Qualche tempo fa, ho inviato una nuova paziente da un noto chirurgo maxillofacciale dell’Università di Milano per la risoluzione di una problematica iatrogena di interesse medico-legale. Dopo alcuni convenevoli di rito e spiegazioni del caso che mi portava alla sua consulenza, l’illustre collega mi chiede: «Senti... ma voi, in odontoiatria, come state con le cause? No, perché noi siamo devastati!»
In effetti questa condizione è relativamente recente in Medicina, dove si è affermata dopo alcuni cambiamenti di indirizzo legislativo e giurisprudenziale che hanno portato alla sentenza “Massimo” e all’inversione dell’onere della prova. Successivamente è stata contagiata l’Odontoiatria, in modo meno eclatante per via di risarcimenti poco significativi, nell’ordine medio dei 15-20.000 euro, ma ora molto aumentati in termini di frequenza.
«Prima non era così. Mio padre, dentista ospedaliero, non si è mai assicurato in tutta la sua vita professionale. Io ho preso la laurea nel 1990 e la prima cosa che ho fatto dopo l’iscrizione all’ordine è stata assicurarmi».
In realtà non è accaduto all’improvviso e ha avuto una gestazione lunghissima nei secoli. Si è lentamente determinata prima come movimento di idee: a partire dalla discussione sul metodo, poi con l’affermazione del Metodo Scientifico (Cartesio-Galileo-Newton) e passando per la sconfitta della Metafisica attraverso le sollecitazioni Illuministiche e Kantiane che affermano istanze di autonomia, sino a palesarsi con le affermazioni dei Diritti Civili del secondo dopoguerra e divampando con il concetto di Consenso affermato dal Codice di Norimberga contenuto nelle carte del famoso processo che condannò i dottori asserviti al regime nazista. Ma vediamo con ordine.
Nella storia della Medicina le cose non sono sempre andate come vi racconterò nell’episodio che segue: la medicina che si esercitava nel Tempio di Esculapio (per esempio) non era certo quella di Rodrigo de Castro, ma l’esempio che riporta Sandro Spinsanti su Treccani è funzionale agli aspetti a cui facciamo riferimento: “Rodrigo de Castro, medico del 17° secolo, nel suo trattato Medicus politicus (1614) arriva ad affermare che, come il sovrano governa lo Stato e Dio governa il mondo, il medico governa il corpo umano. Si tratta di un potere assoluto, in cui chi sta in posizione dominante (one up) determina in modo autoreferenziale che cosa è autorizzato a fare a beneficio di chi sta in posizione dominata (one down). Nel caso specifico della medicina, il medico stabilisce la diagnosi, indica l’opportuna terapia e la esegue senza bisogno di informare il malato e senza necessità di ottenere un serio consenso, se non quello implicito nell’affidamento fiduciale. Nessun dovere esplicito gli richiede di dare conto al malato né della diagnosi, né della terapia prescritta. Obblighi di informazione e di coinvolgimento nelle scelte sussistono invece nei confronti dei familiari del paziente, che sono i veri interlocutori del medico e sottoscrivono con lui la vera alleanza terapeutica”.
Questo modello, che costituiva la spina dorsale dell’etica medica, è stato in vigore in Occidente ininterrottamente per venticinque secoli.
“La buona medicina poteva – doveva – interrogarsi se le decisioni prese “in scienza e coscienza” fossero giustificate dalle conoscenze mediche e se fossero veramente orientate al migliore interesse del malato; ma non richiedeva al medico di includere le preferenze del paziente tra gli elementi che determinavano le decisioni. La volontà stessa del paziente era, al limite, irrilevante, qualora il medico fosse in grado di far valere il suo punto di vista, cui veniva riconosciuto il peso della competenza professionale.
La modernizzazione della medicina, avvenuta negli ultimi decenni del 20° secolo, ha messo in crisi il modello tradizionale del potere medico. Le radici del cambiamento di paradigma affondano nella rivendicazione di un potere di autodeterminazione da parte dell’individuo sulle decisioni che riguardano il suo corpo. In medicina il cambiamento è stato registrato due secoli dopo la sua teorizzazione e con molto ritardo rispetto ad altri ambiti della vita; ma alla fine ha avuto luogo”.
Di conseguenza si sono modificate le forme di responsabilità medica che investono la relazione, in una confusione di priorità senza precedenti e di mancata consapevolezza delle differenze. Tutto questo non investe solo il Medico e la Medicina, ma anche la Società Civile: quest’ultimo aspetto non è mai sufficientemente valutato.
Attualmente le forme di responsabilità a cui risponde il medico, pur differenti da quelle previste da un contratto di compravendita o di sola prestazione intellettuale o giuridica (responsabilità debole), coinvolgono varie espressioni di solidarietà, giuramenti, sacralità di tipo vocativo e ideali di servizio insieme con etica e deontologia, che configurano una “responsabilità forte” e che sono state ritenute valide per millenni. Da tali considerazioni che il medico ha sempre ritenuto prioritarie nel suo compito, la responsabilità è considerata discendente più da considerazioni di tipo religioso-valoriale che giuridico. Almeno sino ad ora.
Le attuali richieste della società e dei pazienti, con le loro conseguenti rivendicazioni, hanno determinato il passaggio a considerazioni giuridiche che sono diventate prioritarie (con approdo inevitabile alla medicina difensiva ieri e astensiva oggi) rispetto a quelle valoriali del passato e apprese nel corso degli studi.
Come abbiamo visto nel caso del collega De Castro, nel 17° secolo non esisteva la relazione medico-paziente: se non a senso unico e discendente, il che autorizzava il medico a non tenerne alcun conto, pur mantenendo un comportamento etico. In assenza di relazione e rivendicazione dei diritti del paziente, il problema della relazione e del rispetto dell’autonomia delle parti non si è mai posto nel passato, nemmeno dal punto di vista Etico secondo le Episteme dei vari periodi storici.
Oggi questo mutamento della relazione non è riconosciuto essere vincolo determinante nella decisione finale del medico che per obbligo morale (responsabilità forte) fa prevalere sempre deontologia ed etica.
Nell’astratto degli studi scientifici, però, non emergono le contraddizioni che il medico, dentro di sé, deve sostenere nella clinica di tutti i giorni.
“Affidarmi alla semeiotica a costo zero e rischiare un contenzioso o avviare il paziente alla semeiotica strumentale a costi elevati per essere sollevato da possibili contestazioni su base oggettiva?”
Curare il paziente critico o l’urgenza e rischiare un contenzioso, pur secondo scienza e coscienza (comportamento etico) o cautelarsi dal conflitto medico legale dimostrando di aver ben operato nella ricerca delle cause ed evitare terapie rischiose avviandolo a cure palliative non risolutive ma non rischiose, o non avviarlo affatto o inviarlo ad altre strutture più specializzate e più costose (medicina difensiva, elusiva e astensiva)?
“Cercare di recuperare un dente molto compromesso con una devitalizzazione e rischiare la comparsa di un granuloma che anche parecchi anni dopo potrebbe essermi contestato o estrarre il dente e affidarmi a una procedura implantare eseguita da un altro professionista?”.
La domanda non è oziosa se le catene low cost in odontoiatria non riescono a trovare endodonzisti, in una pletora di implantologi. Queste domande affiorano alle sempre più insistenti richieste della società che si sposta gradualmente e pericolosamente anche verso un’altra deriva: assecondare per interesse economico la trasformazione della Salute in Merce. A parole, a tale baratto la società è contraria in linea di principio, ma quando si tratta di pagare cercherà di ottenere il prezzo più conveniente indipendentemente dal valore della prestazione, della sua qualità o del mantenimento della dignità dell’operatore.
In Medicina il complesso di condizioni critiche va sotto il nome di Aziendalizzazione e Medicina Amministrata con discussioni a non finire sui vincoli che queste determinano sulle decisioni cliniche.
La Società non si accorge che così facendo si avvia verso un declino degli aspetti valoriali della Medicina, verso una lenta perdita di coesione sociale, insoddisfazione degli operatori e verso un ulteriore impennata dei contenziosi.
Questi punti andranno approfonditi, ma sicuramente inseriranno altri dubbi e contraddizioni nell’agire del medico e nella stessa pretesa della Società che, a fronte di una contrattazione scorretta, pretende il mantenimento da parte del medico di comportamenti etici.

