La salivazione e la sua storia

Riassunto
I grandi successi delle scienze biologiche, in generale, e della medicina, in particolare, sono i risultati di un lungo percorso conoscitivo, culturale, filosofico-religioso ed evolutivo che ha coinvolto numerosi personaggi e scienziati della storia antica, recente e moderna. Anche in tema di odontoiatria e stomatologia, questi curiosi e particolari risvolti sono costantemente presenti e rappresentano, come in tutte le discipline mediche e chirurgiche, i fondamenti delle scienze diagnostiche e terapeutiche attualmente in opera. Un’argomentazione assai importante per l’organo della bocca e che ha sempre destato, purtroppo, un limitato interesse tra gli odontoiatri, è lo studio delle funzioni e delle caratteristiche delle secrezioni salivari. Questo importante capitolo ha interessato, nei secoli, molti insigni studiosi, soprattutto i non cultori delle scienze dentali, che hanno affrontato ricerche e avuto intuizioni proprio dallo studio dei fluidi salivari. Da questi studi emergono, inoltre, diversi concetti, regole e presupposti per la moderna odontostomatologia.

Salivation and its history
The great successes in biological sciences, in general, and in medicine, in particular, are the result of a long fact-finding, cultural, philosophical-religious and evolutionary journey that has involved many people and scientists in ancient, recent and modern-day history. These interesting and unusual developments are also a constant feature of dentistry and stomatology and, as in all the medical and surgical disciplines, they represent the basis of the diagnostic and therapeutic sciences that are currently in use. One important aspect of the mouth as an organ, and that unfortunately has always aroused limited interest among dentists, is the study of the functions and characteristics of salivary components and secretions. Over the centuries this important topic has interested many distinguished scientists and researchers, especially those outside the field of dental science, who have undertaken research and provided insight into salivary fluids. Their research also brings to light concepts, rules and premises for contemporary dental and stomatological sciences.

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I vasti panorami delle scienze biologiche e delle conoscenze mediche si sono naturalmente evoluti e radicalmente modificati nel tempo attraverso continui tentativi, inaspettati successi, geniali intuizioni e, soprattutto, errori. La storia della medicina ci mostra e ci insegna, infatti, come eccessi speculativi ed errori metodologici furono inevitabilmente causa di impedimenti al processo culturale e allo sviluppo del pensiero scientifico. Soltanto la conoscenza del parallelo sviluppo politico, sociale e artistico della società entro la quale le nuove conoscenze venivano acquisite, permette di comprenderne i processi evolutivi delle scienze biologiche e delle arti mediche in generale1-4.

Sul fatto che molte date importanti abbiamo segnato e indicato svolte fondamentali nella storia delle diverse arti sanitarie, tutti sono consapevolmente d’accordo5,6. Oltremodo, risulterebbero accettabilmente uniformi e concordanti le risposte dei vari esperti della storia della medicina alle domande d’obbligo e quasi ovvie: quando è nata la scienza medica? e quando è nata l’arte della chirurgia?

Dobbiamo però considerare un ulteriore interrogativo, basilare e importantissimo, che spesso viene inaspettatamente sottointeso e ingiustamente sottostimato dal mondo della medicina e della chirurgia in generale: quando sono nate le scienze biologiche e i presupposti teorici e dottrinali che hanno permesso il fiorire di intuizioni applicative nel campo delle diverse arti sanitarie? Questo è un quesito assai difficile da definire. Le differenti culture, gli stessi sviluppi storici e sociali e gli ampi risvolti etnico-religiosi hanno, infatti, influenzato sia positivamente sia negativamente il vasto ventaglio delle scoperte scientifiche7.

Limitandoci a ricordare e citare alcune discipline di ricerca come l’anatomia sia umana normale sia comparata, la fisiologia umana e animale, l’istologia e la citologia, la microbiologia e l’infettivologia, si sono man mano sviluppate e maturate nel tempo nei loro contenuti seguendo strade a volte parallele, ma più spesso divergenti8. Questo per mancanza e limiti di diffusione delle idee nelle varie realtà scientifiche appartenenti ai differenti atenei, per mancanza di un interscambio efficace in ambiti geograficamente lontani e da un’editoria effettivamente artigianale e assai ristretta a un pubblico di soli eletti. Tuttavia, anche se sono esistiti diversi modi e contrastanti approcci scientifici nell’affrontare i diversi temi, molti dei noti progressi e di importanti scoperte attribuibili a biologi, chimici, fisici, matematici, botanici, anatomici e altri ancora, confluivano necessariamente in un unico alveo a rendere più imponente e nobile il sapere medico.

Oggi, queste evoluzioni sono spesso sottovalutate, dimenticate e, forse, non perfettamente comprese da molti operatori, abituati a usufruire ormai di automatismi concettuali e modelli terapeutici collaudati.

Questo vale anche e soprattutto per l’odontoiatria, disciplina eminentemente pratica e ricca di continue innovazioni metodologiche direttamente influenzate dagli innumerevoli sviluppi tecnologici. Queste innovazioni, costantemente proposte nel mercato, favoriscono e semplificano certamente l’opera
quotidiana dello specialista nelle diverse procedure terapeutiche, ma possono distoglierlo da importanti riflessioni e conoscenze legate alla funzionalità di organi e apparati, più o meno strettamente, correlati con le dinamiche fisiologiche e
fisio-patologiche del cavo orale.

Una delle riflessioni più semplici e banali può portare l’odontoiatra a stimolare curiosità e conoscenze riguardanti le caratteristiche di un fluido organico che caratterizza il nostro micro-ambiente operativo: la saliva. Le conoscenze su questo fluido costantemente presente nel cavo orale e, soprattutto, le interpretazioni scientifiche che identificano la storia del pensiero conoscitivo a esso correlato, possono destare grandi interessi e addirittura apparire affascinanti. Ecco allora che riflettendo con assoluta prudenza, possiamo affermare che i veri padri della stomatologia e della moderna odontoiatria sono proprio quegli scienziati e biologi di epoche lontane che hanno studiato un organo facilmente accessibile e ricco di possibili spunti per spiegazioni delle stesse patologie locali e, soprattutto, delle espressioni orali di condizioni morbose che coinvolgevano altri distretti corporei.

Riproponiamo, quindi, la domanda, ora indirizzata maggiormente al mondo dell’odontoiatria: quando sono nate le scienze biologiche e i vari presupposti teorici e dottrinali che hanno permesso il fiorire di intuizioni applicative nel campo delle arti dentali?

Una delle possibili risposte potrebbe essere quella riguardante i personaggi, i tempi, i luoghi, gli spunti e le riflessioni riguardanti proprio e soprattutto le curiosità e gli studi riguardanti la salivazione.
Queste argomentazioni, ricche di significati storici, filosofico-religiosi e strettamente biologici, possono significativamente arricchire e certamente chiarire la risposta a questo nostro quesito.                        

Storia della salivazione                            

La cavità orale, formazione anatomicamente ben delimitata e corrispondente al primo tratto dell’apparato digerente, è un ambiente costantemente umettato da una componente liquida: la saliva. Essa, come una pellicola a fluidità variabile e in quantità altrettanto variabili, entra in intimo contatto con le mucose orali di rivestimento e i tessuti gengivo-dentali. Sebbene questo liquido sia generalmente conosciuto come saliva, esso dovrebbe essere più correttamente denominato liquido orale o fluido orale.

Infatti, i liquidi presenti nel cavo orale, formati per la maggior parte da componenti acquose, sono costituiti dalla saliva in senso stretto, dai liquidi ed essudati sulculari, da secreti derivanti dalle cavità nasali e para-nasali, dal muco di derivazione faringeo e laringo-tracheale. La saliva, quindi, può essere considerata un liquido di sintesi, biologicamente attivo con una composizione fisico-chimica e organica complessa. È costantemente prodotto e secreto nel cavo orale da strutture ghiandolari esocrine: le ghiandole salivari maggiori e minori9,10.

Certamente, i fluidi salivari rappresentano, nell’economia funzionale e fisiologica dell’intero cavo orale e oro-faringeo, una componente di primaria importanza. Essi rivestono un grande significato sia nell’assolvere una serie di importanti funzioni dell’organo bocca, sia nel mantenere un equilibrio biologicamente corretto in costante rapporto ed evoluzione con l’ambiente esterno. Infatti, il cavo orale si potrebbe considerare una «porta aperta» del nostro organismo rivolta verso l’ambiente esterno, costantemente sottoposto a insulti di diversa origine e natura11.

Analizzando gli albori delle scienze mediche, appare curioso e singolare quello che affermava Ippocrate, nel V secolo a.C., riguardo ai fluidi salivari. Fondatore della teoria umorale, Ippocrate considerò la salivazione nel suo variare solo come un sintomo di patologia del corpo (epilessia, idrofobia)12-14.

In epoca antica, uno dei primi autori a occuparsi razionalmente della saliva fu Claudio Galeno (129-216 d.C.). Egli sostenne che il fluido salivare ha una duplice provenienza: dal basso come effluvio dello stomaco e dall’alto come conseguenza degli scarti delle secrezioni dei ventricoli cerebrali: «…Ci sono inoltre due canali verticali, che attraverso il palato scaricano nella bocca i residui del cervello…» (L’utilità delle parti). La saliva venne denominata, dallo stesso Galeno, con il termine generico di «Phlegma» e le venne attribuita la capacità di alterare i cibi masticati: «… lo puoi vedere nel caso di cibi lasciati negli interstizi dei denti che vi sono rimasti tutta la notte; il pane non è esattamente pane e la carne non è esattamente carne …» (Le facoltà naturali). Altra particolare concezione di Galeno era quella che il liquido salivare fosse in grado di preservare e di guarire da alcune malattie, specialmente dai morsi velenosi dei serpenti o dalle punture degli scorpioni15-17.

Passando in epoca medioevale, lo scienziato che più si occupò della saliva fu uno dei più grandi esponenti della scuola araba: Avicenna (980-1037). Ibn Sina, Abd Allāh ibn Sīnā o Pur-Sina, più noto in occidente come Avicenna, è stato medico, filosofo, matematico e fisico persiano. Scrisse circa 450 libri su una grande varietà di soggetti ed è considerato da molti come «il padre della medicina moderna». George Sarton ha indicato Avicenna come «il più famoso scienziato dell’Islam e uno dei più famosi di tutte le razze, luoghi e tempi».

I suoi lavori più famosi sono: Il libro della guarigione e Il canone della medicina.

In Europa, Avicenna diventò un’importante figura medica a partire dal 1200, tramite gli indirizzi della Scuola Medica Salernitana. Ne Il canone della medicina si afferma che la prima digestione avviene in bocca e che la saliva è portata dalle arterie alle ghiandole salivari e da queste viene riversata nel cavo orale18-21.

Nel rinascimento, secolo aureo per lo sviluppo e l’evoluzione delle scienze anatomiche, autori come Vesalio, Gabriele Falloppia o Falloppio, Acquapendente ed Eustachio, si limitarono nei loro trattati a descrivere sempre più dettagliatamente le regioni oro-facciali, citando però grossolanamente le caratteristiche dei liquidi salivari22-24. In particolare, Bartolomeo Eustachi, più noto come Eustachio (1514-1574), fu autore del primo libro dedicato esclusivamente all’anatomia dentale: il Libellus de Dentibus. Nell’ambito di quest’opera vi sono osservazioni sulla morfologia dei denti e dell’anatomia descrittiva del cavo orale e la saliva viene descritta, come già aveva fatto in precedenza Galeno, come «Phlegma».

È tuttavia nel XVII secolo con l’affermarsi delle teorie basate sulla «iatromeccanica» e sulla «iatrochimica», che iniziano a essere presenti le prime osservazioni scientificamente razionali riguardanti i fluidi salivari. Per puntualizzare, la iatromeccanica è la meccanica applicata alla medicina. La concezione di fondo che anima questa corrente di pensiero, alla quale lo stesso Malpighi aderì, è l’idea «dell’uomo-macchina», ovvero dell’uomo come insieme di diverse macchine. Veniva riconosciuta la macchina digestiva, la macchina cerebrale, la macchina renale ecc., ciascuna con una precisa struttura e un compito ben definito. Parallelamente, la iatrochimica, che ha avuto il suo massimo esponente in Paracelso, ritiene che la salute dell’organismo dipenda essenzialmente da uno specifico bilancio tra i componenti chimici dei fluidi corporei. Il corpo umano, secondo tale concezione, si presenta come una vera e propria fornace chimica, dove la vita non è altro che una serie di processi chimici da spiegare e mettere in rapporto con la malattia e il rimedio.

L’anatomico olandese Gerard Blaes (1625-1692) sostenne che la saliva origina separandosi dalla componente sierosa del sangue. Questo definisce la saliva, nell’opera Medicina Universa del 1665, come una «umidità superflua». Analoghe considerazioni vennero fatte e condivise anche da Daniel Tauvry (1669-1701). L’autore affermò, infatti, che la saliva è un liquido separato e filtrato dal sangue arterioso, meccanismo questo che si verifica a livello delle varie ghiandole salivari.

Successivamente, il francese Claude Perrault (1613-1692) stabilì che il gusto salato della saliva è dovuto alla presenza di sali inorganici in essa disciolti. Nella sua opera Essay du Physique del 1680, Perrault descrive come riuscì a effettuare un’analisi chimica della saliva e una dimostrazione della presenza di numerosi elettroliti salivari, semplicemente trattando i fluidi orali con una lenta ebollizione ed evaporazione.

Sicuramente, però, il più grande contributo allo studio della saliva e delle ghiandole salivari venne dato dagli anatomici
Thomas Wharton (1614-1673), Niels Stensen, (1638-1686), Augustus Rivinus (1652-1723) e Caspar Bartholin (1655-1738).

Nel 1656, Thomas Wharton scoprì il dotto escretore della ghiandola sottomandibolare, la cui descrizione si trova nel primo trattato completo mai scritto sul sistema ghiandolare umano: Adenographia: sive glandularum totius corporis descriptio. Wharton compì, inoltre, studi a riguardo della fisiologia salivare nei diversi processi digestivi.

Niels Stensen, maggiormente noto come Nicolò Stenone, fu sicuramente colui che, nel Seicento, diede i maggiori contributi nell’ambito degli studi della salivazione25-26. Nato a Copenhagen nel gennaio 1638 e figlio di un gioielliere di corte, Stenone aveva conseguito la laurea nel 1664 a Leyden, compiendo poi viaggi di studio e di lavoro e fermandosi a Montpellier, Parigi, Roma e Pisa. Ebbe numerosi contatti con scuole e studiosi e, tra gli altri, ebbe come maestro Thomas Bartholin (1616-1680) che lo indirizzò in modo particolarmente attento allo studio e alla ricerca anatomica. A renderlo celebre è stata proprio la sua prima scoperta, documentata il 7 aprile 1660, quella del dotto escretore della ghiandola parotide. L’aveva fatta quando era ancora studente e non con il microscopio appena inventato e ancora a livello primordiale, bensì con una semplice lente d’ingrandimento nell’abitazione del celebre anatomista Gerard Blaes (detto anche Blasius)27.

Allo stesso tempo Blaes rivendicò la scoperta, sostenendo che Stenone aveva sfruttato i risultati di alcune sue precedenti ricerche. Stenone pubblicò allora l’opera del 1661, Disputatio anatomica de glandulae oris, dove affermò vigorosamente i suoi meriti, che erano già stati messi bene in evidenza in una lettera scritta al suo primo maestro, Thomas Bartholin: «… Tanto ebbi favorevole la fortuna, che in una testa di pecora, da me comprata, che io sezionavo da solo, il 7 aprile scopersi il condotto, da nessun ch’io sappia descritto. Allontanati i tegumenti volevo fare la sezione del cervello quando mi viene in mente di esaminare i vasi vaganti per la faccia. Pertanto, a tal fine, esplorando col ferro la via delle vene e delle arterie, osservo che la punta, non più costretta fra le anguste membrane, vagava più liberamente in una cavità ampia; e tosto inoltrando di forza il ferro sento sonare i denti» («Epistola Thomaso Bartholino», 1660).

Proseguendo poi nei suoi studi, Stenone ebbe modo di scoprire le numerose ghiandole salivari minori, tra cui quelle situate nelle sotto-mucose delle guance, nel palato molle e le ghiandole mucipare della mucosa nasale. Grazie a queste ricerche, Stenone riuscì a stabilire che la saliva non derivava dal «succo nerveo», come lo scopritore del dotto della ghiandola sottomandibolare Thomas Wharton aveva stabilito e affermato nelle sue scritture. In realtà, la saliva rappresentava un prodotto derivato dal sangue, che nel suo moto circolare da un lato giunge tramite l’arteria alla ghiandola e successivamente, per mezzo della vena, ne defluisce.

Stenone raggiunge Firenze presso la corte di Ferdinando II de’ Medici, che lo nominò archiatra personale. Tuttavia, nel 1675, Stenone decise di intraprendere la vita religiosa e, due anni dopo, fu consacrato vescovo da papa Innocenzo IX. Stenone morirà a soli 48 anni e, per volere del granduca di Toscana, il suo corpo fu portato a Firenze e sepolto nella Chiesa di San Lorenzo.

Nel 1678, l’anatomico tedesco Augustus Rivinus descrisse i 15-20 condotti escretori della ghiandola sottolinguale, mentre Caspar Bartholin, noto come Bartolino, indiviudò, nel 1684, il dotto escretore principale della ghiandola sottolinguale, ben descritto nell’opera De Ductu saliva.

L’approccio scientifico sistematico e maggiormente indirizzato verso la ricerca e la sperimentazione, già inaugurato e proposto da Galileo Galilei, ebbe anche in campo medico le prime affermazioni. Lo strumento che ha rivoluzionato in modo assai significativo il mondo della medicina e delle ricerche scientifico-biologiche è il microscopio ottico.

Questa svolta nel mondo scientifico fu opera di un commerciante: Antonj Van Leeuwenhoek. Nato a Delft il 24 ottobre 1632, Leeuwenhoek era un ricco fabbricante e commerciante di stoffe. Per il suo mestiere era abituato a maneggiare lenti di ingrandimento, i cosiddetti contafili. Forse questa è la ragione per cui dedicò molto tempo a una curiosa attività: il taglio di lenti biconvesse e la costruzione di ben 247 microscopi con capacità sino a 300 ingrandimenti. Fu nel maggio 1603 che il dottor Regnerus de Graaf presentò alla Società Reale di Londra una nota di Leeuwenhoek. Il titolo in inglese era: A Specimen of Some Observations Made by a Microscope. L’autore metteva insieme note sugli oggetti più diversi, dalla polvere di cannone alla polvere domestica, dalle piume di uccello alle scaglie di pesce, dagli organi di insetti al sangue di diversi animali e dell’uomo. Leeuwenhoek studiò lo sperma e fu il primo a descrivere microscopicamente il tartaro dentale: dove si trovavano piccoli animali più numerosi di tutta la popolazione dei Paesi Bassi e che si muovono in modo interessante27.

Tuttavia, le prime vere e importanti applicazioni mediche e biologiche del microscopio ottico sono legate allo scienziato Robert Hooke nato a Freshwater nell’isola di Wight il 18 luglio 1635. Il successo di Hooke come biologo resta legato a un’opera intitolata Micrographia: Or Some Physiological Descriptions of Minutes Bodies Made By Magnifying Glasses with Observations and Inquiries Thereupon. Questo trattato venne pubblicato a Londra da James Allestry nel 1667 ed è importante che Hooke, per la prima volta, formula la parola «cellula»27-29.

Parallelamente, lo sviluppo del pensiero scientifico ha permesso alla chimica e allo studio dei primi composti reattivi di fornire tracce e indicazioni sulla composizione dei fluidi corporei e di alcuni tessuti umani. Il belga Philip Verheien (1648-1710) compì le prime sperimentazioni chimiche sulla composizione della saliva, che descrisse nella sua opera principale Supplementum Anatomicum in un capitolo dal titolo Examen salivae per artem Chymicam et Microscopium. Utilizzando otto once della sua saliva, Verheien provvide a farle bollire in un alambicco, dove dopo vari procedimenti ottenne del «sal lixivium», che analizzo al microscopio osservando quelle che lui descrisse come «particulae oblungae», ritenute responsabili della viscosità salivare. Procedendo poi nelle sue ricerche, Verheien sottopose ad analisi campioni di saliva umana provenienti da individui giovani e anziani, osservando che i primi presentano una saliva più pura.

L’italiano Giorgio Baglivi (1669-1707) studiò invece il potere digestivo della saliva: «Si abbia cura dei denti per poter ben digerire e vivere a lungo; quando si indeboliscono, si indebolisce la saliva e quindi la chilificazione, con conseguenza di molti malanni» (Epistola ad Alessandro Pascoli, 1700)30.

Un altro italiano, il ferrarese Giuseppe Lanzoni (1663-1730), nel 1702 pubblicò il primo trattato dedicato esclusivamente alla saliva: «Exercitatio medico-phisico-anatomica de saliva humana». Si tratta di un’opera importante, da considerare per la sua completezza e divisa in sei capitoli. Nel primo Giuseppe Lanzoni, dopo aver esposto le concezioni degli antichi e quelle sino ad allora note sulla saliva, analizza l’etimologia della parola, «Sale dal ventricolo»; «Salva dalle malattie e dai morsi dei serpenti velenosi e «ha sapore salino». Il secondo capitolo è dedicato alle ipotesi sulla formazione della saliva, presente nel sangue e, una volta portata alle parotidi, viene da esso divisa. Nel terzo e quarto capitolo vengono descritte le funzioni salivari: la saliva umetta la bocca, facilita la parola, aiuta la masticazione e contribuisce alla «cognizione» degli alimenti. Gli ultimi due capitoli sono dedicati alle descrizioni di presunte proprietà curative della saliva, come un rimedio nelle affezioni cutanee, nelle otiti e come antidoto contro i veleni di serpenti e scorpioni.

Nel settecento, due fra i più importanti scienziati dell’epoca furono senza dubbio Albrecht Haller (1708-1777) e l’italiano Lazzaro Spallanzani (1729-1799)27.

Albrecht von Haller, notissimo fisiologo e sperimentatore, fu autore di numerosi trattati tra cui uno dei più importanti fu Elementa physiologiae corporis humani, pubblicato a Venezia nel 1765. In esso la saliva viene descritta come un «… liquor acquoso, svaporante, insipido, dolcemente salino, contenente poca terra, né acido, né alcalino, benché vi sia un poco di sal lisciviale; ..».

Lazzaro Spallanzani, fondatore della scuola biologica pavese, si dedicò all’analisi sperimentale in laboratorio. Si occupò di fisiologia e patologia dei processi digestivi e formulò diverse osservazioni sulla composizione chimica della saliva in animali come cani, gatti, piccioni e aquile.

Seguendo queste preziose intuizioni, George Fordyce (1736-1802) pubblicò, nel 1791, il ricco trattato A Treatise on the Digestion of Food. Questa può essere considerata la prima opera completa sull’analisi della digestione degli alimenti, dove le argomentazioni sono state trattate e discusse in modo globale considerando puntualmente sia l’anatomia delle ghiandole secernenti sia la fisiologia e la chimica dei fluidi salivari: «La saliva è un fluido composto da acqua con la quale sono combinate una mucillagine incolore e sostanze saline. La mucillagine è coagulabile, ma non rapidamente; che essa contenga sale marino non può essere dubitato perché, se la si lascia evaporare vi si vedono chiaramente dei cristalli di sale marino, ma mescolato con altre cristallizazioni, alcune delle quali ricordano quelle del comune sale ammonico (…). Inoltre, dalla saliva si possono separare alcali volatili per mezzo di un alcale vegetale fisso; e acido muriatico per mezzo di una soluzione d’argento in acido nitrico; è vero che l’acido muriatico può venire separato dal sale marino. Vi si trovano altresì altre cristallizzazioni di forma varia e irregolare, che, se si dovesse giudicare a priori, potrebbero essere le stesse dei sali che si trovano nel siero di sangue».

Qualche anno più tardi, nel 1831, Leusch scoprì l’amilasi salivare, che venne successivamente denominata da Berzelius ptialina31-32. Ricordiamo però che verrà ottenuta in forma cristallina solo nel 1948 da Mayer, Fischer e Staub. Un’altra importante scoperta si ebbe nel 1834, quando Leopold Gmelin (1788-1853) insieme al collega Friederich Tiedemann (1781-1861), durante studi sul potere digestivo salivare, scoprirono il solfocianuro di potassio nei fluidi salivari umani e animali33-36.

Nell’Ottocento, la curiosità degli studiosi verso la fisiologia, da sempre considerata di secondaria importanza rispetto all’anatomia umana e comparata, andò sempre più consolidandosi sino ad assumere una vera e propria connotazione scientifica e individuale con la creazione di vere e proprie scuole di ricerca e di pensiero. Karl Friedrich Wilhelm Ludwig (1816-1895), capo del dipartimento di fisiologia dell’Università di Lipsia, fu il primo a dimostrare che era possibile che le ghiandole digestive umane fossero influenzate da complesse interazioni del sistema nervoso centrale e, più specificamente, dal sistema nervoso vegetativo. Accanto a ciò, si cominciò a indagare sui meccanismi che governavano le fini regolazioni delle secrezioni e dei flussi salivari.

Un’altro tedesco, Wilhelm Max Wundt (1832-1920), che insegnava presso la stessa Università, nel 1879 dichiarò che «Se un nervo viene tagliato può provocare una reazione al fisico. Dal momento che un nervo può controllare la saliva, controlla anche l’esigenza di fame, di sete e di sesso. Quindi gli uomini sono degli animali. Possono essere addestrati come pecore, cani e orsi danzanti.». Si cominciarono, così, a intravvedere le effettive funzioni del sistema nervoso periferico e centrale, tanto ben descritto dai maestri anatomici. Tali studi sono proprio iniziati con una funzione organica semplice da indagare, con caratteristiche di escrezione esterna e con un modello facilmente ripetibile nel tempo: la salivazione37,38.

Sulla falsa riga delle teorie funzionalistiche varate dalle scuole germaniche, nel 1859 il grande fisiologo francese Claude Bernard (1813-1878) sostenne che il sistema nervoso centrale e quello periferico regolano la secrezione della saliva mediante un meccanismo di tipo intermittente.

In Italia, Eusebio Ohel (1827-1903), fondatore del primo laboratorio nazionale di fisiologia generale e umana all’Università di Pavia, iniziò un filone di indagini sperimentali sulle proprietà fisico-chimiche ed enzimatiche della saliva. Egli raccolse i risultati delle sue ricerche in una ricca pubblicazione del 1864 dal titolo: La saliva umana studiata colla siringazione dei condotti ghiandolari39.

Comprendere e dedurre che il tessuto nervoso possa, di fatto, controllare tutte le reazioni organiche del nostro corpo, fu un passo avanti nelle conoscenze di molti fenomeni fisico-organici40. A questo proposito, non può chiaramente essere taciuto il contributo allo studio della salivazione offerto da Ivan Petrovic Pavlov (1849-1936), che negli anni compresi tra il 1879 e il 1897 si dedicò agli studi della fisiologia della digestione e della secrezione dei succhi digestivi. A partire dal 1890 studiò i riflessi della salivazione, introducendo un nuovo concetto di «riflesso condizionato». Laureato in veterinaria, Pavlov arrivò prontamente a frequentare, a Lipsia, il primo Istituto di psicologia, diretto dal già citato Wundt. Pavlov constatò come fosse possibile trasformare un riflesso naturale o incondizionato (la salivazione in presenza di cibo) in riflesso condizionato (la salivazione in risposta al rumore della ciotola posata sul pavimento oppure in risposta al suono di un campanello che preceda ogni volta la distribuzione del cibo). Così, il semplice fatto di associare allo stimolo incondizionato costituito dal cibo uno stimolo neutro come il suono di un campanello, conferisce a quest’ultimo la stessa efficacia nell’indurre la salivazione. Per le sue ricerche sui riflessi condizionati della salivazione, Pavlov ottenne il premio Nobel per la medicina nel 1904.

A partire dal XX secolo, con l’introduzione di nuovi e più avanzati concetti di equilibrio acido-base, di pH, di tensione superficiale, di concentrazione e peso molecolare e con la scoperta delle molecole enzimatiche, si arriva all’analisi accurata delle sostanze contenute nella saliva, specialmente per quanto concerne la sua componente chimico-organica41-43.

Nel 1914, Michaelis e Pechstein, effettuarono i primi studi sul pH salivare. Gli autori hanno misurato la concentrazione idrogenionica, concludendo che la saliva presentava un pH leggermente acido. Tali studi furono ripresi e poi proseguiti da Bloomfield e Huck, i quali utilizzarono sperimentalmente i primi indicatori44,45.

A partire dal 1920, Marshall, continuando gli studi sull’equilibrio idrico-salino salivare e sul pH, iniziò a condurre esperimenti sul potere tampone della saliva, definendolo come «la quantità di acidi e di alcali necessaria per portare la reazione salivare al punto di viraggio del paranitrofenolo e della fenolftaleina». Riuscì a dimostrare come il potere tampone fosse più alto nella saliva stimolata che in quella secreta in condizioni di riposo e, nota interessante, che nei soggetti affetti da processi cariosi a carico degli elementi dentali, i valori di pH si presentavano quasi sempre più alti che in soggetti sani46.

A conferma di tutto ciò, interessanti

sono anche le considerazioni di Starr, pubblicate nel 1922. Egli dimostrò i complessi meccanismi dei sistemi tampone orali e l’estrema variabilità del pH salivare durante le fasi funzionali e nelle condizioni di riposo. Egli osservò come la centrifugazione della saliva o la sua conservazione a contatto con l’aria, elevino i valori del pH, grazie alla volatilità della CO2 che si libera dalla saliva stessa. Sempre Starr ha rilevato sperimentalmente che il pH della saliva può variare con valori compresi tra 5,75 e 7,0547,48.

Sempre nel 1922, Alexander Fleming (1881-1955) scoprì il lisozima nelle secrezioni nasali, nelle lacrime e nella saliva. Il lisozima o muramidasi è una sostanza enzimatica ad azione batteriolitica in grado di attaccare e demolire i polisaccaridi azotati che entrano nella costituzione degli strati periferici cellulari di diversi germi, sia saprofiti sia patogeni49,50. La molecola di lisozima è una glicosidasi e questo polisaccaride è formato da unità alternate di acido N-acetil-muramico (2-N-acetil-3-O-lattil-2-deossiglucosio) e N-acetil-glucosamina (2-N-acetil-2-desossiglucosio), legate tra loro da legami α-1,4-glicosidici. Il lisozima catalizza la rottura del legame glicosidico che vede impegnato nel legame il C1 dell’acido N-acetilmuramico e il C4 della N-acetil-glucosamina del peptidoglicano51,52. La scoperta di Fleming della molecola di lisozima fu, come spesso accade, una fortuita sorpresa, mentre stava svolgendo una ricerca mirata a scoprire farmaci antibiotici53,54. Fleming nacque il 6 agosto del 1881 a Lochfield, una cittadina nell’Ayrshire in Scozia. Successivamente alla laurea in medicina presso il Saint Mary’s Hospital di Londra, uno dei più moderni ospedali dell’epoca, fu immediatamente scelto come allievo interno da Sir Almroth Wright, microbiologo, professore di patologia e uno dei maggiori esperti di immunologia del tempo. Durante la prima guerra mondiale, Fleming era diventato ufficiale medico e, da quel momento, il suo intento divenne quello di ricercare terapie efficaci per guarire le infezioni insorgenti sulle ferite di guerra e si convinse che tutti gli antisettici che avevano a disposizione erano spesso inefficaci. Finita la guerra, ritornò nel suo laboratorio di Londra e iniziò il lavoro di ricerca che, seppure in modo parzialmente fortuito lo portò a effettuare, nel 1922, una grande scoperta. Mentre stava analizzando alcune colonie batteriche, una sua lacrima cadde inavvertitamente su una piastra. Il giorno seguente, con molto stupore, si accorse che i batteri erano cresciuti ovunque, tranne che nel punto dove era caduta la lacrima. Pensò allora che nella lacrima potesse esserci una sostanza ad azione antibiotica naturale, responsabile della morte dei batteri o dell’inibizione della loro crescita. In effetti, verificò in seguito che si trattava di un enzima capace di distruggere le cellule batteriche e lo battezzò lisozima55-57. È da ricordare inoltre che, negli anni 1960, il lisozima era l’unico enzima contenente tutti i 20 aminoacidi di cui fosse nota la sequenza e, come tale, servì da modello per la chimica delle proteine58-64.

Sempre proseguendo nell’evoluzione degli studi sui componenti salivari, un grande passo avanti nella comprensione della biochimica salivare fu dato da Kirk, Kesel, O’Donnel e Wach che, nel 1947, riuscirono a identificare ben 16 amminoacidi. Nell’ambito dei diversi studi, essi osservarono che nella saliva umana e animale i più diffusi amminoacidi e le concentrazioni maggiori erano rappresentate dall’arginina e dall’acido glutammico65,66.

Sempre in quegli anni, Lura, Noback, Glock, Murray e Pincus condussero ricerche sulle sostanze enzimatiche e, in particolare a partire dal 1948, sulle lipasi e le fosfatasi salivari67-71.  Nel 1950, fondamentali furono gli studi di Dechaume sulla struttura chimica delle mucine salivari72.

Sempre in quel periodo, Glavind, Granados, Hanesn, Kruse e Dam isolarono alcune componenti vitaminiche nella saliva umana. Furono identificate la tiamina, la riboflavina, l’acido nicotinico, la biotina e tracce di acido folico73-77.

Significativa è la considerazione di Schneider del 1951, che dimostrò sperimentalmente che la ptialina è possibile attivarla dal cloruro di sodio45-47.

Oggi non si parla più di ptialina, ma si identifica con il termine generico di amilasi salivare. L’amilasi è un enzima digestivo che, in sede extra-cellulare, idrolizza l’amido prima in oligosaccaridi e poi in residui monosaccaridici liberi. Gli organi a più alto contenuto di amilasi sono le ghiandole salivari e il pancreas. Si possono distinguere l’isoamilasi P prodotta dal pancreas e l’isoamilasi S di origine extra-pancreatica e prevalentemente di derivazione salivare. La forma glicosilata è rappresentata dall’α-amilasi A, con peso molecolare di 60-65 Kdalton. La forma non glicosilata è rappresentata dall’α-amilasi B, con un peso molecolare di 55-60 Kdalton. L’azione delle amilasi salivari, che scindono i carboidrati in frammenti più piccoli, si limita essenzialmente a un solo substrato: l’amido cotto (l’organismo umano non dispone di alcun enzima per l’amido crudo e la cellulosa). L’attività amilasica è però molto ridotta, a causa del breve tempo di permanenza del cibo nella cavità orale. Tuttavia, la sua attività chimica prosegue nello stomaco, sino all’inattivazione da parte dell’acido cloridrico.

Oltre alle già citate funzioni digestive, l’α-amilasi presenta funzioni antimicrobiche e ciò spiegherebbe il fatto che alcuni isotipi di amilasi sono presenti, in concentrazioni minime in altre secrezioni corporee, quali lacrime, secrezioni nasali, secrezioni bronchiali, latte e secrezioni del tratto genitale femminile e maschile.

In epoche più recenti, gli studi sulla salivazione si sono espansi a macchia d’olio, in relazione agli sviluppi tecnologici delle tecniche di laboratorio e dei vari test bio-diagnostici sempre più sofisticati e attendibili. Molte delle funzioni e dell’ecosistema dell’organo bocca, trovano spiegazione proprio da quella moltitudine di componenti salivari, ancora poco conosciuti e identificati nel loro ruolo specifico.

I composti inorganici presenti nei fluidi orali rispecchiano le caratteristiche delle composizioni riscontrabili nel plasma sanguigno e dei liquidi extra-cellulari. Gli elettroliti salivari maggiormente rappresentati sono il sodio, il potassio, il cloro, gli ioni bicarbonato, il calcio, il magnesio, gli ioni fosfato, il fluoro e il tiocianato. La componente organica è costituita invece prevalentemente da molecole proteiche e da glico-proteine che vengono sintetizzate, immagazzinate e secrete dalle cellule dei segmenti terminali ghiandolari. Inoltre, si possono identificare composti organici semplici come gli aminoacidi, i lipidi e i glucidi, costituendo la matrice chimica della composizione di molecole più complesse. Con le recenti tecniche di separazione cromatografica, si è potuto isolare una ventina di frazioni proteiche.

Parallelamente alle discipline di laboratorio, le ricerche e le sperimentazioni sono proseguite in una visione più clinica e fisio-patologica. Alcuni meccanismi intrinseci delle dinamiche secretorie, lo studio del trasporto cellulare nell’ambito degli adenomeri ghiandolari e le fini regolazioni neuro-vegetative, presentano ancora lati oscuri e poco conosciuti. Tuttavia, gli studi riguardanti alcune importanti patologie salivari, come l’iposalivazione, le flogosi acute e croniche dei parenchimi ghiandolari, le calcolosi salivari e le componenti neoplastiche, sono stati affrontati in questi ultimi vent’anni in modo assai produttivo78-88.

Uno dei temi dibattuti e particolarmente affrontati nel mondo della clinica è stato quello delle disfunzioni quantitative delle secrezioni della saliva.  L’affrontare le numerose problematiche di questi gravi deficit funzionali ha stimolato l’avvio di diverse ricerche e gli studiosi sono tutt’ora impegnati nell’identificare le cause sia endogene, locali
e sistemiche, sia esogene89-98.

Solo da pochi anni, con l’ausilio di supporti tecnologici e sofisticati programmi di analisi computerizzata, si è potuto comprendere solo alcune delle funzioni dei liquidi orali. Per esempio, una probabile funzione regolatrice del complesso ecosistema orale viene attribuita alla presenza di sialina, peptide di piccole dimensioni che viene metabolizzato dai batteri del cavo orale e libera amine alcalinizzanti.

Queste sarebbero in grado di controllare l’acidità della placca, esercitando un effetto preventivo nei confronti della carie dentale99-101.

Sono ormai ben documentate come alcune componenti organiche della saliva, isolatamente e/o sinergicamente a componenti elettrolitiche, rappresentino importanti fattori di controllo della colonizzazione batterica e fungina del cavo orale. L’agglutinazione delle cellule batteriche da parte delle mucine è stata la prima caratteristica a essere identificata e studiata. Altre proteine salivari presentano azione antibatterica e immunitaria come l’enzima sialoperossidasi o lattoperossidasi che svolge un’azione diretta di controllo sul metabolismo batterico, la lattoferrina e il già citato lisozima e le stesse immunoglobuline secretorie IgA101-103. Interessanti sono le ricerche a riguardo di una altro gruppo di proteine salivari: le proteine ricche di prolina (Proline-Rich Proteins). Esse sono in grado di condizionare significativamente la placca dentale, influenzando l’adesione di alcune specie batteriche alle superfici dentali104-106.

Conclusioni                       

Quale futuro per la storia della stomatologia e degli studi riguardanti la salivazione? Sarà un futuro sempre più nel «piccolo». Inteso, questo «piccolo», nelle conoscenze dei meccanismi ultra-microscopici e organolettici molecolari, dei meccanismi regolatori e le loro azioni, della genetica, dell’enzimologia e del metabolismo delle molecole farmacologiche. Tutto questo costituirà la base della clinica e delle future terapie. Come sarà possibile questo? Solo in funzione dell’evoluzione tecnologica, che, come abbiamo visto, ha sempre condiviso e supportato gran parte delle ricerche e le scoperte scientifiche.

Questa descritta è una piccola parte della storia delle scienze biologiche e dell’arte della medicina. È la storia della «saliva», la storia di persone, di scienziati, di scuole di pensiero e di progressi. Essi potrebbero essere certamente discussi e commentati da opinioni di parti, ma condivisibili per ogni evoluzione storica di tutte le discipline della medicina e della biologia.

L’insegnamento fondamentale che possiamo trarre dalla storia della medicina è che non c’è scienza senza esperimento e senza verifica.

Ogni fenomeno clinico, ogni metodo di cura, ogni procedura chirurgica devono essere dimostrati e documentati sperimentalmente e i risultati dovranno essere descritti in modo che possano essere ripetuti e verificati in modo incontestabile. Se possiamo sicuramente affermare che il progresso di questi ultimi cinquant’anni è stato superiore a quello dei cinquemila anni precedenti, ciò è indubbiamente il risultato dell’applicazione categorica del metodo sperimentale. L’insegnamento che può dare la storia al moderno odontoiatra, continuamente stimolato ed eccitato da nuove tecnologie e procedure terapeutiche, è la consapevolezza di un’origine e di una ragione storico-scientifica della nostra disciplina assai importante e nobile e che non si ripiega ai soli insegnamenti e ricordi pseudo-scientifici di illuminati bottegai o di sperimentazioni artigianali. Inoltre, questa consapevolezza dell’evoluzione scientifica e delle radici nobili del sapere, devono essere applicate con rispetto e periodicamente rinverdite per poter avere un confronto più attento e consapevole dei progressi della stessa odontostomatologia. Certamente, questo sapere e questa crescita di «cultura specialistica allargata», verrà avvertita e apprezzata positivamente da tutti i nostri pazienti. 

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• Paolo Zampetti1
• Francesco Spadari2
1 Università degli Studi di Pavia, Corso di Laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria, professore a contratto in Storia dell’Odontostomatologia
2 Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Scienze Chirurgiche Ricostruttive e Diagnostiche, Ambulatorio di Patologia e Medicina Orale –
Fondazione IRCCS Ospedale maggiore
Policlinico Mangiagalli Regina Elena – Milano

Corrispondenza
Prof. Francesco Spadari
Dipartimento di Scienze Chirurgiche Ricostruttive
e Diagnostiche dell’Università degli Studi di Milano
Ospedale Maggiore Policlinico Mangiagalli Regina Elena
Fondazione irccs – Milano.
Clinica Odontoiatrica e Stomatologica
Via della Commenda 10 – 20122 Milano
Tel. 02-50320242 – Fax 02-50320243
Francesco.Spadari@unimi.it

La salivazione e la sua storia - Ultima modifica: 2010-02-01T08:54:11+00:00 da Redazione

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