5 minuti con Franco Brenna

Intarsi e faccette, scopriamo insieme perché questi trattamenti protesici sono sempre più richiesti (e proposti) nello studio dentistico.

Luigi Paglia, direttore scientifico de Il Dentista Moderno

Gli intarsi offrono numerosi vantaggi che vanno ben oltre la maggior preservazione del tessuto dentale sano. Tra questi, possiamo elencare il tempo di esecuzione ridotto rispetto alla protesi tradizionale e la possibilità di intervenire anche in casi più complessi, come i ripristini della dimensione verticale, con un approccio completamente adesivo e reversibile. Quando realizzati in composito, presentano poi costi di laboratorio inferiori, così da essere anche economicamente più affrontabili da un maggior numero di pazienti.
Cambiando forma e colore ai denti, le faccette riescono a migliorare l’aspetto del sorriso anche quando ci troviamo in presenza di denti leggermente disallineati senza richiedere trattamenti ortodontici o protesici più invasivi.
Per evitare alcune “trappole” di questo trattamento, non fatevi sfuggire le sette risposte di Franco Brenna. Tempo richiesto: 5 minuti!

Quando è indicato effettuare restauri indiretti e quando, invece, è possibile restaurare gli elementi posteriori direttamente in modo predicibile?

Sebbene per un clinico esperto il risultato estetico e funzionale sia sostanzialmente sovrapponibile, è preferibile effettuare restauri indiretti quando si vuole semplificare la gestione dei punti di contatto (soprattutto se molto ampi) e quando mancano una o più cuspidi dell’elemento da recuperare. La maggiore predicibilità e semplicità dei restauri indiretti (anche se non sempre è così!) hanno come contraltare un costo maggiore e la necessità di preparazioni leggermente più estese.

Quando è indicata una corona protesica piuttosto che un intarsio o una faccetta?

Oggi si tende sempre meno a impiegare le corone protesiche nel restauro del dente singolo rispetto a un intarsio o a una faccetta, soprattutto per motivi biologici (nella preparazione si risparmia molto tessuto), perché negli ultimi anni l’adesione ai substrati sottostanti è comunque migliorata in maniera vertiginosa, e anche per motivi di costi.

È indicato negli elementi devitalizzati che restauriamo con intarsi effettuare ricostruzioni con ritenzioni endocanalari?

Anche su questo punto stanno cadendo molti diktat del passato. I principi della Green Dentistry hanno spostato il clinico verso scelte orientate al risparmio di tessuto dentale, anche grazie alle sempre maggiori “sicurezze adesive”. Se per ritenzioni endocanalari in elementi restaurati con intarsi intendiamo la endocrown, direi che questa possa essere ritenuta una nuova frontiera da superare con certezza, dimostrandosi una scelta già ricca di evidenze scientifico-cliniche. L’unico problema che ritengo di difficile superamento è l’eventuale riaccessibilità endodontica in elementi restaurati con endocrown adesive realizzate con materiali estremamente tenaci e difficili da aggredire con le comuni frese.

Quali sono gli elementi che ci indirizzano nella scelta del materiale, composito o ceramico, per gli intarsi e per le faccette?

Potrei rispondere con una certa sicurezza: le forze occlusali, dove chiaramente mi riferisco ai settori laterali e posteriori della bocca. Oggi assistiamo sempre più pazienti con problemi disfunzionali evidenti, penso in particolar modo ai bruxisti, e anche a insorgenza precoce (come negli esiti dei Disturbi del Comportamento Alimentare) fino ad arrivare ai pazienti che presentano un marcato invecchiamento degli elementi dentari e che spesso richiedono interventi non eccessivamente invasivi nelle accezioni più complete (biologiche ed economiche).
I materiali compositi possono essere oggi considerati come validissimi sussidi all’odontoiatria restaurativa rispetto ad alternative protesiche troppo rigide o troppo economicamente impegnative. Per le preparazioni parziali (faccette) nel settore anteriore, disilicato di litio e ceramica feldspatica in tutte le loro varianti e possibilità di impiego rimangono sempre il gold standard.

È possibile riparare direttamente con composito i restauri indiretti in ceramica in caso di chipping o piccole fratture? Con quali accorgimenti?

Sì, è possibile pur rimanendo questo sempre un approccio di compromesso. Sistemi composito-adesivi, anche appositamente studiati per queste evenienze e impiegati sotto stretto controllo del campo operatorio, trovano il loro campo di impiego. Bisognerebbe però valutare bene a monte il perché del chipping ceramico (scarso controllo delle forze?) così da dover ricorrere a queste procedure solo in caso di “emergenza”.

Quale tecnica adesiva è più indicata per la cementazione dei restauri? I cementi duali sono una valida alternativa all’utilizzo dei compositi fotopolimerizzabili?

Non esiste la tecnica di cementazione adesiva “quattro stagioni”. Supporti, qualità della dentina residua, differenti tipi di materiali da cementare e da condizionare, diverse combinazioni di forze occlusali, competenza e conoscenza delle tecniche adesive sia dal punto di vista scientifico che clinico, e senz’altro altri fattori che dimentico, sono in grado di far variare una scelta. Per ciò che mi riguarda non impiego cementi adesivi duali se non, raramente, nei casi in cui la luce fotopolimerizzatrice (importantissima arma in mano del clinico) non possa arrivare a colpire il profondo dove voler ottenere adesione come, ad esempio, nella cementazione dei perni endocanalari. Per la restante parte delle cementazioni adesive preferisco affidarmi a materiali che mi permettano il perfetto controllo dei tempi di polimerizzazione, che devono essere decretati dall’operatore. Possono essere compositi scorrevoli a viscosità differenti che preferisco ai compositi già caricati, da surriscaldare empiricamente per ottenere la fluidità (soggettiva) necessaria.

Tecniche digitali, a che punto siamo?

Siamo al punto in cui noi odontoiatri dobbiamo imparare maggiormente dal mondo odontotecnico. Gli odontotecnici hanno scelto la via digitale molto prima di noi e l’hanno saputa affinare per velocizzare il loro flusso di lavoro, sempre alla ricerca di maggiori standard qualitativi. È finito il tempo dell’oro, e io dico “Purtroppo!”. Tuttavia, ricerca, scienza dei materiali e industria stanno lavorando in senso digitale. Rimangono poche e poco seguite le vie analogiche e spero che in tempi brevi il flusso digitale possa essere sempre più proposto, studiato e applicato per rendere la nostra professione maggiormente qualitativa, contenendo tempi di realizzo e costi di produzione.
Il futuro? Dopo le scansioni, le telecamere, gli scanner, i CAD/CAM e i fresatori sarà presto il momento delle stampanti di nuova generazione, e allora sì che ne vedremo tante di cose interessanti.

 

5 minuti con Franco Brenna - Ultima modifica: 2024-04-22T09:12:58+00:00 da Luigi Paglia
5 minuti con Franco Brenna - Ultima modifica: 2024-04-22T09:12:58+00:00 da Luigi Paglia