La qualità degli ambienti di lavoro

La disponibilità di una copertura semplificherà il dislocamento delle unità esterne dell’impianto di condizionamento

Lo studio è il luogo di lavoro nel quale medico e personale trascorrono buona parte della giornata;  al fine di ottimizzare il rendimento professionale, dovrebbe garantire il miglior comfort ambientale assicurando al medesimo tempo caratteristiche  di salubrità e gradimento per chi vi opera.  Vediamo cosa si può fare per soddisfare questi requisiti.

 

Esistono normative nazionali e internazionali che stabiliscono criteri ben precisi per la valutazione del comfort ambientale, prescrivendo specifiche indicazioni per il conseguimento dei livelli non dannosi alla salute degli operatori. Ogni ambiente, pertanto, dovrebbe rispondere a specifici canoni in materia di sicurezza, aerazione, luminosità, dimensionamento, qualità dei materiali e delle condizioni di lavoro. In Italia la norma che regolamenta la sicurezza sui luoghi di lavoro è la Legge 626 del 1994. Questa disposizione, introdotta per riassumere e coordinare una serie di normative preesistenti, stabilisce che ogni datore di lavoro debba redigere una Valutazione Dei Rischi, ovvero un documento nel quale vengano analizzate tutte le condizioni ambientali e strumentali dell’attività e conseguentemente vengano messe in atto tutte le misure di sicurezza volte a minimizzare le possibilità di eventuali incidenti.

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La norma non è molto gradita dai medici poiché comporta l’obbligo di produrre una notevole quantità di documenti e certificazioni. È però uno strumento essenziale per chi intende affrontare un’attività con il massimo scrupolo e sicurezza. Dal punto di vista architettonico gli aspetti che vengono coinvolti riguardano principalmente la salubrità degli ambienti, la sicurezza degli impianti elettrici e la sicurezza dei locali dal punto di vista antincendio.

Le dimensioni dei locali

Le caratteristiche di salubrità degli ambienti possono coinvolgere differenti aspetti.

In primo luogo si può parlare del dimensionamento dei locali. Ogni ambiente di lavoro deve essere progettato in conformità ai regolamenti edilizi e di igiene vigenti, prescrizioni che variano da comune a comune e che, raramente, possono essere soggetti a deroghe da parte delle autorità preposte al rilascio delle autorizzazioni edilizie.  Ogni locale può essere suddiviso in base alle caratteristiche dell’attività che dovrà ospitare al suo interno; in questo caso sarà considerato locale con permanenza di persone, senza permanenza di persone o con permanenza saltuaria. Per ogni tipologia di locale e per le caratteristiche di affluenza dello stesso corrispondono delle dimensioni ben precise. In realtà, troppo spesso ci si affida alle prescrizioni della norma, dimenticando l’aspetto umano dato dall’ergonomia degli spazi che la funzione che vi si dovrà svolgere richiede.

In effetti, sovente, capita di doversi confrontare con alloggi di metrature ridotte, nei quali sono stati inseriti locali di superficie minima ammessa con la finalità di saturare con il massimo numero di studi l’unità immobiliare.

Solo al momento dell’utilizzo ci si rende conto della reale dimensione dei locali realizzati che risultano troppo piccoli per la funzione che vi si svolge. Nel progettare uno studio sarebbe una buona scelta quella di non privilegiare il massimo sfruttamento dell’area, ma analizzare con realismo le necessità spaziali della funzione medica che vi si vuole svolgere e riservare una tolleranza nella disposizione degli spazi.

Gli architetti sono abili nel far apparire di dimensioni superiori anche il più piccolo degli ambienti.  Ma per realizzare progetti per i quali la soddisfazione dei fruitori emerga a lungo termine durante l’utilizzo quotidiano degli ambienti, potrebbe essere un esercizio utile simulare nella sala operativa gli ingombri del nuovo studio che si sta progettando, al fine di verificare le dimensioni e l’ergonomia degli spazi prima della realizzazione.

La climatizzazione dei locali

Altro aspetto da non sottovalutare in un ambiente di lavoro è l’aerazione dei locali.

La qualità dell’aria presente può variare a causa di molteplici fattori: può essere fortemente viziata dal prolungato stazionamento delle persone che vi operano o dall’emissione di odori degli apparecchi siti all’interno dei locali o dallle sostanze che possono essere adoperate o riposte. Uno scarso ricambio d’aria negli ambienti potrebbe essere la causa quella fastidiosa sensazione di aria viziata che mal si concilia con un’immagine di pulizia e asetticità che uno studio odontoiatrico dovrebbe trasmettere. Le normative vigenti, anche per questo aspetto, variano da comune a comune e prescrivono quali ambienti devono possedere specifiche caratteristiche di aerazione naturale. Alcuni regolamenti comunali accettano situazioni di assenza di aerazione naturale, posto che esista un impianto di condizionamento che possa sopperire a tale carenza. Esiste però una gran confusione in materia di condizionamento. Proviamo quindi a cercare di chiarire le differenze delle varie tipologie di impianti.

Il trattamento termico dei locali consiste nel riscaldare o raffreddare gli ambienti attraverso impianti autonomi o centralizzati, al fine di garantire una ottimale temperatura, grado di umidità e ricambio d’aria. Ogni ambiente, in funzione delle attività e delle apparecchiature che ospita, e in funzione delle caratteristiche di isolamento o di dispersione che possiede, necessita di un trattamento termico differente.

In assenza di spazi esterni anche un angolo del garage può essere idoneo ad alloggiare le unità esterne

Gli ambienti di uno studio presentano enormi diversità di requisiti termici. Per esempio, la sala di attesa e la sala operativa: nella prima generalmente non vi sono sorgenti di calore, e il rapporto occupanti/dimensione è spesso molto basso. Nella seconda invece vi sono tre persone (medico, assistente e paziente) in un locale più piccolo, con apparecchiature che producono calore e un lavoro tensivo da parte del medico (oltre a una notevole tensione da parte del paziente!) per cui i requisiti termici dei due ambienti risulteranno decisamente differenti. In determinate stagioni avremo necessità di scaldare la sala di attesa, mentre in sala operativa sentiremo l’esigenza di raffreddare l’aria. Per questo motivo la prima raccomandazione è quella di realizzare quando possibile impianti di trattamento indipendente per ogni locale, al fine di gestire al meglio i singoli requisiti che ogni operatore o ogni attività richiedono.

Il riscaldamento degli ambienti può avvenire mediante differenti sistemi.

Il più diffuso è il tradizionale impianto a radiatori. Da una caldaia produttrice di acqua calda (centralizzata o autonoma) quest’ultima viene fatta pervenire agli elementi radianti attraverso una dorsale di tubazioni. Ogni ambiente quindi potrà godere di un riscaldamento indipendente, dosato in modo automatico o manuale attraverso la valvola del radiatore. I principali vantaggi di tale sistema consistono nell’assenza di manutenzione ai corpi radianti e nel collaudato senso di benessere ambientale di tale riscaldamento. Gli svantaggi sono dati dall’ingombro dei caloriferi, dallo loro scarsa igienizzabilità, dovuta alle superfici radianti non sempre raggiungibili per una corretta pulizia, oltre agli antiestetici baffi che producono sulle pareti.
Un secondo sistema di riscaldamento consiste nell’utilizzo dei pannelli radianti a pavimento. Questo sistema sta tornando alla ribalta negli ultimi anni, con notevoli migliorie rispetto ai pannelli utilizzati negli anni Sessanta. Oggi la temperatura dell’acqua che alimenta i pannelli è molto più bassa, eliminando il fastidioso gonfiore alle gambe tipico dei vecchi modelli, e i materiali plastici con cui sono realizzati garantiscono una miglior tenuta nel tempo e una possibilità di regolazione a zone più puntuale. La miglior caratteristica di questo impianto è la sua assenza di ingombro, a fronte di una più difficoltosa collocazione sotto il pavimento negli studi a causa del sovraffollamento del sottofondo, dovuto alla complessa e corposa impiantistica che deve contenere.
Da ultimo segnaliamo che, qualora si optasse per tale impianto, bisognerebbe porre particolare attenzione alla dislocazione dei tubi nella zona del riunito, per non comprometterne la possibilità di fissaggio a pavimento che certi modelli richiedono. Il terzo sistema di riscaldamento è quello ad aria, che di solito viene realizzato in parallelo all’impianto di climatizzazione.

Per meglio comprenderne le caratteristiche proviamo a descrivere le varie tipologie di trattamento termico ad aria.

Negli impianti centralizzati la produzione di aria fredda o calda viene generalmente realizzata attraverso due differenti sistemi: gli impianti ad acqua e gli impianti a espansione diretta.

Il primo tipo è costituito da una rete di termoconvettori (fan coil) alimentati da una dorsale di tubazioni nelle quali viene fatta scorrere acqua refrigerata, prodotta da un gruppo frigorifero esterno. Sono gli impianti adatti specialmente a studi medio/grandi, in quanto non esiste particolare problema per la distanza e il numero delle unità da trattare. Inoltre sono i più adatti qualora decidessimo di realizzare anche il riscaldamento dei locali con gli stessi fan coil, alimentando la rete idraulica con acqua calda prodotta da una caldaia.

Il secondo tipo di impianto è quello chiamato a espansione diretta, ovvero una serie di unità ventilanti (gli split) alimentate da una rete di tubazioni nella quale scorre il gas freon, facenti capo a una o più unità esterne.

Questo secondo tipo è di solito più moderno ed efficiente, ed è in grado di scaldare gli ambienti invertendo il ciclo di compressione del gas (pompa di calore ). Generalmente però l’economia di esercizio per riscaldare gli ambienti fa propendere per un minor costo di riscaldamento con gli impianti ad acqua.

Gli impianti descritti sono idonei a realizzare la climatizzazione degli ambienti, ovvero trattano l’aria presente nei locali senza ricambiarla.

Un’unità immobiliare troppo bassa renderà problematica l’installazione dei canali e delle unità interne

Qualora volessimo realizzare un impianto di condizionamento dovremmo integrare il trattamento termico descritto con un sistema di ricambio d’aria, con deumidificazione, umidificazione e filtraggio. Questo servizio viene fornito in modo molto efficiente da un apparecchio chiamato recuperatore di calore, un’unità ventilante interna che preleva aria dagli ambienti (mediante idonee canalizzazioni) e la espelle all’esterno. Allo stesso tempo preleva una identica quantità di aria esterna e la distribuisce in ambiente attraverso una seconda rete di canalizzazioni.
I due flussi vengono fatti incrociare (senza mescolarsi) e l’aria in uscita cede calore all’aria in entrata (il contrario in estate ), in modo da minimizzare lo sbalzo termico dell’aria esterna introdotta in ambiente. Per esempio, d’inverno estrarremo aria a 23 gradi dai bagni e dal locale di sterilizzazione, e preleveremo all’esterno aria a zero gradi. Per mezzo del recuperatore quest’ultima potrà essere immessa negli ambienti a 12/14 gradi, necessitando quindi solo di un lieve post-riscaldamento per essere diffusa dalle bocchette dell’impianto, con notevole risparmio in termini di consumo.
Per essere classificato come impianto di condizionamento, e quindi assolvere ove consentito al sopperimento della carenza di aerazione naturale, l’impianto dovrà essere dotato di un sistema di controllo dell’umidificazione dell’aria, e di idonei sistemi di filtraggio.
Ma attenzione a un problema normativo: una norma Uni (10339) codifica le caratteristiche e i ricambi d’aria previsti per gli ambienti, e vieta il ricircolo dell’aria negli ambienti medici. Ovvero: il vostro impianto deve far sì che l’aria che esce da uno studio, o dalla sala di attesa, o da una segreteria, non possa mescolare con l’aria proveniente da altri ambienti e ritornare in circolo. Il rispetto di questa normativa obbliga a un’accorta progettazione dei flussi aeraulici dell’impianto e spesso costringe a portate di aria esterna importanti, con conseguente aumento dei costi di installazione e di gestione.

Per finire vorrei dare un suggerimento riguardo agli impianti di condizionamento: il buon funzionamento è una condizione necessaria per il raggiungimento della miglior qualità ambientale. Non risparmiate sull’impianto e affidatevi a tecnici specializzati, evitando gli idraulici che si improvvisano condizionatoristi: state investendo delle cifre importanti e non potete permettervi che a impianto realizzato, il risultato non sia quello progettato sulla carta.

Se un impianto di condizionamento funziona male, allora NON funziona. E difficilmente a opere finite si riesce a intervenire in modo indolore per migliorare o correggere gli errori.

La qualità degli ambienti di lavoro - Ultima modifica: 2007-12-11T15:40:31+00:00 da elisabettadolzan

2 Commenti

  1. Non ho trovato quello che cercavo. Vorrei sapere qual’è la distanza di sicurezza del posto di lavoro da un fancoil soprattutto d’estate con aria condizionata fredda grazie

    • Buongiorno, ci siamo rivolti ad Aldina Tradati, nostra attuale collaboratrice per la rubrica di architettura.
      La distanza della postazione di lavoro dal fancoil dev’essere tale per cui la velocità dell’aria, nel volume occupato, non sia superiore a 0,2 m/s (è preferibile non superare 0,16 m/s). Non esiste, quindi, una distanza prefissata ma questa dipende dalle caratteristiche del fancoil (portata d’aria, direzione del getto d’aria…).
      Un cordiale saluto

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