Ortodontista, docente e ricercatrice, la professoressa Cinzia Maspero ha dedicato i suoi studi e le sue ricerche alla comprensione profonda delle dismorfosi cranio-facciali e all’approccio multidisciplinare ai casi complessi. In questa intervista racconta la sua visione clinica e formativa, dove l’accuratezza diagnostica, l’approccio etico al paziente e la collaborazione tra specialisti sono i tre pilastri cruciali.
Professoressa Maspero, qual è stata l’intuizione che l’ha spinta a dedicarsi all’ortodonzia e, in particolare, allo studio delle dismorfosi craniofacciali?
La motivazione più profonda che mi ha portata a dedicarmi a questo ambito dell’odontoiatria nasce dalla possibilità di poter intervenire sulla crescita dei piccoli pazienti in fase evolutiva, adottando approcci terapeutici volti a prevenire dismorfosi importanti che, se trascurate, richiederebbero in futuro trattamenti ortodontici complessi. Tra le varie discipline odontoiatriche, l’ortodonzia mi ha affascinata proprio perché, se si interviene al momento opportuno, consente di agire sulla crescita delle ossa mascellari, offrendo ai bambini un’estetica armonica del volto e un’occlusione corretta. Significa, per me, aiutarli a convivere serenamente fin dalla giovane età con il proprio aspetto e a favorire lo sviluppo fisiologico delle funzioni dell’apparato masticatorio e del cavo orale, elementi fondamentali per il benessere complessivo.
Nella sua esperienza, quali sono oggi gli errori di impostazione più frequenti nei piani di trattamento ortodontico complessi?
L’errore più comune che riscontro riguarda la diagnosi. Una interpretazione errata delle dismorfosi cranio-facciali conduce spesso ad attuare terapie prolungate e complesse, che purtroppo poi non risolvono definitivamente il problema e comportano costi sanitari elevati sia per il paziente sia per l’odontoiatra. Solo a partire da una diagnosi precisa è possibile pianificare e attuare terapie efficaci, basate sulle più recenti evidenze scientifiche, che garantiscano un trattamento appropriato e risultati duraturi.
La diagnosi digitale ha rivoluzionato l’ortodonzia: qual è, secondo lei, l’innovazione che ha cambiato più radicalmente la qualità clinica delle scelte terapeutiche?
Le tecnologie digitali hanno trasformato il processo diagnostico in ortodonzia, rendendolo più approfondito, efficiente e preciso. Strumenti come gli scanner facciali, gli scanner intraorali e la possibilità di integrare le immagini TAC cone beam con le scansioni del volto permettono oggi di formulare diagnosi cliniche molto più dettagliate, riducendo in modo significativo i tempi necessari per completare l’analisi. Oltre a potenziare l’efficacia del singolo professionista, queste tecnologie favoriscono una reale integrazione multidisciplinare: ortodontista e chirurgo maxillo-facciale possono collaborare fin dalle fasi iniziali, valutare con precisione la relazione tra occlusione e posizione delle basi ossee e dei tessuti molli, e simulare digitalmente gli eventuali spostamenti chirurgici o ortodontici prima dell’inizio della terapia combinata. Si tratta di innovazioni che hanno migliorato sensibilmente l’accuratezza diagnostica, semplificando al tempo stesso il percorso clinico.
Che ruolo giocano oggi l’intelligenza artificiale e la modellazione 3D nella previsione dei risultati ortodontici?
Ci stiamo lavorando, ma non siamo ancora in grado di fornire risposte precise. Sono strumenti promettenti, dei quali è però necessario ancora comprendere appieno il potenziale clinico, ricordando che l'intelligenza artificiale riveste un ruolo di supporto importante ma le decisioni rimangono del medico.
È favorevole all’uso sistematico di aligners anche nei casi scheletrici? Dove, secondo lei, si deve ancora fare chiarezza?
Gli aligners possono essere usati per gli spostamenti dentali o dento-alveolari, così come per la preparazione ortodontica pre-chirurgica. Tuttavia, non sono convinta che i soli allineatori possano risolvere discrepanze scheletriche importanti, se non utilizzati in combinazione con altri strumenti terapeutici come, ad esempio, le miniviti o altre procedure aggiuntive.
Quando e come decide che un caso richiede una valutazione chirurgica?
Quando il paziente ha terminato la crescita e presenta grosse discrepanze scheletriche che non siano compatibili con lo consentono svolgimento delle multifunzioni orali e che non possono essere risolte con la sola ortodonzia. In questi casi, la valutazione chirurgica è sempre indispensabile.
Come si costruisce un dialogo efficace tra ortodontista, chirurgo maxillo-facciale e logopedista?
Quando un paziente richiede un trattamento, fin dall’inizio programmiamo tutto nei dettagli con l’intera équipe: la prima figura che entra in gioco è l’igienista dentale, perché nessun paziente può essere candidato a una terapia ortodontica o chirurgica se ha un cavo orale affetto da malattia. La procedura comporta la rimozione di placca, tartaro e di tutti i focolai infiammatori. Altro professionista cruciale è il chirurgo maxillo-facciale, con cui si stabilisce fin da subito il tipo di chirurgia che dovrà essere effettuata e si concordano i relativi spostamenti ortodontici. Il tecnico si occupa invece di realizzare le dime chirurgiche. Infine, qualora vi siano anche grossi difetti di pronuncia o problemi legati alla deglutizione, viene coinvolto il logopedista, perché se una funzione è sempre stata svolta dal paziente in maniera anomala, non è certo che questa torni a essere automaticamente fisiologica una volta corretto il problema scheletrico. In alcuni casi è indicato, inoltre, chiedere anche un supporto psicologico.
La chirurgia ortognatica può migliorare anche aspetti come la qualità del sonno e la funzione respiratoria: quanto è consapevole oggi il paziente di questi benefici?
A volte è proprio per questi problemi che i pazienti richiedono il nostro supporto. Penso alla sindrome delle apnee ostruttive notturne: in questi casi le persone spesso arrivano da noi già molto informate. Sanno che possono ottenere dei benefici e sono anche consapevoli dei possibili rischi. A livello ortodontico, nei pazienti in crescita abbiamo molte possibilità di migliorare la funzione respiratoria con l'espansione mascellare e/o avanzamento mandibolare. Una volta terminata la crescita, invece, è indicato collaborare con il chirurgo maxillofacciale. Nei casi di OSAS possiamo anche prendere in considerazione l'utilizzo dei MAD, dispositivi che mantengono la mandibola in posizione avanzata: sono utili, ma non rappresentano una terapia definitiva e vanno portati con costanza.
Lei è attiva nella ricerca accademica: quali studi recenti ritiene particolarmente significativi per il futuro dell’ortodonzia?
Tutto quello che riguarda l’ortodonzia minimamente invasiva, ossia terapie quanto più conservative, molto più efficaci ed efficienti e in grado di offrire risultati più prevedibili nel minor tempo possibile. Le tecnologie ci stanno aiutando molto a procedere in questa direzione.
Nella sua attività didattica, quali sono le lacune più comuni nella preparazione dei giovani odontoiatri? E quali competenze cerca di trasmettere con più convinzione?
Molti giovani hanno fretta, vorrebbero apprendere tutto fin da subito e, per riuscirci, sono portati a cercare scorciatoie. Io li esorto a procedere per gradi e cerco soprattutto di trasmettere l’importanza dell’etica nella nostra professione. Abbiamo a che fare con pazienti che, prima di tutto, sono esseri umani. Dobbiamo considerare ciascuno di loro alla stregua di una persona cara, proponendo solo quello che consiglieremmo a un nostro familiare. È indispensabile avvicinarsi con empatia. Per questo cerco di trasmettere agli studenti l’importanza del dialogo con il paziente, al quale bisogna parlare sempre con onestà, studiando per lui quella che è la cura migliore. Soprattutto, occorre comprendere l’importanza della diagnosi, che è la base di tutta la medicina e anche l’atto più squisitamente medico. Strumenti di cura ne abbiamo tanti, di tutti i tipi, e possiamo impiegarli diversamente per ogni singolo caso, ma la diagnosi deve essere univoca e va effettuata con molta cura.
Dopo tanti anni di attività, qual è l’aspetto del lavoro che continua ad appassionarla di più?
Vedere i pazienti felici al termine delle terapie, quando li sento dire: “sono contento, ora vivo bene con la mia faccia e con i miei denti”. Ricordo il caso di una paziente disabile, che presentava una terza classe mandibolare importante e molti denti inclusi. Abbiamo lavorato con un approccio multidisciplinare ortodontico chirurgico. Fu molto commovente l’incontro dopo la chirurgia. Aveva sentito per la prima volta le arcate toccare tra loro e poteva finalmente sorridere vedendo i suoi denti. Mi ha abbracciata e mi ha detto: “Riesco a masticare!”. Ecco, è questo il momento più nobile e gratificante del nostro lavoro.
Che consiglio darebbe oggi a una giovane ortodontista all’inizio del suo percorso?
Esorterei i colleghi più giovani a non chiudersi subito negli studi privati, ma di continuare a frequentare gli ambienti ospedalieri e universitari per crescere nel proprio percorso formativo. I neolaureati devono comprendere l’importanza di restare a contatto con le istituzioni che li hanno formati per migliorare il loro sviluppo professionale


