L’odontoiatria è in continua evoluzione, tra nuovi materiali, tecniche adesive e strumenti digitali sempre più sofisticati. Ma è davvero tutto oro quello che luccica? In questa intervista un clinico di fama internazionale chiarisce i limiti di alcune tecniche oggi molto in voga e spiega perché, alla fine, la chiave del successo resta sempre la stessa: conoscenza, corretta esecuzione dei protocolli e attenzione ai dettagli.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a un continuo miglioramento dei materiali adesivi e dei compositi. Quali sono i limiti attuali e quali sviluppi possiamo aspettarci nel prossimo futuro?
Adesivi e compositi sono ormai sempre più affidabili. Per la verità non ho ancora testato materiali che si possano definire novità rivoluzionarie, ma è certamente in atto una tendenza volta a semplificare l’utilizzo e a ottimizzare la resa del colore delle diverse masse. C’è inoltre una grande attenzione all’aspetto biologico, al miglioramento delle proprietà meccanico-fisiche dei materiali e agli aspetti che favoriscono l’aumento della resistenza dei restauri.
Se proprio vogliamo, uno dei limiti attuali, rispetto alle ceramiche, riguarda il mantenimento della stabilità della superficie. Tuttavia, con i compositi possiamo ottenere risultati che fino a qualche decennio fa erano impensabili.
Esistono ancora controversie sulla scelta tra tecnica adesiva diretta e indiretta in termini di longevità e predicibilità dei restauri?
In un restauro totalmente basato sull’interfaccia adesiva, che sia una quarta classe senza ritenzioni oppure un intarsio o una faccetta, è fondamentale eseguire bene l’adesione. Con le conoscenze che abbiamo acquisito su questa tecnica, il timore che le macro-ritenzioni non siano durevoli è del tutto infondato. Quando sfruttiamo un substrato costituito da smalto naturale, otteniamo una stabilità e una potenziale longevità straordinarie, ma per ottenere questo risultato è essenziale seguire protocolli corretti e saper sfruttare al massimo lo smalto disponibile.
Il limite, infatti, non risiede tanto nei materiali, bensì nel modo in cui li utilizziamo: bisogna evitare le scorciatoie procedurali che, nel lungo periodo, non pagano.
L’uso di matrici sezionali è ormai diffuso. Ci sono ancora margini di miglioramento?
L’evoluzione delle tecniche conservative dirette ha spronato il mercato alla ricerca di continue innovazioni, che sono puntualmente arrivate. Forse ora siamo in una fase in cui più che altro si continuano a migliorare singoli aspetti e dettagli, che però non cambiano strategicamente quanto è già a nostra disposizione. Come clinico, non mi farei troppo suggestionare dall’idea che, se non possiedo l’ultimo modello aggiornato a sei mesi fa, io non possa eseguire un buon restauro. Le performance attuali sono già di alto livello.
Con l’avvento delle tecniche minimamente invasive, fino a che punto possiamo spingerci nel preservare la struttura dentale senza compromettere la resistenza del restauro?
Qualsiasi restauro minimamente invasivo può garantire resistenze anche molto elevate. Oggi possiamo essere molto più conservativi rispetto al passato, senza compromettere la durata e la tenuta del risultato. Nei restauri diretti, la preservazione è quasi totale: non è più necessario effettuare preparazioni invasive perché si rimuove solo la porzione di tessuto strettamente indispensabile. Nel caso delle tecniche indirette, quando si tratta il dente è necessario avere determinate garanzie, come il tipo di substrato disponibile. Se abbiamo smalto, la resistenza risulterà elevatissima anche con spessori molto piccoli. Per quanto riguarda le faccette è necessario sapere che la tanto da alcuni invocata tecnica no-prep può sì consentire di spingersi fino al massimo della preservazione, ma solo in casi specifici, con denti che abbiano determinate caratteristiche e sempre rispettando gli spazi, altrimenti si possono avere problemi.
I restauri ultra-sottili in ceramica e composito sono sempre più comuni. Quali indicazioni devono avere per essere realmente efficaci?
I restauri ultra-sottili richiedono una attenta progettazione. È fondamentale calibrare gli spessori, che possono essere ridotti, ma non necessariamente sottilissimi. Con una progettazione adeguata, si può ottenere un range di sicurezza tra 0,5 millimetri e un millimetro di spessore, assicurando una affidabilità elevatissima. Spessori inferiori richiedono invece una valutazione più cauta, che si basa sul tipo di occlusione del paziente, sul carico che il dente riceverà, sul substrato disponibile e anche sulla tipologia di materiale adesivo utilizzato.
La vera domanda è: abbiamo davvero bisogno di eseguire restauri da 0,2-0,3 millimetri? La mia risposta da clinico è: no. Spesso non è necessario scendere a spessori così ridotti. Mi capita di proporre restauri che rimangono nel range di un millimetro: nella maggior parte dei casi lo si può considerare uno spessore di tutta tranquillità, che non danneggia il dente e non rappresenta un overtreatment.
La tendenza, oggi diffusa, di eseguire a tutti i costi un restauro minimo a volte non ha una vera indicazione clinica: lo si fa perché è di moda.
In sintesi, per un restauro con carico funzionale importante in un paziente parafunzionale o per modificare il colore del dente, uno spessore di 0,3 millimetri non è indicato. Può esserlo solo se ho una struttura integra e il restauro è volto esclusivamente a cambiare la morfologia del dente.
Quali sono i principali fattori che influenzano la durata di un restauro e come possiamo migliorare i protocolli per garantire la massima longevità?
I fattori per il successo sono la selezione del materiale, il substrato e la polimerizzazione. Nei restauri diretti non si deve sottovalutare l’importanza di una buona polimerizzazione e, nel dubbio, è sempre meglio sovra polimerizzare. Nei restauri indiretti, valgono gli stessi principi: scegliere il materiale giusto, promuovere una corretta adesione e sfruttare al massimo lo smalto disponibile.
I materiali bioattivi stanno guadagnando sempre più attenzione. Quale futuro in odontoiatria conservativa?
I bioattivi sono la vera avanguardia dei materiali restaurativi. Non solo possiedono caratteristiche meccaniche e fisiche in continuo miglioramento, ma anche l’aspetto biologico è stato implementato. Arriveremo al punto in cui non ci sarà più bisogno di precisare che stiamo utilizzando un bioattivo, perché diventerà la routine quotidiana.
Il concetto di biomimetismo sta guidando molte innovazioni nei materiali restaurativi. Quanto è davvero possibile riprodurre la complessità della struttura dentale con i materiali attuali?
Oggi si dedica molto impegno al tentativo di replicare in modo assoluto le strutture dei tessuti dentari per forma, volumi e dimensioni, ma questo spesso non porta ai risultati desiderati, perché i materiali restaurativi hanno caratteristiche diverse da quelle del dente naturale. Per agire correttamente occorre conoscere bene i materiali, ma anche accettare che, pur utilizzandoli, non si possa sempre ottenere la bioemulazione desiderata e nemmeno la replica biologica dei tessuti duri. Questa ricerca della bioemulazione ha comunque portato a una maggiore comprensione dei materiali e delle loro potenzialità, e questo ha favorito una spinta positiva al miglioramento. Un esempio su tutti: spesso si cerca di realizzare restauri in composito nel settore anteriore concentrandosi sullo spessore e sulla forma del dente, quando poi di fatto uno smalto composito ha un rendimento cromatico e di luminosità diverso rispetto a quello dello smalto naturale. Per una resa ottimale bisogna applicare tecniche di compensazione, stratificare e avere una buona conoscenza dei materiali e dei protocolli. L’abilità dell’operatore è ancora una variabile molto importante, ma solo conoscendo le regole comportamentali dei materiali possiamo ottenere il massimo beneficio e il migliore dei risultati. Spesso si pensa che il dentista che riesce a realizzare soluzioni ricercate abbia un talento innato, quando invece il segreto del suo successo e del buon risultato è frutto di studio e di conoscenza delle regole del gioco applicate con attenzione e con costanza. Senza queste basi è facile incorrere in errori, senza capirne poi le cause.
Un consiglio utile per i professionisti più giovani...
Ho dedicato la vita a cercare di approfondire le nozioni teoriche e pratiche della nostra professione, e ai giovani che oggi entrano in un mercato fortemente concorrenziale dico di non scoraggiarsi e di continuare a investire sulla propria formazione per riuscire a esprimersi al massimo nell’ambito prescelto. Oggi la cultura viaggia più veloce e senza troppe barriere rispetto al passato, e chi si impegna sarà sicuramente ripagato.
Gestione dell’ipersensibilità post-operatoria: quali strategie ritiene più efficaci nella pratica clinica?
La migliore gestione dell’ipersensibilità post operatoria è non arrivare ad averla. Se si eseguono correttamente tutti i passaggi, è improbabile che si verifichi. È fondamentale utilizzare adeguatamente i sistemi adesivi, ottenere una buona impregnazione del primer, non sovramordenzare, polimerizzare adeguatamente i materiali e sincerarsi di aver fatto prima una corretta rimozione del tessuto cariato. Se l’ipersensibilità si manifesta, è necessario capire se ci sono zone di dentina esposte e intervenire con desensibilizzanti oppure estendendo il restauro adesivo nei punti scoperti.
L’uso delle tecnologie digitali può contribuire a migliorare la conservazione della struttura dentale?
Le tecnologie digitali possono aiutarci su molti livelli a migliorare il servizio offerto ai nostri pazienti. Nella riabilitazione conservativa, riprogettare in modo digitale permette di essere più precisi, ottimizzando parametri e spessori. Tuttavia, è essenziale conoscere questi strumenti a fondo e considerare che le tecnologie hanno vantaggi significativi, ma comportano anche costi e limiti.
L’uso della stampa 3D e della fresatura CAD/CAM sta cambiando il modo di approcciare l’odontoiatria conservativa. Vantaggi e svantaggi nell’utilizzo di questi strumenti rispetto alle tecniche tradizionali?
Si tratta di un cambiamento epocale. I flussi digitali rappresentano il futuro, ma anche il presente della nostra professione, anche se non sono ancora così diffusi in modo capillare. Gli svantaggi, che anch’io a suo tempo ho vissuto in prima persona, sono più legati alla precisione del manufatto, un fattore che oggi riusciamo però a controllare sempre di più e sempre meglio.
I vantaggi, invece, sono davvero innumerevoli: riusciamo a ottimizzare i flussi e abbiamo maggiore controllo dei processi con una velocità e una efficacia decisamente superiori.
Ammetto che non sono stato un pioniere del digitale e che prima di decidere mi sono preso i miei tempi, ma oggi mi sento di dire che questa è la direzione su cui bisogna investire.
Qual è il vero valore aggiunto dell’intelligenza artificiale in odontoiatria conservativa?
Diversi software attuali di lettura diagnostica integrati con l’intelligenza artificiale possono essere un supporto importante nella selezione del tipo di restauro e anche nella scelta dei tempi di intervento. Credo che nei prossimi anni i dentisti trarranno sempre più vantaggio dall’utilizzo di questa tecnologia, che peraltro è già presente in molti software comunemente utilizzati negli studi odontoiatrici.
Anche la fotografia odontoiatrica e la documentazione digitale stanno diventando imprescindibili nella pratica quotidiana...
La fotografia digitale è uno strumento fondamentale per chi si occupa di restaurativa, chirurgia, implantologia, ortodonzia o parodontologia. Non ho volutamente citato l’endodonzia, perché in questo ambito la radiografia resta il primo, più importante riferimento. È un errore non capire che l’acquisizione di immagini tramite scanner intraorale o apparecchiatura fotografica serve a raccogliere una buona documentazione e non è solo un vezzo da utilizzare a scopo didattico o dimostrativo.
La fotografia è uno strumento di lavoro da integrare nel protocollo quotidiano. È certamente necessario un investimento iniziale sia di apprendimento sia di attrezzatura professionale, ma nel tempo si rivelerà un grande vantaggio.
Fondatore di Adhesthetics. Relatore internazionale in corsi e congressi in oltre 30 Stati. Professore a contratto e relatore in Università di diversi continenti. Autore di testi internazionali e articoli scientifici. Socio Attivo di diverse accademie in Europa e in negli Stati Uniti, tra cui: EAED, AIC, SCAD, AARD, DSD, IAED, IAAD. Membro dell’editorial board di IJED e JERD. Past president di AIC (Italia) e SCAD (Usa). Ideatore di kit di frese e di strumenti per l’odontoiatria restaurativa. Svolge la libera professione in Alessandria presso il Federico Ferraris Smile Atelier, occupandosi di restaurativa adesiva estetica.