La ricerca in Italia? Una scelta con molte incognite

 

Quali sono le novità dietro l’angolo?
Innanzitutto sono novità che stanno nascendo dall’esigenza, comune un po’ a tutte le discipline odontoiatriche, di avere protocolli operativi sempre più semplici e predicibili. I materiali si stanno dunque evolvendo in questo senso, con l’obiettivo di essere innovativi, cioè capaci di assicurare buone performance, riducendo i tempi operativi e incrementando la durata del trattamento nella bocca del paziente.

Una ricerca che conduca dunque a risultati pragmatici, ma anche a un’odontoiatria sostenibile. È così?
Sì, oggi più di ieri bisogna essere pragmatici, perché i fondi per la ricerca sono esigui e investire in progetti non produttivi per la clinica non avrebbe senso. Riguardo alla sostenibilità, bisogna ricordare che in tutti gli ambiti odontoiatrici l’atteggiamento è quello della minima invasività: si tende a intervenire dove è strettamente necessario, con un atteggiamento conservativo. Dall’altro lato, essendo richieste prestazioni di alta qualità ma dai costi contenuti, nell’interesse di tutti si cerca di far coincidere queste due istanze, anche se non è sempre facile, né possibile riuscire nell’intento.

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Cosa ne pensa dell’ultima riforma universitaria che ha introdotto la figura del ricercatore a tempo determinato?
È una riforma i cui effetti mi hanno coinvolto personalmente, dato che anch’io sono attualmente un ricercatore a tempo determinato, con un contratto di tre anni, rinnovabile solo una volta, perché questo prevede la legge attuale. Come ogni riforma, contiene elementi positivi, ma anche aspetti contraddittori. Di sicuro c’è la volontà di investire in persone produttive, secondo un principio di meritocrazia, per contro, un contratto a tempo determinato non offre quella tranquillità che un ricercatore dovrebbe invece avere e che gli consentirebbe di dedicarsi senza preoccupazione al suo lavoro. D’altronde, questa forma contrattuale non nasce solo dalla volontà di mettere continuamente alla prova la capacità del ricercatore, ma anche dalla carenza di risorse economiche. Chi lavora a queste condizioni vive nell’incertezza. Dopo il secondo rinnovo, per il ricercatore si aprono due possibilità: l’assunzione a tempo indeterminato o la fine della sua carriera universitaria. C’è il rischio di ritrovarsi alla soglia dei 40 anni dovendo ricominciare daccapo. Nella ricerca, in Italia, si va avanti solo se ci si crede fortemente.

Un altro problema è quella della fuga dei cervelli: ma non è un fatto fisiologico che un ricercatore possa trasferirsi all’estero anche per avere nuovi stimoli?
Certo, in parte è così. Anch’io dall’esperienza estera ho tratto stimoli e insegnamenti. Per chi ha passione per questo lavoro, l’ambito internazionale è una risorsa importante, tuttavia se in Italia le prospettive fossero diverse da quelle attuali, i ricercatori sarebbero meno attratti da questa possibilità che in alcune circostanze può diventare l’unica soluzione praticabile per non abbandonare il settore.

Oggi c’è anche chi pensa all’estero per esercitare la libera professione. Come valuta, da giovane odontoiatra, questa possibilità?
In questo caso, credo che giochino un ruolo importante il carattere della persona e il suo progetto di vita. Nel nostro Paese, nonostante le difficoltà in cui versa il comparto odontoiatrico e le prospettive professionali più modeste rispetto al passato, credo che per un giovane preparato, serio e motivato ci siano ancora buone possibilità. Pertanto, la scelta di andare a lavorare all’estero, in questo caso, penso sia dettata più da ragioni personali che non strettamente professionali.

Anche perché la presenza delle donne nel mondo medico e odontoiatrico, ad esempio, è in continua crescita. Si sono aperte nuove possibilità…
Sì, è vero, le donne sono in crescita nel nostro settore, anche se ritengo che non ci sia ancora parità assoluta rispetto agli uomini. Non perché ci siano discriminazioni, tutt’altro. Il problema riguarda più in generale la difficoltà delle donne nel conciliare la vita professionale con quella familiare. Tuttavia la presenza femminile nel mondo odontoiatrico, anche ai vertici dell’università, è già una realtà consolidata. Basti pensare agli ultimi due Presidenti del Collegio dei Docenti di Odontoiatria, la professoressa Elettra De Stefano Dorigo prima e la professoressa Antonella Polimeni oggi che hanno ricoperto questo prestigioso incarico: un fatto che fa ben sperare.

Per concludere, è ottimista per il futuro, suo, della ricerca e della professione?
In questo periodo storico non è facile essere ottimisti, tuttavia il pessimismo non aiuta, non è produttivo. Non serve lamentarsi: al contrario, credo sia necessario credere in quello che si fa, investire nel futuro. Io ci sto provando, voglio essere ottimista.

La ricerca in Italia? Una scelta con molte incognite - Ultima modifica: 2013-05-29T16:03:20+00:00 da Redazione

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