Presupposti anatomici degli impianti postestrattivi

Negli ultimi anni sono stati compiuti grossi passi avanti nell’ottica del mantenimento dei tessuti a seguito di un’estrazione, al fine di inserire appunto impianti postestrattivi. Posto che il protocollo operativo può legittimamente essere corretto a fronte di sopravvenute complicanze o comunque di variabili intraoperatorie, in linea di massima risulta oggi possibile garantire tale opzione in un’ampia varietà di casi. Tutto ciò posto che il caso soddisfi determinate condizioni, in termini di collaborazione da parte del paziente, di condizioni dell’elemento naturale da sostituire (assenza di infezioni periapicali o altro) e di criteri anatomici. In un interessante lavoro proposto dalla European Association for Osseointegration, Jiménez García e Sanguino osservano come questi ultimi possano essere assimilati a 5 triangoli osservabili nella proiezione sagittale del sito. Pare pertanto interessante riportare tale visione.

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Parametri fondamentali per l’esecuzione di impianti postestrattivi

I. Teca ossea vestibolare: uno spessore adeguato è fondamentale per prevenire complicanze quali deiscenze ossee e fenestrature. Oltre ciò, dall’aspetto dell’osso – il quale dovrebbe avere idealmente uno spessore di 2 mm o più – dipende anche in buona parte la possibile formazione di recessioni a carico dei tessuti molli.

II. Stabilità primaria: in ragione del minus determinato dall’alveolo postestrattivo, risulta pressoché impossibile posizionare la fixture di modo che presenti osso circonferenziale. Acquisisce pertanto grande importanza, ai fini del raggiungimento della stabilità primaria, la regione apicale, che dovrebbe assicurare un’estensione sui 2-4 mm.

III. Design implantare: in generale, sono stati fatti molti sforzi nel trattamento delle superfici, con lo scopo di favorire l’osteointegrazione, obiettivo finale dell’inserimento di un impianto. In questa particolare metodica, tuttavia, è stata considerata anche l’assoluta importanza della stabilità primaria. Esistono disegni macroscopici che favoriscono questo obiettivo: ad esempio il self tapping.

IV. “Fill in the gap”. Si riconsideri la problematica esplicitata al punto II. L’asse ideale di inserimento è palatale, il che predispone alla formazione di un minus osseo vestibolare, di dimensioni più o meno estese. Lo spazio viene colmato attraverso l’innesto di particolato osseo. In realtà, Autori osservano come si riconosca un deficit orizzontale circonferenziale all’impianto – si parla di “jumping distance” – da colmare con la deposizione di osso neoformato.

V. Biotipo: nella maggioranza dei casi, la metodica postestrattiva viene effettuata in regione estetica. Il paziente ideale risulta essere quello dotato di biotipo gengivale spesso. Anche i tessuti molli vanno però incontro a rimodellamento dopo l’intervento. È pertanto necessario prevedere interventi di gestione dei tessuti molli (ad esempio innesto di tessuto connettivo) ed anche della loro interfaccia con la teca ossea vestibolare.

Presupposti anatomici degli impianti postestrattivi - Ultima modifica: 2017-07-15T08:45:33+00:00 da redazione

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