Una recente revisione sistematica ha analizzato l’uso dell’intelligenza artificiale per rilevare la malattia parodontale, a partire da fotografie intraorali. Gli autori della ricerca internazionale, condotta sotto la guida dell'Università di Hong Kong, hanno analizzato 26 studi clinici, pubblicati tra il 2019 e il 2025, con fotografie acquisite tramite reflex professionali, telecamere intraorali, smartphone e dispositivi “home-use”.
Come lavorano i modelli e su quali dati
Gli studi hanno impiegato tre classi di compiti: classificazione dell’immagine (17 studi), detection con riquadri di interesse (4 studi) e segmentazione pixel-wise delle aree gengivali (5 studi). Le dimensioni campionarie variavano da 20 a 12.600 immagini; tre dataset erano pubblici. Solo 10 studi hanno usato un vero esame clinico come riferimento; i restanti si sono basati su ispezione visiva delle foto. Otto studi hanno coinvolto più esperti per l’annotazione; nove hanno sfruttato viste multiple intraorali, mentre la maggioranza si è limitata al solo scatto frontale. In diversi lavori sono state adottate reti CNN personalizzate; alcuni hanno valutato software commerciali, con risultati discordanti fra test interni ed esterni.
Le prestazioni: numeri e interpretazione
Le metriche riportate sono eterogenee. Per la classificazione, l’accuratezza spazia da 0,46 a 1,00; la detection da 0,56 a 0,78; per la segmentazione l’IoU varia tra 0,43 e 0,70. Secondo quanto emerso dalla revisione, valori elevati di una singola metrica non garantiscono utilità clinica, specie con dataset sbilanciati. Quando presenti, invece, i test esterni mostrano cali di performance rispetto alla validazione interna, a conferma della sensibilità del modello a dispositivi, popolazioni e protocolli d’immagine diversi.
Criticità metodologiche per il clinico
Tre sono i punti deboli osservati: (1) qualità e standardizzazione delle immagini (illuminazione, fuoco, risoluzione, viste multiple); (2) riferimenti diagnostici non allineati ai gold standard della Classificazione Parodontale 2018 (necessari BOP, CAL, RBL, storia terapeutica); (3) reporting incompleto delle metriche e scarsa trasparenza su annotatori, calibrazione e accordo inter-valutatore. Ne consegue che, allo stato attuale, l’AI su fotografie intraorali è promettente per triage e tele-odontoiatria, ma non sostituisce l'esame clinico, né quello radiografico.
Cosa fare domani in studio (e nella ricerca)
Per integrare in sicurezza questi strumenti, secondo gli autori dello studio, pubblicato sull'International Dental Journal, occorre seguire alcuni passi. Innanzitutto, migliorare la qualità fotografica (protocolli di ripresa e viste standard); inoltre, preferire modelli validati esternamente su dataset indipendenti e multietnici; ma anche adottare linee guida di reporting (es. Dental AI Checklist, DentalCOMS, CLAIM) e puntare su sistemi explainable e su interfacce usabili dai pazienti. In pratica, l’intelligenza artificiale può supportare lo screening remoto e motivare il rinvio a visita, ma la diagnosi e il programma di trattamento restano atti clinici nel senso più tradizionale del termine.



