In periodi difficili, affittare una poltrona può fare comodo. Chi, pur potendo, non l’ha mai fatto per timore di altre (le ennesime) responsabilità, accolga con un sospiro di sollievo questa salvifica decisione giurisprudenziale.
Mettere a reddito uno spazio non rappresenterà più un problema: qualsiasi cosa potrà succedere all’interno di quei metri quadrati dedicati ad altro Professionista, non potrà che svolgere i propri effetti solo ed esclusivamente nei confronti di quest’ultimo, ove l’eventuale danno non sia scaturito dall’utilizzo di apparecchiature non a norma, anch’esse locate.
Studio affittato...
La Suprema Corte ha trattato di oftalmologia ma l’argomento ben può essere adattato a qualsiasi branca della Medicina: ho uno studio grande, sono solo, affitto spazi e attrezzature a Colleghi che possono non essere così “fortunati” come me.
Poi accade qualcosa, una disattenzione… un imprevisto… ed ecco che iniziano a giungermi richieste di risarcimento per danni che non ho mai causato ma che, per una sorta di “responsabilità oggettiva” si sentono in diritto di imputare anche a me.
Bene, il mese scorso, con sentenza n. 8163 della Terza Sezione Civile, la Cassazione dice che “il fatto che siano locati anche gli strumenti non rende la casa di cura responsabile dell’operato di chi quegli strumenti utilizza, e salvo ovviamente il difetto di funzionamento, ma per il quale la responsabilità è a diverso titolo”. In questo caso, il paziente cita l’oculista e questi di rimando chiama la Struttura. In un tourbillon di danze che vedono dame e cavalieri volteggiare e scambiarsi tra loro (Struttura, Dottori, Paziente, Assicurazioni… tutti ad incolparsi a vicenda) la Cassazione prosegue sicura, senza distrazioni, e dichiara: “A parte il riferimento al contratto con effetti protettivi a favore di terzo, che è uno schema utilizzato in passato dalla giurisprudenza, ma non più seguito da questa Corte, che anzi ha negato che nel contratto fra medico e struttura possa ravvisarsi un contratto con effetti protettivi per il paziente (Cass. 11320/2022); a parte ciò, la responsabilità della struttura, sia prima che dopo la legge del 2017, e in questo caso siamo nel regime previgente, presuppone che vi sia un rapporto di tipo professionale tra i due, ossia che il medico collabori con la struttura, in forma autonoma o dipendente, alla prestazione, vale a dire che presuppone che la struttura sia coinvolta nella prestazione sanitaria: occorre un titolo perché essa risponda del fatto del medico.
...Risarcimento schivato
Nella fattispecie, è emerso (ne dà atto la sentenza) che la casa di cura ha concesso in locazione un suo locale, con strumentazione medica, alla società Refrattiva Srl, di cui era socio il dott. A.A.. La circostanza che parte del compenso fosse costituito dagli utili, ossia che parte minima del corrispettivo fosse costituita da una percentuale sugli utili, non trasforma quel contratto di locazione in un contratto di collaborazione professionale, così come non lo rende tale il fatto che la strumentazione fosse fornita dalla casa di cura.
Ciò in quanto la pattuizione di una percentuale sugli utili, 5%, costituisce una parte del canone di locazione, e in quanto la concessione in godimento delle strumentazioni fa parte anche essa della locazione, che ben può estendersi alla strumentazione tecnica. La struttura sanitaria risponde dunque del fatto del medico qualora si sia avvalsa dell’opera del medico, nell’adempimento della propria obbligazione (art. 7 l. n. 24 del 2017): occorre dunque che la struttura abbia assunto obbligazione verso il paziente e, per adempiervi, si sia avvalsa del medico” e anche “Se la struttura risponde per fatto proprio si intende che l’obbligazione è propria, sebbene eseguita da altri (ausiliario, dipendente), e cioè significa che la struttura ha assunto direttamente l’obbligazione di effettuare la prestazione sanitaria.
Il che implica che vi sia una fonte di quella obbligazione secondo la previsione codicistica.
Del resto, anche a considerare la responsabilità per fatto altrui, allora deve esistere un rapporto con il medico che giustifichi il fatto che la struttura risponde non per un fatto proprio ma per la condotta di costui, e questo rapporto non può essere quello di aver locato a una società, di cui il medico è parte, i locali dove costui svolge la sua attività.
In entrambi i casi, come è agevole intuire, non basta un rapporto di locazione con la società di cui è socio il medico che ha operato: la locazione non comporta assunzione di una obbligazione alla prestazione sanitaria in capo al locatore, né può dirsi che costui trae utilità dall’attività svolta da conduttore nei locali dati in godimento.
E dunque non può ritenersi che il semplice fatto di avere dato in locazione un locale a una società di cui il medico è socio faccia sorgere responsabilità della locatrice per la colpa professionale del medico, socio della conduttrice: è di tutta evidenza che nel rapporto di locazione non sono coinvolti interessi inerenti alla prestazione sanitaria.
La struttura risponde del fatto del medico sul presupposto che esista tra i due un rapporto volto alla esecuzione della prestazione sanitaria, in cui la casa di cura abbia interesse anche proprio alla prestazione sanitaria, interesse che non può dirsi però implicato dalla mera locazione di alcuni locali. Va quindi enunciato il principio di diritto secondo cui la struttura sanitaria che abbia concesso in locazione alcuni suoi immobili a una società di medici non risponde dei danni causati da uno di questi a un paziente, in quanto il rapporto di locazione tra una struttura e un medico, e a maggiore ragione tra una struttura e una società di medici, non comporta che la prima debba rispondere degli errori professionali dei secondi”
Il punto fermo
Questa decisione segna un punto fermo nelle diatribe sulle responsabilità e il rimpallo delle stesse. Da questo momento ognuno risponda delle azioni che ha realmente compiuto o di cui è concausa. Null’altro sarà più richiesto e, soprattutto, dovuto.

