L’importanza del fluoro nella prevenzione della carie è nota fin dagli anni Cinquanta, quando si scoprì una correlazione tra la sua elevata concentrazione nelle acque e la fluorosi dentale.

«Dalle ricerche condotte a cavallo di quegli anni, emerse che le popolazioni con denti macchiati dal fluoro in eccesso erano quasi completamente esenti da carie», spiega Maria Grazia Cagetti, docente di odontoiatria pediatrica presso l’Università degli Studi di Milano, «sino a comprendere che il fluoro, in dosaggi adeguati, poteva essere un potente alleato nella prevenzione della carie». Oggi, la ricerca ha confermato che il fluoro è Pierluigi Altea efficace non solo nel prevenire la carie, ma anche nel trattare le lesioni iniziali. «Il fluoro è in grado di remineralizzare il tessuto dentale demineralizzato. Se la lesione è ancora nelle prime fasi, senza cavità, il fluoro può invertire il processo carioso». Il suo utilizzo è quindi fondamentale non solo nella prevenzione quotidiana, ma anche come strumento terapeutico, in particolare nei pazienti che non collaborano alle cure tradizionali. «Nei bambini molto piccoli o nei soggetti con disabilità, l’uso del fluoro può aiutarci a controllare la progressione della lesione, evitando dolore e complicazioni in attesa di poter intervenire con trattamenti più strutturati». Il fluoro è presente nella maggior parte dei prodotti per l’igiene orale, principalmente nei dentifrici, ma anche in collutori, gel e mousse. «A livello domiciliare il suo utilizzo è soprattutto preventivo, mentre in ambito professionale esistono formulazioni ad alta concentrazione, tra 20.000 e 40.000 ppm, che vengono applicate periodicamente nei pazienti ad alto rischio di sviluppare carie». Le applicazioni professionali possono essere eseguite con frequenza trimestrale o semestrale, in base alla valutazione del rischio effettuata dall’odontoiatra o dell’igienista dentale.
Scongiurare il rischio di fluorosi
Un aspetto fondamentale è il corretto dosaggio del fluoro, per evitare il rischio di fluorosi dentale, una condizione che si verifica quando il fluoro viene assunto in eccesso durante la formazione dello smalto, ovvero fino ai 7-8 anni. «Un’assunzione eccessiva può determinare alterazioni strutturali dello smalto, che vanno da semplici macchie opache fino a difetti più gravi» spiega la professoressa. Tuttavia, in Italia il rischio di fluorosi è basso, poiché il fluoro è presente nell’acqua potabile solo in piccole quantità. «Le uniche eccezioni si trovano nelle aree vulcaniche, come quelle intorno al Vesuvio e all’Etna, dove il terreno è naturalmente più ricco di fluoro e l’acqua può contenerne quantità maggiori». In questi casi, un consumo elevato e continuativo di acqua del rubinetto, combinato con dentifrici fluorati e integratori, può portare a un sovradosaggio. «Per il resto della popolazione, il rischio è trascurabile, a patto che si rispettino le dosi consigliate». Le linee guida ministeriali italiane, in linea con quelle internazionali, stabiliscono che la concentrazione ottimale nei dentifrici sia di 1000 ppm per quelli destinati ai bambini e fino a 1500 ppm per i prodotti impiegati dagli adulti. «Concentrazioni inferiori potrebbero non essere sufficientemente efficaci nella prevenzione della carie», nota Cagetti.
Anche la quantità di dentifricio utilizzata deve essere adeguata all’età. «Nei bambini fino a tre anni si consiglia un quantitativo pari a un chicco di riso, tra i tre e i sei anni a un pisello, mentre dopo i sei anni si può utilizzare una dose piena, pari a circa due centimetri di prodotto sullo spazzolino». Dopo questa età, infatti, la formazione dello smalto è completata e il rischio di fluorosi si riduce notevolmente. Un tema spesso dibattuto è il risciacquo dopo lo spazzolamento. «Subito dopo l’applicazione del dentifricio, gli ioni fluoro precipitano legandosi al calcio presente nella saliva, formando fluoruro di calcio, un sale che funge da riserva di fluoro» spiega la professoressa Cagetti. «Se ci si sciacqua subito dopo con molta acqua, una parte del fluoro viene eliminata, ma una quantità significativa rimane comunque nel cavo orale». Alcuni studi hanno suggerito che evitare il risciacquo o utilizzare poca acqua potrebbe aumentare l’efficacia del fluoro, ma l’evidenza scientifica su questo punto non è ancora definitiva.
A livello internazionale, esistono approcci diversi alla fluoroprofilassi. «Negli Stati Uniti, ad esempio, il fluoro viene aggiunto direttamente all’acqua potabile, in modo che l’intera popolazione ne benefici», spiega Cagetti. Questo sistema permette di sfruttare sia l’effetto topico, attraverso il contatto diretto con i denti, sia quello sistemico nei denti in via di formazione. Tuttavia, oggi la comunità scientifica concorda sul fatto che l’azione principale del fluoro sia topica. «Per questo, nei Paesi europei si preferisce puntare sull’applicazione diretta attraverso dentifrici e trattamenti professionali, piuttosto che sulla somministrazione sistemica». Dopo i sei-otto anni, infatti, quando la mineralizzazione dello smalto è completata, l’assunzione di fluoro per via sistemica perde di significato, mentre il suo utilizzo topico rimane efficace per tutta la vita. L’uso del fluoro nella prevenzione della carie ha suscitato anche controversie, con movimenti contrari alla fluoroprofilassi che ne hanno messo in discussione la sicurezza. Tuttavia, la ricerca scientifica ha dimostrato che i benefici nella prevenzione della carie superano di gran lunga i rischi, se il fluoro viene utilizzato correttamente. «Non si può godere appieno della protezione contro la carie senza accettare un rischio seppure minimo di fluorosi lieve», conclude Cagetti. «Si tratta di un effetto estetico spesso impercettibile, che però garantisce una protezione significativa contro la carie. L’importante è seguire le linee guida e utilizzare il fluoro in modo consapevole. Di recente sono stati introdotti sul mercato dentifrici senza fluoro arricchiti con idrossiapatite, un composto di calcio e fosfato, ossia gli stessi elementi che costituiscono la struttura dentale. I primi studi sulla sua efficacia nella prevenzione della carie hanno mostrato risultati promettenti; tuttavia, questi prodotti non hanno ancora ottenuto un pieno riconoscimento dalla comunità scientifica, a differenza del fluoro, il cui ruolo preventivo è ampiamente riconosciuto».
La prevenzione pediatrica, prima della fluoroprofilassi

Il legame tra pediatria e odontoiatria è più stretto di quanto si immagini, soprattutto nell’ambito della prevenzione. A suggerirlo è Gualtiero Mandelli, laureato in Medicina e Chirurgia, specializzato in Pediatria e successivamente in Odontoiatria e Ortodonzia. «Ho scelto di dedicarmi interamente all’ortodonzia» spiega, «ma il mio percorso pediatrico ha influenzato profondamente il mio approccio clinico, soprattutto nei confronti dei più piccoli». Da 34 anni esercita a Verano Brianza, dove ha uno studio odontoiatrico multidisciplinare, e a Monza, in una struttura dedicata esclusivamente all’odontoiatria pediatrica e all’ortodonzia. Secondo il dottor Mandelli, il pediatra è il primo riferimento per la salute del bambino e ha un ruolo chiave nella prevenzione della carie. «Oltre a occuparsi delle patologie acute e croniche, deve educare i genitori sulle corrette pratiche di igiene orale». Tuttavia, il suo ruolo nella prevenzione non è sempre valorizzato. «Spesso il carico di lavoro elevato non gli permette di dedicare abbastanza tempo a questo aspetto». Per migliorare la situazione, secondo Mandelli andrebbe rafforzata la collaborazione tra pediatri e odontoiatri. «La prevenzione orale dovrebbe iniziare fin dai primi giorni di vita, perché oggi sappiamo che i primi 1000 giorni, come insegnano recenti pubblicazioni curate da Luigi Paglia, Roberto Gatto e Matteo Beretta, sono fondamentali per la salute orale futura».
Di qui anche la necessità di chiarire i termini sulle pratiche relative all’uso del fluoro, non sempre facili da comprendere. «Per anni, i pediatri si sono trovati in difficoltà tra pareri contrastanti e protocolli poco chiari», osserva Mandelli. «Oggi la fluoroprofilassi non è ancora ben definita e bisognerebbe riportare l’attenzione non solo sul fluoro, ma su tutte le pratiche preventive, implementando anche le strategie di prevenzione primaria complementari all’uso del fluoro, come l’educazione all’igiene orale precoce e la limitazione dei contatti promiscui tra caregiver e bambino». Attualmente, la scienza conferma che il fluoro topico è la soluzione più efficace per prevenire la carie. «Va introdotto fin dalla comparsa del primo dentino, con prodotti adatti all’età», spiega Mandelli. L’uso sistemico, invece, dovrebbe essere riservato solo a casi specifici. «Spesso i bambini arrivano dallo specialista troppo tardi, quando il danno è già avanzato». Un aspetto critico è il rischio di fluorosi dentale, dovuto all’ingestione accidentale di dentifricio nei bambini più piccoli. «È essenziale monitorarne le quantità e insegnare ai genitori come dosarlo correttamente». L’informazione è la chiave per una prevenzione efficace. «Dobbiamo aggiornare il pediatra su ciò che può fare per la salute orale e dargli strumenti pratici per aiutare le famiglie: solo così possiamo ridurre l’incidenza della carie e garantire ai bambini un futuro con denti sani».
Dalla fluoroprofilassi al rafforzamento dell’odontoiatria pubblica

Il passaggio sembra quasi obbligato, secondo Luciano Zaffarano, specialista in Odontoiatria Pediatrica e professore a contratto presso l’Università degli Studi di Cagliari. Membro della International Association of Pediatric Dentistry (IADP) e del board OMI (Odontoiatria Materno Infantile), Zaffarano è anche autore di numerosi articoli scientifici e revisore per riviste indicizzate, nonché relatore internazionale, avendo partecipato a congressi in diversi Paesi, tra cui Messico, Romania, Turchia, Egitto e Belgio.
Dottor Zaffarano, l’impiego del fluoro in odontoiatria è ampiamente consigliato ormai da anni: rispetto a ciò che avviene in Italia, all’estero come stanno le cose?
«Il fluoro è uno degli strumenti più efficaci per la prevenzione della carie ed è stato ampiamente adottato a livello globale attraverso diverse strategie, tra cui la fluorizzazione delle acque potabili e l’uso di dentifrici fluorati. In Italia, la fluorizzazione dell’acqua non avviene, ma i dentifrici con fluoro sono ampiamente utilizzati. In altri Paesi, come Stati Uniti, Australia e Regno Unito, la fluorizzazione dell’acqua è una misura di sanità pubblica consolidata, mentre in Europa questa pratica è meno diffusa. Anche il Giappone ha adottato un approccio simile, con livelli di fluoro più bassi rispetto agli Stati Uniti, questo sulla base di diversi studi che hanno evidenziato come, con la crescente diffusione del dentifricio fluorato, la differenza in termini di efficacia preventiva tra chi è esposto ad acque fluorate e chi non lo è si sia progressivamente ridotta. Questo suggerisce che il focus preventivo debba essere rivolto sempre più all’uso corretto e personalizzato dei dentifrici fluorati, piuttosto che alla fluorizzazione sistemica dell’acqua».
Come rispondono i pazienti?
«La risposta dei pazienti alle raccomandazioni sull’uso del fluoro è influenzata da diversi fattori, tra cui il livello di conoscenza, l’accesso alle cure e la diffusione di informazioni spesso fuorvianti. In Italia, la non fluorizzazione delle acque rende i pazienti generalmente più aperti all’uso del dentifricio fluorato. Tuttavia, nei Paesi in cui l’acqua è fluorizzata, si osserva un atteggiamento diverso: chi è già esposto al fluoro attraverso l’acqua tende a essere più riluttante nell’utilizzare dentifrici fluorati per timore di un sovradosaggio. Per questo motivo, gli odontoiatri in quei contesti valutano il livello di fluoro nelle acque prima di consigliare una determinata concentrazione di fluoro nel dentifricio, adattando la prescrizione alle necessità specifiche del paziente. Un altro aspetto critico è la diffusione sempre più “subdola” della disinformazione: sebbene il fluoro sia sostenuto da solide evidenze scientifiche, il dibattito pubblico è spesso inquinato da fake news che mettono in discussione la sua sicurezza ed efficacia. Questo porta molti pazienti a diffidare delle raccomandazioni della maggior parte degli odontoiatri, rendendo ancora più necessaria un’educazione basata su dati concreti e comprensibili».
Qual è dunque il migliore approccio?
«La prevenzione della carie richiede una strategia che operi su due livelli distinti: l’individuo e la comunità. Oggi si parla prevalentemente di strategie di prevenzione mirate all’individuo, basate su informazione e responsabilizzazione. Tuttavia, sebbene questo approccio sia efficace, non è sempre immediato né facilmente applicabile su larga scala. L’individuo che avrebbe maggiore necessità di ricevere informazioni e supporto, spesso è proprio quello che dal dentista non arriva: secondo gli ultimi dati ISTAT, circa una persona su due non si reca dall’odontoiatra almeno una volta all’anno, limitandosi a chiedere cure solo in caso di urgenza. Per questi soggetti, l’unico livello di azione possibile è quello comunitario, che richiede strategie e risorse ben diverse da quelle adottate per chi già accede alle cure odontoiatriche. Si potrebbe discutere per ore su quali siano le migliori strategie di salute pubblica, ma la realtà è che senza un rafforzamento dell’odontoiatria pubblica, qualsiasi piano rimane teorico. Da troppo tempo ormai il settore odontoiatrico pubblico è sempre più messo alla prova e si regge spesso sulla buona volontà di pochi “resistenti”. Un Paese come il nostro, fondato sul diritto alla salute, meriterebbe un sistema odontoiatrico pubblico dotato delle risorse e delle competenze necessarie per garantire prevenzione e cura a tutti i cittadini. Perché la prevenzione funziona solo se è accessibile a tutti».