Resine acriliche: composizione e modalità d’uso

Uno dei tratti distintivi che caratterizzano maggiormente la protesi dentale contemporanea è senza dubbio la varietà di materiali a disposizione del clinico. I prodotti di ultima generazione spesso si distinguono per la resa estetica, senza dimenticare comunque aspetti di base quali la maneggevolezza d’impiego e di mantenimento e la biocompatibilità. Anche alcuni materiali “storici”, tuttavia, hanno subito miglioramenti nella formulazione, ricollocazioni d’impiego e altre modifiche e in determinati pazienti continuano a costituire un’opzione affidabile. È il caso ad esempio delle resine acriliche: le soluzioni protesiche rimovibili, anche nei casi potenzialmente riabilitabili dal punto di vista implanto-protesico, costituiscono un valido compromesso, senza contare che non tutti i pazienti possono essere indirizzati all’implantologia. Tali resine andranno a costituire la base della protesi o potranno essere impiegati per la ribasatura di protesi pregresse, magari in vista di una soluzione definitiva. Non solo: un altro esempio di impiego è la costruzione di alcuni apparecchi ortodontici mobili.

In generale, si osserva come questi materiali vadano a interfacciarsi direttamente con i tessuti molli.

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Un impiego potenzialmente ancora ampio ha reso necessario l’aggiornamento degli standard qualitativi legati alla sicurezza dei prodotti. Pare interessante, di conseguenza, elencare quali tipi di materiali di questo tipo siano oggi disponibili sul mercato.

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Classificazione resine acriliche

In primo luogo, le resine possono essere classificate sulla base dell’agente in grado di avviare la reazione di polimerizzazione: chimico, luce, calore o microonde. Su questa base McCabe e Walls riconoscono in realtà 5 tipologie di resine, 2 delle quali ulteriormente distinte in 2 classi ciascuna. Dal punto di vista della composizione, una polvere di particelle di polimetilmetacrilato (PMMA) accoppiate con un iniziatore (un perossido, quale ad esempio quello di benzoile) e pigmenti di vario tipo (sali di cadmio o ferro oppure coloranti organici) viene miscelata a una fase liquida contenente monomeri di (metil) metacrilato, agenti cross-linking e una coppia inibitore-attivatore. Oramai quasi trent’anni fa, Baker fu tra i primi a suggerire che, alla consegna del manufatto, una quota del monomero non polimerizzato potesse accumularsi nella saliva e Kedjarune confermò che il fenomeno fosse da correlare al rapporto polvere-liquido e alla metodica di polimerizzazione, con particolare interesse per i prodotti autopolimerizzanti. Essi suggerirono ai clinici di prospettare ai pazienti un graduale inserimento del nuovo manufatto nell’arco della giornata, ad esempio raccomandando di non mantenere la protesi nel corso della notte. Considerare quali siano dunque stati gli sviluppi, quali le raccomandazioni d’uso contemporanee sarà pertanto l’obiettivo della seconda parte dell’articolo.

Resine acriliche: composizione e modalità d’uso - Ultima modifica: 2017-04-17T07:00:05+00:00 da redazione

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