Raffaele Vinci. Less is more

Il massimo della cura con il minimo impatto biologico: secondo il professor Vinci è questo l’obiettivo da perseguire in chirurgia orale e implantologia. Un approccio sostenibile basato su diagnostica di precisione e tecniche minimamente invasive per offrire ai pazienti comfort, sicurezza e trattamenti personalizzati, con risultati predicibili e a lungo termine.

Se c’è una lezione che il tempo ci sta insegnando, è che la vera maestria risiede nella semplificazione. Ovvero, non sempre a procedure complesse corrispondono prestazioni brillanti, efficaci e di alta qualità, anzi, operatività complesse raramente garantiscono successi migliori di quelle semplificate. Anche in chirurgia orale e implantologia, il concetto “less is more” riscrive le regole del gioco e sfida il clinico a ottenere risultati ottimali con il minimo impatto biologico ed economico, sfruttando tecnologie avanzate che permettano di progettare trattamenti mirati e predicibili. In questo nuovo scenario, il fine non è solo riabilitare, bensì farlo con l'accortezza di un intervento pensato per essere il meno invasivo possibile, rispettando le strutture anatomiche e i tessuti biologici presenti. È la vera essenza della chirurgia moderna: intervenire con efficacia, ma con grande oculatezza. Sono questi i principi fondanti del pensiero del professor Raffaele Vinci, docente per l'insegnamento di Chirurgia Orale ed Implantologia presso l'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.

 

Raffaele Vinci
Raffaele Vinci, docente per l'insegnamento di Chirurgia Orale ed Implantologia presso l'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano
Professor Vinci, quali sono i vantaggi di un approccio minimamente invasivo in chirurgia orale e implantologia rispetto alle tecniche tradizionali?

Prima di tutto è importante chiarire che con il termine “minimamente invasivo” in chirurgia orale non ci si riferisce semplicemente ad incisioni ridotte o all’assenza di lembi chirurgici. La mini invasività non riguarda tanto la riduzione dell’impatto chirurgico, ma piuttosto la capacità di ridurre al minimo i costi biologici dell’intervento. Alla base di tutto ci sono il rispetto del paziente e la propensione al miglioramento delle sue condizioni cliniche. Esistono molti approcci che permettono di risparmiare le strutture e il substrato biologico presenti. Saper gestire un approccio minimamente invasivo significa ottimizzare i risultati clinici preservando al meglio i tessuti nativi, ad esempio salvaguardando e trattando in maniera conservativa gli elementi dentali mantenibili. La radicalità chirurgica può essere necessaria, ma va sempre valutata con attenzione. Ad esempio, nell’estrazione di un terzo molare incluso, sono da preferire tecniche che preservino il più possibile il substrato osseo, come l'uso di strumenti piezoelettrici e dentotomie che favoriscano l'avulsione dell'elemento, senza ricorrere a un approccio più demolitivo.

In che modo la riduzione della complessità chirurgica può influenzare il tasso di successo e la gestione delle complicanze?

Semplificare non significa banalizzare, ma ridurre gli step procedurali per limitare la complessità dell’atto chirurgico, aumentando la predicibilità e riducendo al contempo morbilità e complicanze. Cito un pensiero di Jack Welch, ex CEO di General Electric: "oggi siamo portati a credere che più una cosa è complessa, più è geniale e qualitativamente superiore. Ma la realtà è l’opposto: è la semplificazione che garantisce il successo!"

Quali criteri diagnostici permettono di migliorare la predicibilità del risultato clinico?

Il flusso di lavoro digitale, oggi di grande supporto per il clinico, offre strumenti per una diagnosi più accurata, con o senza Intelligenza Artificiale. La possibilità di acquisire ed elaborare dati da esami radiografici, come la TC cone-beam, consente di valutare la morfologia macroscopica del segmento scheletrico, ma anche la sua microstruttura e cioè la ratio tra osso corticale e midollare o la densità ossea. Se in fase preliminare conosciamo con esattezza le volumetrie e la qualità del substrato osseo su cui dovremo intervenire, possiamo optare per tecniche più adeguate, meno invasive e più predicibili. Con le tecniche digitali siamo in grado di ricreare il modello virtuale esatto della situazione in cui ci troveremo a operare, permettendoci di previsualizzare il caso clinico; così facendo, in sede operatoria si procederà a ripetere step chirurgici che abbiamo già eseguito virtualmente in tutti i passaggi. Lo step successivo è poter eseguire una chirurgia guidata statica o dinamica con realtà aumentata. Con i dati che abbiamo acquisito  tramite CBCT, elaborazione digitale, posizionamento virtuale degli impianti e tecnologie CAD/CAM possiamo creare mascherine chirurgiche ad appoggio dentale, mucoso, misto o scheletrico che saranno la nostra guida per posizionare correttamente gli impianti.

Quali strumenti avanzati ritiene essenziali per una corretta pianificazione preoperatoria in implantologia?

La CBCT è imprescindibile, in combinazione con scanner intra ed extraorali e articolatori digitali. Possiamo integrare e sovrapporre i dati provenienti da diverse fonti per creare articolatori digitali dinamici e permettere la creazione di manufatti protesici nel rispetto di una corretta occlusione. La protesi viene creata virtualmente dopo aver posizionato gli impianti, sempre virtualmente. Il risultato è un trattamento più predicibile con tecniche chirurgiche che replicano fedelmente la pianificazione.

La piezochirurgia e la condensazione ossea sono tecniche sempre più utilizzate. In quali casi risultano vantaggiose?

Si tratta di sussidi operatori con un minimo comune denominatore: sfruttare al meglio le strutture native presenti. Il taglio osteotomico eseguito con tecnologia piezoelettrica produce meno necrosi rispettando maggiormente il tessuto, preservando la quantità di osso disponibile. Con la condensazione ossea possiamo invece creare una sede implantare senza rimuovere tessuto. Prendiamo ad esempio una atrofia che si è generata in seguito alla perdita di un dente. Nel poco osso residuo possiamo creare una cavità per sottrazione con uno strumento rotante per poi inserire l’impianto; oppure, con la condensazione ossea, possiamo creare una sede implantare semplicemente dislocando perifericamente l’osso, senza alcuna asportazione. Questo è un esempio classico di chirurgia mini invasiva, in cui si rispetta al massimo il tessuto residuo. Di pari passo è maturata un’altra consapevolezza: i tessuti nativi duri e molli, ossia quelli che permangono dopo la perdita degli elementi dentari, hanno una stabilità incomparabile a qualsiasi tessuto rigenerato. Se con l'ausilio di tecniche digitali siamo in grado di elaborare progetti riabilitativi che non prevedono rigenerazioni e innesti, otterremo una maggior predicibilità dei nostri trattamenti che, al contempo, avranno una minor morbilità, riducendo costi biologici ed economici.

La gestione dei tessuti molli perimplantari è cruciale per la stabilità a lungo termine. Quali protocolli considera più efficaci?

Il principio fondamentale è lo stesso: sfruttare i tessuti nativi prima di ricorrere agli innesti. In caso di insufficiente mucosa cheratinizzata, necessaria per tutelare le emergenze implantari, questa può essere traslata vetibolarmente, evitando innesti dalla minor predicibilità. Il principio è che il gap creato nella cheratinizzata guarirà riformando mucosa cheratinizzata, mentre il gap mucoso guarirà creando mucosa orale. Come per ogni rigenerazione, anche gli innesti connettivali dovrebbero essere utilizzati solo quando ve ne sia una stretta necessità ovvero per correggere difetti volumetrici nelle aree estetiche o in presenza di difetti rilevanti di spessore o mucosa cheratinizzata in toto. Per garantire la stabilità dei risultati a lungo termine si dovrebbe favorire la rigenerazione attraverso materiali riassorbibili e tecniche che promuovano la formazione di tessuto vitale simile a quello nativo. Gli scaffold aiutano la stabilizzazione e l'evoluzione del coagulo guidando in tal modo la formazione di nuovo osso. In questo senso, i materiali riassorbibili favoriscono la rigenerazione perché si degradano nel tempo, lasciando spazio a nuovo tessuto vitale. Gli innesti di osso autologo ancora oggi rappresentano il gold standard per la ricostruzione di difetti estesi, ma devono essere impiegati in casi estremamente selezionati dove non vi sia la possibilità di usare tecniche alternative. A tal proposito va ricordato ad esempio come gli impianti iuxtaossei attraverso i nuovi flussi digitali possano rappresentare una valida alternativa a tecniche più complesse e meno predicibili.

Le infezioni perimplantari rappresentano una delle principali cause di fallimento implantare. Quali strategie possono permettere di ridurne il rischio?

Il primo passo per prevenire la peri-implantite è partire da tessuti stabili, ovvero massimizzare l’uso dei tessuti ossei nativi, facendo il possibile per preservare e sfruttare le risorse naturali disponibili. Numerosi studi in letteratura evidenziano un aumento delle ricerche sulle infezioni correlate a biomateriali o dispositivi biomedici. In particolare, gli impianti dentali inseriti in presenza di innesti ossei eterologhi sembrano avere una minore percentuale di risoluzione nei casi di infezione peri-implantare, e quest’ultima tende a manifestarsi in forma più grave. Per questo, prima di effettuare una rigenerazione, dobbiamo sempre pensare se è davvero necessaria o se possiamo agire altrimenti. Altri fattori a cui prestare attenzione sono la cura del disegno protesico e la sua detergibilità. Il mantenimento è una condicio sine qua non per mantenere nel tempo risultati stabili. Altro momento nodale è la accurata selezione del paziente e dell'iter terapeutico a cui sottoporlo, in altre parole la "customizzazione" delle cure. Solo sapendo adeguare il nostro piano terapeutico ad ogni singolo paziente possiamo ottenere risultati stabili e duraturi nel tempo. Basta pensare ai trattamenti da effettuare in pazienti tabagisti o con parafunzioni; in casi come questi è indispensabile considerare riabilitazioni alternative al fine di ottenere predicibilità e stabilità dei risultati, sempre condividendo con il paziente le nostre scelte terapeutiche ed informandolo dei possibili rischi e complicanze cui può andare incontro.

In presenza di deficit ossei o di tessuto cheratinizzato, quali alternative clinicamente validate agli innesti considera più efficaci per ottimizzare il risultato protesico e biologico?

Sforziamoci di comprendere che in caso di edentulie che non coinvolgono l’area estetica oggi non ha più senso fare rigenerazioni. È un approccio che si deve considerare nei settori anteriori ad impatto estetico e quando non ci siano alternative per effettuare una riabilitazione protesica efficace. Una grande risorsa è sempre considerare di adattare posizione e forma implantare alle morfologie esistenti posizionando impianti non assiali o a diversa morfologia: short, slim, a lama, non endo ma iuxtaossei. In casi estremamente selezionati gli innesti ossei e le rigenerazioni con le griglie possono rappresentare una soluzione, ma occorre essere consapevoli del fatto che con questo tipo di riabilitazioni si riduce significativamente la predicibilità e aumenta la morbilità.

Quali parametri devono guidare il clinico nel bilanciamento tra efficacia terapeutica e sostenibilità economica?

Rispondo con un esempio: classicamente, un paziente che ha perso elementi dentari posteriori del mascellare superiore deve essere sottoposto a rialzo della mucosa sinusale, attendere sei mesi, posizionare gli impianti, attendere almeno altri tre mesi e poi iniziare la fase protesica. Il che significa un anno di cure con tutto ciò che ne consegue: aumento del numero e della durata dei tempi chirurgici, statisticamente la possibilità di andare incontro a più complicanze con un sicuro incremento dei costi economici. In pazienti selezionati attentamente e in assenza di opzioni terapeutiche, una strategia che oggigiorno consente di trovare soluzioni riabilitative adeguate è rappresentata dall'utilizzo di impianti zigomatici. Queste opzioni possono risultare più vantaggiose rispetto alle ricostruzioni ossee, soprattutto in pazienti più anziani.

L’adozione di nuove tecnologie deve basarsi su evidenze scientifiche consolidate. Quali criteri dovrebbero essere seguiti?

La risposta è una sola: evitare l’autoreferenzialità. Ogni passo deve essere discusso e condiviso con i colleghi e occorre sempre avere una vidimazione scientifica del nostro operato. Non è ammissibile utilizzare nuove tecniche o strategie prive di un substrato scientifico: la ricerca esiste per questo.

Quali ritiene siano le principali tendenze future in implantologia?

Per citare Albert Einstein "pazzia è continuare a ripetere la stessa cosa sperando di ottenere risultati diversi". Questo è un rischio che corrono anche i clinici. Quando sono convinto di essere un martello, ogni problema diventa un chiodo da battere, ma non si può utilizzare la stessa soluzione per tutti i problemi, così come da clinico non posso, se sono molto bravo con una determinata procedura, applicarla a tutti i casi che devo di trattare. Cinquant’anni fa il professor Norton ha affermato che il trattamento più semplice è quello che riesce a soddisfare le esigenze del paziente; questo ancora oggi deve restare un monito per il nostro operare.

Se dovesse identificare un concetto chiave per il successo in chirurgia orale e implantare, quale sarebbe?

Tutti parlano di Intelligenza Artificiale, ma penso che ad oggi sia ancora da preferire l’Intelligenza Aumentata, cioè la capacità e la creatività proprie umane che scaturiscono da preparazione e studio, unite a tutti i vantaggi che le tecnologie digitali ci stanno offrendo.

 

Raffaele Vinci

Laurea in Medicina e Chirurgia (1980), specializzazione in Chirurgia Maxillo-facciale (1985) presso l’Università degli Studi di Milano. Assistente e aiuto corresponsabile presso il Reparto di Chirurgia Maxillo-facciale, Spedali Civili di Brescia (1984-1997). Direttore della Casa di Cura di Chirurgia Maxillo-facciale, Istituto Stomatologico Italiano, Milano (1997-2003). Professore a Contratto presso l’Università di Ferrara (1993-2004), con incarichi di insegnamento in Biomateriali e Chirurgia Maxillo-facciale. Responsabile dell’Unità dipartimentale di Chirurgia Orale e Implantologia presso IRCCS San Raffaele di Milano dal 2004. Professore Associato in Malattie Odontostomatologiche e Direttore della Scuola di Specializzazione in Chirurgia Orale, Università Vita-Salute San Raffaele (dal 2016). Presidente della Società Italiana di Chirurgia Odontostomatologica (2019-21). Vice presidente della Società Italiana di Odontostomatologia e Chirurgia maxillo-facciale dal 2022.

 

 

Raffaele Vinci. Less is more - Ultima modifica: 2025-07-07T11:59:39+02:00 da Paola Brambilla
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