Gli ultimi ritrovati tecnologici hanno molta presa sui pazienti, ma se non adeguatamente gestiti possono mettere a rischio il senso di questa branca dell’odontoiatria, che con la medicina condivide molti elementi: proprio quelli su cui si dovrebbe far leva per mantenerla ben salda e ancorata alla sua mission.

«Per molti aspetti l’ortodonzia di oggi è una disciplina “evidence based”. La letteratura scientifica disponibile alla fine del secolo scorso, infatti, già aveva prodotto linee guida più che sufficienti a pianificare trattamenti su misura, nel rispetto dei limiti biologici. Le metanalisi e i PRCT (o RCT – Randomized Controlled Trial) degli ultimi trent’anni hanno confermato quei dati, mentre l’introduzione di nuove tecnologie, il digitale e gli ancoraggi scheletrici consentono oggi di raggiungere gli obiettivi in modo più semplice e predicibile», ricorda Marco Rosa, medico-chirurgo, specialista in Ortognatodonzia e in Odontostomatologia a Trento, nonché Past President e Active Member dell’Angle Society of Europe che ha conseguito l’European Board of Orthodontics e l’Italian Board of Orthodontics.
«Sono convinto che l’evidenza scientifica a disposizione debba essere il guard-rail dei percorsi terapeutici. Ce n’è a sufficienza per non commettere troppi errori. Vedo però che, purtroppo, nella maggior parte dei casi, c’è poco interesse a studiare i fondamenti del movimento ortodontico, della crescita cranio-facciale e della biomeccanica e incapacità nel resistere alle mode del momento, ai messaggi fuorvianti dell’industria e alle richieste discutibili di molti pazienti e genitori. A questo si aggiunge il fenomeno crescente delle imprese odontoiatriche che potrebbero essere interessate ad acquisire nuovi “clienti”, piuttosto che a prendersi cura dei pazienti».Tutto ciò, sottolinea Rosa, si trasforma in trattamenti ridondanti, lunghi, costosi, di scarso valore, talvolta inutili, sbagliati o addirittura dannosi. «Chi conosce il complesso mondo dell’ortognatodonzia sa bene che i rischi (come peraltro i benefici) sono significativi per i pazienti adulti, ma anche per i bambini e per i pazienti in crescita».
L’ortodonzia intercettiva, da usare con raziocinio
«Ove indicato», spiega il dottor Marco Rosa, «il trattamento intercettivo è sicuramente il miglior investimento nella vita odontoiatrica e può prevenire la necessità di un trattamento ortodontico dei denti permanenti, ma può anche essere la scelta peggiore: per il paziente e per noi». L’ortodonzia intercettiva, fa notare l’esperto, mette d’accordo ed entusiasma tutti per la sua nobile, ma troppo generica mission, di “far crescere dritto” il piccolo paziente, anziché “raddrizzarlo” in dentatura permanente.
«É un ambito che posso dire di conoscere abbastanza bene e nel quale la confusione e la superficialità sono purtroppo ancora ben radicate. Esistono indicazioni indiscutibili al trattamento intercettivo (quasi tutti i morsi inversi, l’instabiltà occluso-articolare, molte asimmetrie, alcune classi III, pochissime classi II, la possibilità di prevenire l’affollamento dentale, alcune discrepanze scheletriche), ma sono altrettanto chiare le controindicazioni».
Le priorità riguardano la capacità di assegnare una diagnosi precocemente e la necessità di individuare i bimbi che non devono essere trattati prima della completa dentatura permanente.
«I genitori dei piccoli pazienti sono molto motivati e in genere sono più disposti a iniziare un trattamento inutile o non ottimale, che a procrastinare l’inizio della terapia.
D’altronde, la prevenzione e l’igiene sono i fondamenti dell’assistenza sanitaria, ma solo se supportati dallo studio, dalla conoscenza e dall’etica professionale». Per queste ragioni, Rosa, questa volta nella sua veste di docente e autore di numerose pubblicazioni scientifiche, ai giovani ortodontisti consiglia di concentrarsi sui fondamenti biologici dell’ortognatodonzia, di seguire protocolli semplici e strutturati per evitare complicazioni inutili. «Documentate i trattamenti», dice, «confrontatevi con i colleghi e uscite dalla comfort zone per crescere. Non abbiate fretta, ma non perdete tempo: l’ortodonzia è un percorso lungo, da vivere con passione».
Non semplificare troppo le cure

È il monito di Nunzio Cirulli, odontoiatra pugliese che ha costruito il suo percorso accademico tra Bari e Varese, specializzandosi in ortognatodonzia e conseguendo un dottorato di ricerca.
Per lui, l’ortodonzia non si limita all’allineamento dei denti, ma rappresenta una disciplina medica a tutti gli effetti. «L’ortodonzia è la branca odontoiatrica più medica e dovrebbe essere considerata parte integrante della medicina», afferma, spiegando che il suo campo di azione include non solo l’estetica, ma anche la funzione dell’apparato stomatognatico. Problemi come la respirazione orale e le apnee notturne devono essere affrontati con un approccio multidisciplinare. Negli ultimi anni, però, la percezione dell’odontoiatria si è spostata sempre più verso l’estetica. «Abbiamo perso la battaglia per far comprendere il vero ruolo dell’ortodontista in ambito medico», denuncia Cirulli.
La tendenza attuale è quella di promuovere trattamenti rapidi e di facile accesso attraverso i social media, trascurando gli aspetti funzionali e di salute a lungo termine.
«Se non si considera la stretta connessione tra distretto orale e respiratorio, si rischia di trattare solo i sintomi e non le cause».
Questo errore, fa notare Cirulli, è particolarmente evidente nei bambini, dove una respirazione orale non intercettata e corretta può portare a una malocclusione e a un rischio di recidiva quasi inevitabile. Negli adulti, la correzione di problematiche ortodontiche non affrontate in età giovanile richiede una pianificazione ancora più accurata. «Un paziente adulto spesso presenta problematiche più complesse e la sua cura deve coinvolgere più specialisti, dallo gnatologo al chirurgo maxillo-facciale. A volte, è utile anche il supporto di un nutrizionista o di uno psicologo, perché la mente gioca un ruolo fondamentale nel successo della terapia».
Le nuove tecnologie hanno rivoluzionato il settore, ma non sempre in modo positivo. Se da un lato strumenti digitali avanzati hanno migliorato la pianificazione e la comunicazione con il paziente, dall’altro hanno alimentato un marketing aggressivo che propone una semplificazione eccessiva dei trattamenti. «I casi complessi restano tali e richiedono ancora più attenzione e aggiornamento.
Il problema è che spesso il marketing propone l’ortodonzia come un processo facile e standardizzato, senza considerare le reali complessità biologiche e funzionali».
Un altro mito da sfatare è quello dei trattamenti ortodontici ultraveloci. «I tempi di movimento dentario sono stati ridotti grazie alle nuove apparecchiature e materiali, ma non possono essere annullati.
Ogni paziente ha bisogno di un piano di trattamento personalizzato. Nell’adulto, poi, la questione si complica ulteriormente, perché il trattamento spesso deve essere multidisciplinare, coinvolgendo conservatori, endodontisti, parodontologi e implantologi. Inoltre, stress e abitudini viziate sono sempre più frequenti e sono fattori che possono aggravare il quadro clinico».
Un aspetto fondamentale rimane la relazione con il paziente. Secondo Cirulli, il rapporto medico-paziente deve rimanere saldo e basato sulla fiducia, evitando la deriva commerciale che trasforma l’odontoiatra in un semplice fornitore di servizi. «Il nostro rapporto non deve essere quello di venditore e cliente, ma di medico e paziente. Molti si rivolgono ancora all’ortodontista con fiducia, cercando un esperto che li guidi. Tuttavia, alcuni arrivano con aspettative irrealistiche, spesso condizionate da Internet. Il nostro compito è ascoltare, spiegare con empatia e far valere la nostra competenza. Le nuove tecnologie possono aiutare nella comunicazione, mostrando la complessità del caso, ma senza svendere la professionalità».
L’espansione del mercato odontoiatrico ha portato a una crescente influenza di Internet sulle scelte terapeutiche dei pazienti.
«Trovare informazioni online è facile, e molti credono di poter fare da sé. Purtroppo, anche alcuni giovani dentisti si lasciano trascinare da questo trend, alimentando il mercato di apparecchi ortodontici preconfezionati, spesso senza un’adeguata valutazione. Il rischio è che si arrivi all’autoterapia, con conseguenze disastrose: recidive nel migliore dei casi, ma anche danni ai muscoli cranio-mandibolari, disordini occlusali e articolari».
Le nuove sfide per l’ortodontista riguardano invece gli ambiti medici, come la cura delle apnee del sonno e i disturbi dell’articolazione temporo-mandibolare. «Un paziente con artrite reumatoide, ad esempio, va valutato con estrema attenzione prima di iniziare un trattamento, specie con allineatori, perché la modifica della dimensione verticale potrebbe causare alterazioni articolari gravi. La correlazione tra ortodonzia e condizioni patologiche sistemiche è spesso sottovalutata, ma rappresenta una delle principali cause di insuccesso e di controversie medico-legali».
Queste dispute si verificano spesso quando il paziente attribuisce i propri dolori a un trattamento ortodontico errato. «Se il trattamento è semplice, il rischio di problemi è basso. Ma se si corregge una malocclusione complessa senza considerare le patologie sottostanti, il rischio di complicazioni aumenta. Per questo, è fondamentale una pianificazione accurata e multidisciplinare», e possibilmente lontana dai condizionamenti del mercato.
Distinguersi nell’oceano dell’odontoiatria

«Ogni lunedì pubblico un caso clinico, ormai ne ho condivisi oltre 800. Il nostro gruppo non è solo virtuale: organizziamo congressi e corsi per approfondire la disciplina», racconta Andrea Alberti, odontoiatra che si occupa esclusivamente di ortodonzia, fondatore del blog “Compagnia ortodontica”, una piattaforma nata nel 2013 e cresciuta fino a contare oggi oltre 3000 membri. Oltre alla pratica clinica, Alberti ha sviluppato un approccio mirato alla comunicazione sui social media, distinguendosi per un uso strategico rivolto più ai colleghi che ai pazienti. «C’è molta confusione nell’uso dei social da parte dei dentisti. Alcuni non sanno se indirizzare il messaggio ai pazienti o ai colleghi. Io, per esempio, non ho neanche un profilo Instagram per lo studio: vivo e lavoro a Cesena, una città di centomila abitanti, dove il passaparola è ancora più efficace dei social nella selezione della tipologia di pazienti».
Secondo Alberti, infatti, i social tendono a generare una selezione eterogenea dei pazienti, spesso attratti da immagini d’impatto piuttosto che dalla reale qualità del trattamento. «Molti colleghi puntano sull’effetto “shock” delle immagini per attirare l’attenzione. Io preferisco costruire autorevolezza nel tempo, attraverso la formazione e la condivisione di casi clinici con altri specialisti. I pazienti che mi scelgono percepiscono il valore della mia esperienza e non si aspettano trattamenti standardizzati o soluzioni rapide».
La scelta di dedicarsi esclusivamente all’ortodonzia è stata frutto di una decisione ponderata, ispirata dal suo maestro, il professor Giulio Alessandro Bonetti. «Nel 2003 ho aperto il mio studio ortodontico con due poltrone. Nel 2018 ho ampliato la struttura, aggiungendo una sede formativa e aumentando il numero di collaboratori. A quel punto ho valutato se includere altri specialisti, ma ho deciso di rimanere focalizzato esclusivamente sull’ortodonzia». Questa scelta rientra in una strategia ben precisa, che Alberti paragona alla strategia di business detta Oceano Blu, ossia differenziarsi per emergere in un mercato affollato. «Essere un ortodontista esclusivista mi ha permesso di distinguermi rapidamente, proprio perché nel mio territorio non c’erano molti studi con questo approccio. Ho anche organizzato un master, presso l’università internazionale di Roma Unicamillus, su questo tema, perché ritengo ci sia ancora spazio per chi voglia specializzarsi in modo netto. Un modello simile si trova nel settore aereo con Ryanair che usa un solo tipo di aeromobile per ridurre costi e complessità. Anche in odontoiatria, focalizzarsi su un’unica prestazione permette di ottimizzare tempi, materiali e qualità del servizio».
In un contesto di mercato in continua evoluzione, Alberti riconosce che gli ortodontisti che lavorano come consulenti esterni negli studi generali sono sempre più esposti alle logiche economiche imposte dai grandi gruppi odontoiatrici.
«Molti studi storici sono stati acquisiti da catene, che valutano ogni prestazione in termini di margine economico. Chi lavora come consulente ortodontico si troverà sempre più sotto pressione. Avere uno studio esclusivamente ortodontico, invece, permette di mantenere una maggiore indipendenza clinica ed economica».
Un aspetto centrale della sua pratica è la collaborazione interdisciplinare. A differenza di uno studio generalista, dove il parco pazienti rimane stabile nel tempo, un ortodontista deve costantemente acquisire nuovi casi.
«Se prima i dentisti erano il principale canale di invio, oggi molti di loro hanno ortodontisti interni o addirittura gestiscono i casi in proprio con nuove tecnologie. Ecco perché è fondamentale creare una rete di collaborazione con pediatri, otorini e medici di base, senza secondi fini economici, ma con un reale scambio culturale. Quando un otorino mi invia un paziente, a fine trattamento gli invio un report con i risultati ottenuti: è un modo per rafforzare la fiducia e migliorare la qualità della cura».
Guardando al futuro della professione, Alberti ritiene che il modello di struttura esclusivamente ortodontica sia difficilmente replicabile in altre branche odontoiatriche. «L’ortodonzia ha un ciclo di trattamento particolare, al termine del quale la terapia si conclude, diversamente da altre specialità che possono e devono seguire i pazienti lungo tutta la loro vita.
È probabile che vedremo sempre più studi dentistici generalisti accanto a studi di ortodonzia puri. Le altre discipline potrebbero avere una specializzazione interna, ma difficilmente nasceranno studi focalizzati solo, ad esempio, sull’implantologia. La multidisciplinarità resta essenziale e fondamentale la collaborazione a distanza con altri professionisti, ma per gli ortodontisti la scelta di un percorso esclusivo può fare davvero la differenza».
Le preoccupazioni del SUSO sull’ortodonzia

Ci aiuta a comprenderle in questa intervista Santi Zizzo,
odontoiatra pediatrico, ortognatodontista e segretario nazionale
del Sindacato Unitario Specialità Ortognatodonzia (SUSO), l’associazione nata nel 1976 a Torino, oggi in forte crescita,
che nel triennio 2025-27 avrà come Presidente Fabrizio Sanna che succede al dottor Gianvito Chiarello.
Dottor Zizzo, come sta innanzitutto l’ortodonzia in Italia? Si può parlare di una scuola italiana?
«L’ortodonzia italiana è in piena salute, su tutto il territorio nazionale sono ben distribuite le scuole di specializzazione in ortognatodonzia con direttori ben accorsati e corsi di studio formativi. Si può certamente parlare di scuola italiana di ortognatodonzia, poiché grandi traguardi si sono raggiunti dall’istituzione della prima scuola di ortodonzia a Cagliari per merito dei compianti Paolo Falconi (primo direttore) e Franco Magni, di Maso Caprioglio e dei pionieri del GISO (Gruppo Italiano Studio Ortodonzia).
La scuola italiana di ortodonzia oggi è ampiamente riconosciuta ed apprezzata in tutto il mondo, poiché i suoi esponenti sono apprezzati relatori in tutti i consessi internazionali e chiamati a dirigere i massimi organismi come dimostrano la recente elezione della professoressa Letizia Perillo alla Presidenza della WFO (World Federation of Orthodontists) per il quinquennio 2025/2030, la professoressa Ambra Michelotti chiamata a guidare il Network of Erasmus Based European Orthodontic Programs (NEBEOP), il professor Alberto Caprioglio alla presidenza dell’European Board of Orthodontics (EBO)».
Quali sono, oggi, i temi che più appassionano gli specialisti di questa branca dell’odontoiatria, e di cui il SUSO si fa promotore?
«Da sempre gli ortognatodontisti sono consapevoli dell’importanza di dover fornire un sorriso esteticamente valido e delle arcate dentarie con le giuste relazioni occlusali, poiché questi sono fattori importanti per la salute psicologica e per il benessere di ogni persona. Il Suso promuove la ricerca e la continua formazione e l’aggiornamento dei propri iscritti al fine di offrire le migliori opportunità terapeutiche ai cittadini di ogni età. Tra le nuove tecnologie, il cosiddetto “digital flow” rappresenta sicuramente un’opportunità per migliorare le prestazioni del professionista e per aumentare la compliance della persona in cura, a patto che si parta dall’elemento cardine di ogni piano terapeutico: la diagnosi».
Ed è questa la preoccupazione…
«Sì, la preoccupazione principale sta nel fatto che i gestori di società di capitale hanno “pensato bene” di sfruttare il flusso digitale per bypassare l’esame diagnostico, fornendo dei trattamenti di allineamento dentale che sono ben lontani dall’essere trattamento terapeutico e che, pertanto, non sono esenti da rischi per la salute delle persone che vi si affidano».
Cosa propone il SUSO per tutelare i pazienti, ma anche i professionisti stessi dai rischi di una deriva “commerciale”, cioè non basata sull’evidenza scientifica?
«Il SUSO è stato sempre in prima linea nella difesa della deontologia professionale, attraverso la diretta partecipazione nella formulazione del nuovo codice deontologico, sia nello scongiurare l’“americanizzazione” dell’allineamento dentale: si volevano creare in Italia dei smile’s points, simili a quelli americani, gestititi dalle fabbriche di allineatori senza la presenza di odontoiatri formati ed accorsati come gli ortodontisti. Credo che la promozione e la salvaguardia della salute passi attraverso l’alleanza tra i medici e le persone per la prevenzione in prima battuta come si propone, ad esempio, meritoriamente l’Odontoiatria Materno Infantile network tra professionisti di diverse branche che vede medici e genitori uniti insieme per la salute dei bambini e per la buona medicina».