bianche o rosse, masse palpabili, tumefazioni o alterazioni cromatiche della mucosa. Nell’anamnesi deve valutare la presenza di fattori di rischio, come consumo di tabacco fumato o masticato e abuso di alcol. Altri fattori includono: infezione da papillomavirus umano (HPV), precedente diagnosi di tumore del cavo orale, dieta povera di frutta e verdura e prolungata esposizione al sole, in particolare per i tumori del labbro. Se scopre una lesione sospetta, deve inviare il paziente, il prima possibile, in un centro specializzato Universitario e/o Ospedaliero per un esame bioptico.
Che consiglio darebbe a un giovane odontoiatra?
I giovani, per essere competitivi e offrire il meglio ai pazienti, non devono smettere di studiare e aggiornarsi. Significa investire in corsi di aggiornamento, di perfezionamento e Master universitari, aggiornarsi sulle ultime ricerche e tecnologie leggendo pubblicazioni specializzate, valutare la possibilità di specializzarsi in un’area specifica e partecipare a congressi, workshop e seminari, entrando a far parte di Società Scientifiche che permettono di confrontarsi e creare una rete di contatti che aprirà nuove opportunità. I più propensi alla ricerca possono valutare la collaborazione con il mondo accademico, seguire un dottorato di ricerca e pubblicare articoli scientifici su riviste ad alto impatto per aumentare la propria visibilità e credibilità, mantenendosi capaci di riflettere in modo critico. La combinazione di un’eccellente pratica clinica con un solido impegno nella formazione e nella ricerca renderà il giovane odontoiatra un professionista altamente qualificato e stimato.


