Perché?

Ancora una volta la Suprema Corte, interessata da un odontoiatra sanzionato dal proprio Ordine di appartenenza, entra a gamba tesa nel mondo dei provvedimenti disciplinari segnando solchi da cui difficilmente ci si potrà discostare.

Già… “Perché?” Chi è genitore lo sa, chi non lo è può ben immaginarlo… questo piccolo avverbio pronunciato nella sua forma interrogativa mette in crisi, allarma, apre voragini sotto i piedi… e se agli occhi di bimbo una qualsiasi risposta può a volte (non sempre!) bastare, nel mondo serio degli adulti no: ogni effetto ha la sua causa, ogni pensiero ha il suo sillogismo, ogni condanna ha la sua motivazione! E in altro modo non dovrebbe né deve essere.

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Il caso
Il Dott. M.P.C. proponeva ricorso per Cassazione avverso una decisione pronunciata nei suoi confronti dalla Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie (CCEPS) in rigetto di altro ricorso avanzato dal Sanitario contro una decisione della Commissione Odontoiatri della provincia di X (CAO – Commissione Albo Odontoiatri) che aveva irrogato in suo danno la sanzione disciplinare della “Censura”, per la riconosciuta violazione degli artt. 55, 56 e 69 del Codice di Deontologia Medica (Informazione Sanitaria – Pubblicità dell’informazione sanitaria – Direzione Sanitaria e dovere di vigilanza sulla correttezza del materiale informativo attinente all’organizzazione e alle prestazioni erogate dalla struttura), dell’art. 3 D.Lgs. 187/2000 (Principio di giustificazione delle esposizioni mediche), degli artt. 1, 2, 4 e 5 L. 175/1992 (Pubblicità concernente l’esercizio delle professioni sanitarie) ovvero per violazione dei doveri inerenti alla professione medica in relazione a un volantino pubblicitario diffuso dalla struttura in cui lo stesso Dottor M.P. rivestiva il ruolo di Direttore sanitario.

I motivi
Quale primo motivo di gravame, il ricorrente denunciava la violazione del principio del giusto processo, per cui la violazione dell’art. 111 della Costituzione (“… Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati. …”) nonché la violazione degli artt. 44 e 66 del D.P.R. 221/1950 (“La decisione deve, a pena di nullità, contenere l’indicazione della data in cui è stata adottata, dei fatti addebitati e delle prove assunte, l’esposizione dei motivi, il dispositivo. …” e “La decisione [della CCEPS, ndr] è pronunciata in nome del Popolo Italiano e deve contenere …<omissis>… 3) una succinta esposizione del fatto e dei motivi di diritto; …”) per inesistenza e totale apparenza della motivazione.

Asseriva che, a mente delle norme citate, la decisione della Commissione Odontoiatri della provincia di X dovesse contenere l’indicazione dei fatti addebitati e delle prove assunte, nonché l’esposizione dei motivi, la cui carenza comportava la nullità della decisione stessa. Proseguiva osservando come la CEPPS, nella decisione impugnata, avesse ritenuto – contrariamente al vero – che la decisione della CAO fosse conforme al dettato legislativo in quanto “fatti addebitati” ed “esposizione dei fatti” sarebbero stati contenuti nel “verbale” della seduta di discussione non considerando, invece, come nella decisione della CAO non vi fosse alcun rinvio, né diretto, né indiretto, al verbale di tale seduta.
Concludeva affermando che “la motivazione a supporto dell’impugnata decisione CEPPS è totalmente apparente e, come tale, inesistente in quanto legittima una decisione CAO sulla base di un presupposto falso”.
E così anche quanto al secondo motivo, a mezzo del quale il ricorrente lamentava la violazione dell’art. 66 D.P.R. 221/1950, “per totale apparenza della motivazione per relationem”.
Osservava l’esponente che l’impugnata decisione CEPPS, senza affrontare peraltro nessuna delle censure sollevate in sede di ricorso, si richiamava totalmente all’indicato verbale CAO.

La decisione
Il provvedimento impugnato era ritenuto radicalmente nullo.
Se infatti si leggeva nello stesso “Con il gravame in epigrafe, il ricorrente deduce vari vizi di violazione di legge, in particolare difetto di motivazione del provvedimento e mancata specificazione dei fatti contestati. Il ricorso è infondato e va respinto. Infatti l’iter logico-giuridico seguito dall’Ordine nel pervenire al convincimento di colpevolezza del sanitario e alla decisione di irrogare la sanzione della censura è ricavabile dal verbale della seduta della commissione per gli iscritti nell’Albo degli Odontoiatri tenutasi in data 15 febbraio 2011, al quale il provvedimento impugnato fa espresso rinvio. Il predetto verbale dà conto della discussione svoltasi all’interno del collegio di disciplina in contraddittorio con l’incolpato…”, era invece direttamente riscontrabile come nella decisione della Commissione Odontoiatri della provincia di X non vi fosse alcun richiamo né esplicito né implicito al suddetto verbale. Incredibilmente, la decisione difatti constava di un solo foglio, del seguente testuale tenore: “FATTI ADDEBITATI: violazione degli artt. 55, 56 e 69 del C.D.; del D.Lgs. n. 187 del 2000, art. 3; degli artt. … PROVE ASSUNTE: volantino pubblicitario diffuso dalla struttura in cui il Dott. M.P riveste il ruolo di Direttore sanitario. DISPOSITIVO: i membri del Collegio Giudicante, sulla base dei motivi sopra riportati, decidono all’unanimità di comminare al Dott. M.P. la sanzione della censura”. Era dunque incontestabile e di chiara evidenza come il suddetto provvedimento sanzionatorio impugnato fosse del tutto carente di motivazione e quindi radicalmente nullo.

Sostiene la Suprema Corte: “La necessità della motivazione dei provvedimenti in genere è un principio cardine nel nostro ordinamento giuridico e, ancor più in generale, dello Stato moderno inteso come Stato di diritto. L’obbligo di motivazione in linea generale trova il suo fondamento nelle norme di legge che regolano le varie tipologie di processo: civile, penale, amministrativo, disciplinare, tributario, arbitrale. Vi sono tuttavia particolari norme che prevedono siffatto obbligo espressamente per determinati settori. Nella fattispecie tale obbligo è previsto ex professo dal D.PR. 5 aprile 1950, n. 221, art. 47 (Approvazione del regolamento per l’esecuzione del decreto legislativo 13 settembre 1946, n. 233, sulla ricostituzione degli Ordini delle Professioni Sanitarie e per la disciplina dell’esercizio delle professioni stesse) che commina la nullità del provvedimento che infligge la sanzione disciplinare se non contiene l’esposizione dei motivi”.
L’accoglimento del ricorso comportava la cassazione del provvedimento impugnato (quindi, la decisione CCEPS); la Corte riteneva, inoltre, poter decidere la causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., non ritenendo necessari ulteriori accertamenti di fatto e, di conseguenza, dichiarava la nullità della decisione della Commissione Odontoiatri di X adottata nei confronti del ricorrente

Perché mi punisci?
Pare, invero, assolutamente condivisibile il pensiero sopra riportato della Suprema Corte, destando invece sconcerto e perplessità la formulazione adottata dall’Organo disciplinare per sanzionare un iscritto odontoiatra, arrogandosi il diritto di poter non giustificare l’elevata sanzione. L’indicazione delle motivazioni poste a fondamento delle decisioni assunte deve essere ben nota e chiara, e ciò non solo per soddisfare un obbligo di legge (l’art. 47 D.P.R. 221/1950 sopra richiamato e riportato), ma anche per soddisfare quella finalità implicita del potere disciplinare che non deve limitarsi a punire bensì deve insegnare, far comprendere e convincere il Sanitario a non perseverare nella violazione e a non reiterare il comportamento sanzionato e contrario ai dettami deontologici medici.
“Perché è così, punto e basta!” oggi non vale più, neanche per i bambini!

Perché? - Ultima modifica: 2014-09-26T12:10:01+00:00 da paolavitaliani

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