Ortodonzia linguale associata a osteodistrazione chirurgica del mascellare: analisi della letteratura e caso clinico

Riassunto
Lo scopo del presente lavoro è presentare il caso ortodontico-chirurgico di un paziente adulto di sesso femminile affetto da malocclusione caratterizzata da iperdivergenza, relazioni sagittali intermascellari di terza classe, grave discrepanza dento-alveolare con importante deficit trasversale del mascellare superiore. La diagnosi è stata effettuata attraverso lo studio dell’esame obiettivo del viso e dell’apparato stomatognatico integrata con i dati cefalometrici e radiografici, timing del trattamento chirurgico di osteotomia secondo LeFort I e applicazione di osteodistrattore di Triaca e quindi della finalizzazione ortodontica attraverso una tecnica con collocazione linguale degli attacchi.
A fine trattamento sono stati raggiunti un buon risultato estetico, valide relazioni dentali interarcata sia in senso sagittale che trasversale, corretti overbite e overjet. Questo case report evidenzia come sia possibile soddisfare le esigenze estetico-funzionali del paziente attraverso l’applicazione di una tecnica multiattacchi palato-linguale associata a espansione chirurgica del mascellare superiore mediante distrattore osseo.

 

Sempre maggiore è il numero di pazienti adulti che decide di sottoporsi a terapia ortodontica. Nel 1970 meno del 5% di tutti i pazienti ortodontici aveva 18 o più anni di età. Dal 1990 questa categoria ha raggiunto il 25% e attualmente è in continua crescita1. Gli adulti che richiedono un trattamento ortodontico possono sostanzialmente essere suddivisi in due categorie: i più giovani (generalmente sotto i 35 anni) motivati o da un insuccesso in una precedente terapia in età infantile o adolescenziale piuttosto che dall’assenza di questa; i meno giovani (tra i 40 e i 50 anni, ma anche di più) ai quali invece viene proposta l’ortodonzia in un piano di trattamento multidisciplinare. Il primo gruppo desidera il massimo miglioramento possibile e può necessitare o meno dell’intervento di altre branche dell’odontoiatria; nel secondo caso invece la terapia ortodontica va a risolvere obiettivi ben precisi come, ad esempio, la creazione dello spazio protesico in seguito a perdita di elementi dentari o la cura di disturbi dell’ATM. Sostanzialmente non vi sono differenze fondamentali tra il trattamento negli adulti e quello nei ragazzi. La risposta ortodontica può essere più lenta, ma lo spostamento dentale avviene in modo simile a tutte le età. Sicuramente nel paziente in età adulta bisogna tener conto delle modificazioni tissutali, come un ridotto turnover cellulare, una minore vascolarizzazione, un metabolismo osseo più lento che inevitabilmente determinano un aumento del tempo di latenza, quindi un ritardo nella risposta dei tessuti alle forze esercitate2. Indubbiamente nell’approccio a un paziente più grande si riscontrano problematiche che non si hanno negli adolescenti.

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Queste sono rappresentate dalla maggior predisposizione di incorrere in malattia parodontale, dalla differente reazione psicologica alla terapia e dalla mancanza di crescita ossea, anche se quest’ultima non preclude la possibilità di modificare i rapporti scheletrici facendo ricorso all’intervento chirurgico. La condizione parodontale rappresenta un punto chiave nella pianificazione di un trattamento ortodontico nell’adulto. Con l’età, infatti, la fisiologia del parodonto si modifica e la malattia parodontale è sicuramente più frequente. La presenza di un parodonto sano è un elemento irrinunciabile per evitare la comparsa di lesioni iatrogene durante il trattamento. Intraprendere una terapia in presenza di lesioni parodontali in fase attiva equivale ad aumentare l’infiammazione portando a perdite di attacco e ossee irreversibili3. Quando si perde osso alveolare l’area del legamento parodontale si riduce e le stesse forze ortodontiche che agiscono sulla corona producono una pressione superiore sul legamento parodontale del dente compromesso, rispetto a quello sano. Quando si è perso il supporto parodontale, la forza utilizzata per muovere i denti deve essere ridotta per prevenire eventuali danni al legamento, all’osso alveolare, al cemento e alla radice. Inoltre, tanto maggiore sarà la perdita di attacco tanto minore risulterà l’area di supporto della radice e più apicale il suo centro di resistenza4.

Tutto ciò influenza i momenti creati dalle forze applicate alle corone e i momenti necessari per controllare il movimento dentale. In generale il movimento ortodontico può avvenire nonostante la perdita ossea, ma sono necessarie forze più leggere rispetto a momenti maggiori. Un altro aspetto molto importante nella cura ortodontica di un adulto è rappresentato dalla componente psicologica. Infatti, se nel bambino o nell’adolescente la reale motivazione deriva dai genitori e generalmente viene percepita da essi come un evento inevitabile che si deve sopportare nell’età della crescita, nel paziente più grande rappresenta un desiderio ben consapevole ed è perciò fondamentale per l’ortodontista comprendere le reali motivazioni al fine di mostrare chiaramente quelli che possono essere i traguardi raggiungibili per evitare di deludere le aspettative. Inoltre un adulto, oltre ad avere esigenze molto elevate, richiede di ridurre il più possibile le tempistiche e l’impatto che la terapia possa avere sulla propria vita sociale e di relazione5. Ed è in questo contesto che si posiziona la tecnica con collocazione palatale e linguale degli attacchi. L’ortodonzia linguale appare in letteratura nel 1979 quando K. Fujita6,7, un Autore giapponese, pubblicò due articoli che crearono grande scalpore in questo ambito e successivamente ne fu pubblicato un terzo sull’American Journal of Orthodontics8.

In questi articoli l’Autore presentava un disegno particolare di brackets che potevano essere più facilmente collocati dal lato linguale del dente e una nuova forma di arco, che egli chiamò “mushroom arch form”, ormai universalmente accettata. Da questi articoli, a parte il merito innovativo di aver compiuto un grande sforzo di adattamento delle cognizioni vestibolari per una necessità estetica, si poteva però osservare la mancanza di un‘impostazione biomeccanica. Dal 1980 la letteratura è ricca di tentativi di adattare gli attacchi e le tecniche vestibolari al versante linguale. Mentre in Giappone Fujita sconvolgeva la filosofia dell’edgewise rovesciando il sistema ortodontico e nel mondo si compivano vari tentativi di adattamento delle tecniche vestibolari, negli Stati Uniti un gruppo di studio organizzato dalla Ormco elaborava una tecnica completamente nuova. I risultati di questo gruppo, definito Task Force, furono pubblicati con una serie di articoli sul Journal of Clinical Orthodontics9,10, stabilendo così l’inizio di una nuova era per l’ortodonzia ad approccio linguale. L’ortodonzia linguale oggi, oltre a soddisfare le esigenze estetiche del paziente, offre all’operatore importanti vantaggi biomeccanici.

L’effetto bite anteriore, ad esempio, crea una possibilità di controllo della dimensione verticale con la possibilità di estrusione dei settori posteriori e di intrusione di quelli anteriori. L’effetto bite, che si realizza volutamente con gli attacchi ideati da Kurz, è decisamente vantaggioso perché, favorendo lo svincolo interocclusale, consente l’eliminazione di possibili interferenze fin dalle prime fasi di trattamento, l’aumento della dimensione verticale scheletrica, sia per intrusione dei settori frontali che simula l’effetto delle forze direzionali, sia per l’estrusione dei settori intermedi con successiva produzione di osso alveolare11. Dal punto di vista biomeccanico nella tecnica palato-linguale l’applicazione delle forze è più vicina all’asse passante per il centro di resistenza del dente e ciò determina una riduzione dei momenti durante l’applicazione della forza e quindi un maggior controllo dei movimenti desiderati. In un monoradicolato il CR è situato a circa metà della lunghezza radicolare, approssimativamente al 40% della distanza tra la cresta alveolare e l’apice dentale, se il supporto parodontale è normale. Nei molari superiori il CR è localizzato sul piano verticale a livello della triforcazione, ma è spostato più lingualmente sul piano orizzontale. Nei molari inferiori è situato a livello della biforcazione sul piano verticale ed è centrato sul piano orizzontale.

Vi sono parametri in base ai quali il centro di resistenza varia: la lunghezza della radice (più questa aumenta più il CR si sposta apicalmente) e l’entità del supporto dell’osso alveolare (quando questa diminuisce il CR è più apicale). Se la forza agisce sul CR si ottiene uno spostamento corporeo del dente, ma se la direzione della forza applicata non passa attraverso il CR si ottengono differenti movimenti determinati dal momento. Il momento è il prodotto della forza per la distanza tra il CR e il punto di applicazione della forza: M = F x d. Quando un elemento dentale viene sottoposto a una forza non passante per il CR tende a ruotare attorno a un punto definito centro di rotazione, che a differenza del primo varia a seconda del sistema di forze utilizzato. A livello degli incisivi superiori, diversamente da ciò che accade nell’ortodonzia vestibolare, gli attacchi linguali sono collocati, verticalmente, in una posizione che è maggiormente in linea con il CR, consentendo movimenti più precisi quando viene applicata una forza occlusale. Inoltre, sul piano orizzontale la collocazione degli attacchi linguali sugli incisivi superiori è molto vicina al CR, determinando una minore tendenza alle rotazioni quando vengono applicate forze con direzione mesio-distale. In linea generale nella tecnica linguale – vista l’applicazione della forza in un punto più vicino al CR – è sufficiente utilizzare forze leggere, continue e proporzionali12. I problemi legati all’igiene orale dipendono essenzialmente dalla motivazione e dall’abilità del paziente stesso.

Il controllo della placca batterica è fondamentale nell’ortodonzia linguale tanto quanto in quella vestibolare per mantenere un’adeguata salute parodontale13. Sicuramente la lunghezza di corona clinica è un elemento fondamentale quando si parla di igiene orale. Generalmente i brackets devono essere posizionati a non meno di 1 mm dal margine gengivale al fine di permettere la rimozione degli eccessi di composito durante il bandaggio e per facilitare l’azione delle setole dello spazzolino durante la detersione. È per queste motivazioni che in casi in cui si hanno corone dentarie estremamente corte, soprattutto nell’arcata inferiore, è sicuramente controindicata l’ortodonzia con collocazione linguale degli attacchi12. Spesso nel paziente adulto la sola terapia ortodontica non è sufficiente al raggiungimento di un equilibrio e di un’armonia dentofacciali, rendendo quindi necessario l’intervento chirurgico. In questi casi la chirurgia non sostituisce l’ortodonzia, ma piuttosto la prima deve coordinarsi correttamente con la seconda per ottenere buoni risultati. Per quanto concerne l’ortodonzia linguale questa non preclude la possibilità di un approccio chirurgico14. Nel case report riportato in seguito si fa ricorso all’espansione chirurgica del mascellare ottenuta attraverso un distrattore osseo che, come dimostra la letteratura15,16, determina una reale disgiunzione della sutura pterigo-palatina nel paziente adulto.

Caso clinico

Una paziente di 27 anni si è presentata alla nostra osservazione perché insoddisfatta del proprio sorriso a causa di un importante disallineamento dentale in entrambe le arcate (figura 1). All’anamnesi vengono riferiti una pregressa mentoplastica riduttiva e, da circa 4 anni, occasionali disturbi (click) all’ATM di destra, prevalentemente nei movimenti di massima apertura. In seguito a visita gnatologica si è deciso, vista l’assenza di segni obiettivi, di non eseguire un esame kinesiografico, spiegando all’interessata la possibilità di una sua necessità nel caso in cui fossero apparsi segni clinici e/o disturbi più marcati. All’esame obiettivo si riscontra un’asimmetria del volto caratterizzata da deviazione mandibolare a sinistra (figura 2). L’esame endorale mostra una postura linguale bassa e la presenza di tutti gli elementi della serie permanente, compresi i terzi molari. In particolare si evidenzia deficit trasversale del mascellare superiore con cross-bite bilaterale e una grave discrepanza dento-alveolare con affollamento dentale in entrambe le arcate. Nell’arcata superiore si hanno palato-versione di 1.2 e 2.2, inclinazione corono-mesiale di 1.3 e 2.3; nell’inferiore linguo-versione di 3.2, 3.5, 4.2 e 4.5 (figure 3a e 3b).

I rapporti dentali interarcata, a destra e a sinistra, sono di III classe sia molare sia canina. Si osserva inoltre una riduzione dell’overbite. A livello parodontale vi sono recessioni gengivali a livello di 1.3, 2.3, 3.3, 3.4, 4.3 che la paziente non ha voluto trattare prima della terapia ortodontica nonostante i suggerimenti. L’esame radiografico su ortopantomografia mostra cure conservative a carico di 3.6 e 4.6 (figura 4). La teleradiografia latero-laterale e il relativo tracciato secondo Tweed-Merrifield evidenziano una tendenza all’iperdivergenza (FMA = 29.6°) con relazioni sagittali di III classe scheletrica (AO-BO = -6.6 mm) e un’importante vestibolo-versione degli incisivi superiori (1/Ff = 120°) (figura 5). In base ai risultati degli esami obiettivi e strumentali è stato proposto un piano di trattamento ortognato-chirurgico che prevede l’estrazione dei III molari, l’espansione del mascellare superiore chirurgicamente assistita, una terapia multiattacchi bimascellare con tecnica palato-linguale, come richiesto espressamente dall’interessata, e quindi un successivo intervento di chirurgia ortognatica al fine di ottenere una migliore armonia scheletrica. La paziente, nonostante fosse realmente intenzionata a migliorare la propria estetica, ha preferito non sottoporsi a un ulteriore intervento, optando quindi per una terapia di compromesso senza la correzione delle discrepanze scheletriche. Viste le non ottimali condizioni di igiene orale, la paziente è stata inserita in un programma di igiene e prevenzione al fine di eliminare tutti i fattori infiammatori a livello parodontale e rendere il cavo orale più idoneo alla successiva terapia ortodontica. Una volta ottenuta la stabilizzazione, la donna è stata sottoposta all’intervento chirurgico per il posizionamento di un distrattore osseo (figura 6).

È stata preferita questa apparecchiatura perché avendo un ancoraggio osseo non ha ripercussioni a livello dentale, e inoltre perché non interferisce con l’applicazione degli attacchi ortodontici sulla superficie palatale degli elementi dentali (figura 7). Questa scelta ha consentito di anticipare il bandaggio dell’arcata superiore, che è stato eseguito da 1.7 a 2.7 con attacchi Ormco di 7ª generazione provvisti di slot .018x.027. A causa dell’importante affollamento dentale nell’arcata superiore il primo arco utilizzato era in CuNiTi .014, per poi passare al secondo arco in CuNiTi .016. Successivamente è stato utilizzato un arco rettangolare in TMA .016x.022 in espansione per contrastare la tendenza alla recidiva trasversale che il mascellare superiore ha subito rispetto all’espansione ottenuta in seguito all’osteodistrazione. A distanza di 7 mesi è stato rimosso il distrattore osseo e si è proceduto a bandare l’arcata inferiore. Sono state cementate sugli elementi 3.7 e 4.7 bande con tubo posizionato dal lato linguale, da 3.6 a 4.6 sono stati utilizzati sempre attacchi Ormco di 7ª generazione. Anche in questo caso siamo partiti con un arco in CuNiti .014, quindi il secondo arco sempre un Cu NiTi .016 per poi passare a un arco termico .017x.017 CuNiTi. In entrambe le arcate l’ultimo arco è stato un arco a sezione rettangolare CuNiTi .017x.025 (figure 8 e 9).

La terapia è durata 27 mesi al termine dei quali si è ottenuto un buon allineamento dentale migliorando i rapporti occlusali interarcata, l’overjet e l’overbite. Persistono, più accentuate, le recessioni gengivali a livello dei canini superiori. Nell’arcata superiore lo spazio necessario è stato ottenuto con un’espansione chirurgicamente assistita, mentre in quella inferiore è stato necessario eseguire un’esigua riduzione interprossimale dello smalto nei settori anteriori (figure 10 e 11). Durante le fasi terminali della cura e i controlli a distanza la paziente non ha segnalato la comparsa di disturbi a carico delle ATM. Per il mantenimento dei risultati ottenuti si è concordato con l’interessata l’applicazione di una mascherina in resina termostampata, sia per l’arcata superiore sia per quella inferiore (figure 12 e 13).

Discussione e conclusioni

L’ortodonzia linguale oggi è di fondamentale importanza perché consente di realizzare piani di trattamento complessi. Rappresenta una valida alternativa, specie nel paziente adulto, che migliora la propria compliance, grazie alla collocazione degli attacchi sulla superficie interna dei denti, rendendola pertanto non visibile. Nel caso clinico qui descritto, infatti, siamo riusciti a soddisfare le esigenze estetico-funzionali richieste attraverso l’applicazione di questa tecnica e avvalendoci solo dell’espansione chirurgica del mascellare superiore mediante distrattore ad ancoraggio osseo.

Corrispondenza
Dott.ssa Valentina Amateis
Istituto Stomatologico Milano
Via Pace, 21
20122 Milano
info@isimilano.eu

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Ortodonzia linguale associata a osteodistrazione chirurgica del mascellare: analisi della letteratura e caso clinico - Ultima modifica: 2011-10-03T10:04:39+00:00 da Redazione

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