Fattori coinvolgenti la polimerizzazione delle resine composite

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L’introduzione delle resine composite fotopolimerizzabili in odontoiatria ha senza dubbio permesso un cambiamento radicale nell’approccio alla malattia cariosa. Al di là dei vantaggi di natura estetica e funzionale, si può affermare che tali materiali abbiano indotto un mutamento radicale anche nei protocolli operativi. Il poter seguire schemi più liberi e, possibilmente, più risparmiosi nel disegno della cavità deriva dal fatto che l’adesione chimica presenta dei presupposti del tutto differenti da quelli alla base della ritenzione meccanica dell’amalgama o della cementazione.

Nel contempo, i clinici hanno dovuto prendere confidenza con problematiche e potenziali complicanze che non venivano sperimentate allo stesso modo in passato. Da ciò sono derivate negli anni ulteriori spinte positive. Ne è un esempio la diffusione della diga in gomma la quale, tra i suoi numerosi vantaggi, permette l’ottenimento di un campo asciutto, prerogativa imprescindibile della metodica adesiva e del processo di polimerizzazione.

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Un altro esempio fondamentale è rappresentato dalla contrazione da polimerizzazione. Per ovviare a tale problematica sono stati introdotti protocolli efficaci basati sulla stratificazione del composito, che hanno avuto anche il merito di standardizzare la tecnica di modellazione. Non vanno comunque dimenticati gli sforzi da parte delle case produttrici nel migliorare le performance dei materiali proposti.

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Tali premesse rappresentano ad oggi alcune delle basi dell’education all’impiego dei compositi, i quali costituiscono uno standard operativo universale di comprovata efficacia clinica a lungo termine. Come anticipato, però, permane comunque la possibilità d’insorgenza di complicanze, se non di fallimenti, magari imputabili ad un’imperfetta tecnica di polimerizzazione. Può essere pertanto interessante riflettere su alcuni degli aspetti fisici, biochimici e tecnici che condizionano questo fenomeno.

Una prima variabile su cui riflettere è connessa con uno dei grandi vantaggi dei compositi: il colore. Il solo passaggio al bianco ha di per sé rappresentato un dato rivoluzionario, ma negli ultimi anni sono stati compiuti degli studi estremamente significativi sulla definizione del colore di un elemento dentario. Alcuni produttori hanno consigliato di aumentare il tempo di esposizione alla luce polimerizzante nel caso di utilizzo di compositi più scuri (es. A3.5-A4), supportate da alcuni studi in vitro che vi rilevavano un tasso di conversione inferiore a parità di tempo e, addirittura, una minore microhardness. Considerando un più ampio insieme di fonti e, appunto, le determinanti dell’estetica del dente, sembra tuttavia che il processo sia condizionato dalla traslucenza (da cui dipende in effetti la penetrazione delle radiazioni luminose) del composito, più che dal colore in sé.

Fattori coinvolgenti la polimerizzazione delle resine composite - Ultima modifica: 2017-07-01T07:58:38+00:00 da redazione

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