La professionalità passa anche dal consenso informato

La buona notizia è che la mancata acquisizione del consenso informato non ha, solo per il fatto di essere – per l’appunto – mancante, alcuna rilevanza penale. E questa è già una buona cosa. I problemi sorgono quando, a seguito di un esito infausto della prestazione sanitaria, se ne scopre l’assenza che altro non può che attestare la superficialità e la scarsa professionalità che il medico (o l’odontoiatra) ha adottato nell’affrontare clinicamente la problematica sottopostagli.

Il caso

Anche questa volta il caso preso in esame non rientra prettamente nel campo odontoiatrico, ciò nonostante le decisioni assunte dalla Suprema Corte ben si possono applicare all’intero mondo sanitario, e a buon diritto. Come purtroppo spesso accade c’è un morto, ci sono i familiari, ci sono i medici imputati… un triste cliché che si ripete con sprazzi di originalità limitati alle prestazioni (oggi una pancreasectomia per cistoadenoma maligno) e, a volte, ai comportamenti tenuti dalle parti.

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La sentenza odierna ha tutti i requisiti per poter essere annoverata tra quelle, emesse dalla Suprema Corte, che avranno meglio delineato i caratteri volubili ed evanescenti del famoso (famigerato?) consenso informato. Si legge infatti: “La Corte ha escluso rilevanza penale: nel caso in cui il medico sottoponga il paziente a un trattamento chirurgico diverso da quello in relazione al quale era stato prestato il consenso informato e tale intervento, eseguito correttamente, si sia concluso con esito fausto, nel senso che ne è derivato un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute, in riferimento anche alle eventuali alternative ipotizzabili e senza che vi fossero indicazioni contrarie da parte del paziente medesimo, tale condotta è priva di rilevanza penale, tanto sotto il profilo del reato di lesioni volontarie (articolo 582 cod. pen.), che sotto quello del reato di violenza privata (articolo 610 cod. pen.).

Le Sezioni unite, in definitiva, hanno definitivamente chiarito che la mancanza o l’invalidità del consenso non ha alcuna rilevanza penale. Si tratta piuttosto di apprezzare gli effetti penali che dall’eventuale mancato o invalido consenso possono derivare per il medico in caso di esito infausto o comunque dannoso del proprio intervento. È da ritenere che la valutazione del comportamento del medico, sotto il profilo penale, quando si sia in ipotesi sostanziato in una condotta (vuoi omissiva, vuoi commissiva) dannosa per il paziente, non ammette un diverso apprezzamento a seconda che l’attività sia stata prestata con o in assenza di consenso. Cosicché, per intenderci, il giudizio sulla sussistenza della colpa non presenta differenze di sorta a seconda che vi sia stato o no il consenso informato del paziente. Con la importante precisazione che non è di regola possibile fondare la colpa sulla mancanza di consenso, perché l’obbligo di acquisire il consenso informato non integra una regola cautelare la cui inosservanza influisce sulla colpevolezza: infatti, l’acquisizione del consenso non è preordinata (in linea generale) a evitare fatti dannosi prevedibili (ed evitabili), ma a tutelare il diritto alla salute e, soprattutto, il diritto alla scelta consapevole in relazione agli eventuali danni che possano derivare dalla scelta terapeutica in attuazione di una norma costituzionale (art. 32, comma 2).

In realtà, come esattamente precisato dalla citata sentenza resa nel procedimento <…omissis…>, in un unico caso la mancata acquisizione del consenso potrebbe avere rilevanza come elemento della colpa: allorquando, la mancata sollecitazione di un consenso informato abbia finito con il determinare, mediatamente, l’impossibilità per il medico di conoscere le reali condizioni del paziente e di acquisire un’anamnesi completa (ciò che potrebbe verificarsi, per esempio, in caso di mancata conoscenza di un’allergia a un determinato trattamento farmacologico). In questa evenienza, il mancato consenso rileva non direttamente, ma come riflesso del superficiale approccio del medico all’acquisizione delle informazioni necessarie per il corretto approccio terapeutico. È in questa prospettiva, che regge e va condivisa la decisione gravata, allorquando evidenzia il tema della affermata mancanza di un consenso valido e pieno come nello specifico dimostrativo di un atteggiamento colposo del sanitario, rilevante ai fini del verificatosi evento lesivo, giacché la mancata prospettazione dell’alternativa possibile all’intervento (nello specifico, il follow up terapeutico) ha posto le condizioni per un approccio interventistico approssimativo e inutilmente rischioso, con gli effetti dettagliati in contestazione”.

Anamnesi

“La salute non analizza se stessa e neppure si guarda allo specchio. Solo noi malati sappiamo qualche cosa di noi stessi.”. Così diceva argutamente Italo Svevo, cogliendo in pieno il senso che l’anamnesi, il ricordo (dal verbo greco anamimnesko, ricordare, per l’appunto) deve avere. E tale ricordo può emergere inaspettatamente e improvvisamente proprio in fase di acquisizione del consenso al trattamento terapeutico, e ciò magari anche dopo aver già sottoposto il paziente a un intenso scambio di informazioni anamnestiche che, per quanto accurate, sono sempre affidate – ahimè – alla labile memoria umana. E quindi non abbiate timore di annoiare i pazienti! Siano essi Pico della Mirandola o la pesciolina Dory, saranno sempre e ancor più grati al vostro esemplare zelo professionale.

Mariateresa Garbarini

La professionalità passa anche dal consenso informato - Ultima modifica: 2018-06-14T18:00:26+00:00 da Redazione

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