La benedizione

In un momento pieno di dazi, balzelli e orpelli legislativi almeno una certezza: ove mai qualche odontoiatra fosse ancora pronto a sfidare “in solitario” crisi e concorrenza sappia che può farlo senza l’autorizzazione di chicchessia. Tutt’altro, però, che un percorso in discesa…

Ai sognatori, agli idealisti, ai coraggiosi la Cassazione dedica un pensiero e conferma la facilità di accedere al mondo del lavoro. Il difficile oggi pare rimanervi ma tant’è, chi desidera aprire il proprio studio professionale come nei sogni di bambino può farlo senza dover rendere conto a nessuno, con la benedizione della Suprema Corte.

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Il caso

Il Comune di X ricorreva per Cassazione avverso la sentenza del Tribunale di X che rigettava l’appello proposto dallo stesso Comune per ottenere la riforma della pronuncia del locale Giudice di pace che, in accoglimento del ricorso proposto dal Dott. B.G., aveva annullato l’ordinanza di ingiunzione che aveva irrogato all’opponente una sanzione amministrativa pecuniaria per avere aperto uno studio odontoiatrico senza l’autorizzazione prescritta dall’art. 7 della L.R. Marche 20/2000 avendo ritenuto – il giudice di secondo grado – che ai sensi della Legge Regionale citata nonché della vigente normativa statale (D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8 ter in tema di riordino della disciplina in materia sanitaria così come introdotto dal D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229) l’autorizzazione dovesse essere richiesta solo per l’apertura di studi odontoiatrici eroganti prestazioni con rischio per la sicurezza del paziente, condizione quest’ultima la cui esistenza nel caso di specie non risultava dagli atti di causa.

La decisione

I primi due motivi, trattati congiuntamente per evidente connessione obiettiva, erano ritenuti infondati. Sosteneva, infatti, il Comune di X come vi fosse stata violazione e falsa applicazione di normative non solo regionali ma financo statali (D.Lgs. 502/1992, L.R. Marche 20/2000, L.R. Marche 11/2001 nonché Delibera Giunta Regione Marche 1279/2000, Delibera 2200/2000, Delibera 2457/2000 e Delibera 1579/2001) assumendo come la disciplina regionale dovesse senza alcun dubbio ritenersi prevalente su quella statale (e ciò in ragione delle disposizioni contenute nel titolo V, Parte Seconda della Costituzione, che ha ampliato il potere di intervento legislativo delle Regioni in materia sanitaria) e come proprio tale disciplina regionale considerasse gli studi odontoiatrici sempre sottoposti ad autorizzazione amministrativa. A supporto delle argomentazioni avanzate, il ricorso richiamava una norma di interpretazione autentica introdotta dalla L.R. 11/2001 che assoggettava ad autorizzazione “gli studi professionali individuati dalla Giunta regionale ai sensi della medesima L.R. n. 20 del 2000, art. 6, commi 1 e 2”, aggiungendo che la Delibera Giunta Regionale n. 1279 del 2000 prevedeva la richiesta di autorizzazione per gli studi odontoiatrici tout court, senza ulteriori distinzioni.

Con il secondo motivo di ricorso il Comune sempre denunciava la ritenuta operata violazione e falsa applicazione dei canoni interpretativi fissati dall’art. 12 delle preleggi con riferimento alle succitate normative e delibere, chiedendo la censura della decisione impugnata per avere risolto gli eventuali dubbi interpretativi dando prevalenza alla normazione statale rispetto a quella regionale, in contrasto – a parere del Comune – con le disposizioni costituzionali che prevedevano, invece, una competenza concorrente di Stato e Regioni nella disciplina della tutela della salute e assegnavano allo Stato la determinazione dei soli principi generali, permettendo alla Regione la predisposizione della disciplina di dettaglio. La sentenza era poi criticata per avere disapplicato il criterio di interpretazione testuale, risultando dalla legislazione regionale di settore chiara la volontà di assoggettare ad autorizzazione tutti gli studi odontoiatrici. Orbene, la Cassazione riteneva invece come la tesi svolta dal ricorso, secondo la quale la normativa di settore avrebbe sottoposto ad autorizzazione dell’Autorità preposta l’apertura di qualsiasi studio odontoiatrico, non potesse trovare alcuna conferma nelle stesse disposizioni di legge richiamate dal Comune ricorrente, le quali prevedevano l’obbligatorietà dell’autorizzazione soltanto in presenza di ulteriori condizioni di fatto, rappresentate in particolare dalla previsione che l’attività comportasse un rischio per la sicurezza del paziente. E si evidenziava come proprio in tal senso disponeva l’art. 8 ter del D.Lgs. 502/1992 in tema di riordino della disciplina in materia sanitaria, aggiunto dal D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229, laddove al comma 2 stabiliva che “L’autorizzazione all’esercizio di attività sanitarie è, altresì, richiesta per gli studi odontoiatrici, medici e di altre professioni sanitarie, ove attrezzati per erogare prestazioni di chirurgia ambulatoriale, ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente,…”, così come nello stesso senso era anche letta la L.R. Marche 20/2000 che ribadiva come fossero soggetti ad autorizzazione gli “studi odontoiatrici, medici e di altre professioni sanitarie che erogano prestazioni invasive che comportino un rischio per la sicurezza del paziente” (art. 5, comma 1, lett. f). E una diversa conclusione non poteva neppure essere argomentata dal richiamo alla L.R. 11/2001 che dava un’interpretazione autentica della L.R. 20/2000 stabilendo come questa dovesse intendersi nel senso che erano soggetti ad autorizzazione esclusivamente gli studi professionali individuati dalla Giunta Regionale.

La tesi dell’Amministrazione ricorrente contrastava infatti, in primo luogo, con l’art. 6, comma 1 della stessa L.R. 20/2000, il quale richiamava espressamente, quanto ai requisiti minimi richiesti per l’autorizzazione, la normativa statale vigente, rinvio che lungi dal porre tale disposizione in funzione oppositiva o derogatoria della legge statale evidenziava invece soltanto la volontà della legge regionale di provvedere alla predisposizione della normativa di dettaglio, in armonia con i principi della legislazione statale; in secondo luogo, e l’assunto conferma tale interpretazione, con il rilievo che nessuna delle deliberazioni della Giunta Regionale, che il ricorso indicava a sostegno della propria tesi, appariva in effetti innovare sul punto, stabilendo la sottoposizione dell’apertura dello studio odontoiatrico ad autorizzazione tout court.  Le Delibere Regionali richiamate non solo non assoggettavano espressamente ad autorizzazione tutti gli studi odontoiatrici, come invece sarebbe stato necessario se davvero avessero voluto raggiungere tale risultato, ma apparivano regolare situazioni diverse, peculiari e ben circostanziate, relative a quanto di contorno potesse interessare il rilascio di tali autorizzazioni (per cui iter procedurali particolari piuttosto che modalità di rilascio adottate) senza però discostarsi in alcun modo dalle disposizioni dettate dalla normativa statale e senza in alcun modo intervenire sul terreno dell’indicazione delle attività il cui esercizio era soggetto a tale condizione, nulla innovando sulla regola, posta dalla legge statale e da quella regionale, che discriminava le attività che vi erano soggette da quelle per le quali l’autorizzazione non era invece necessaria. Non era individuato, quindi, alcun contrasto tra la legge statale e regionale. Il Comune lamentava poi un vizio di insufficiente motivazione, assumendo che, anche a seguire l’interpretazione della normativa accolta dal giudice di merito secondo cui l’autorizzazione avrebbe dovuto essere richiesta solo per l’apertura di studi odontoiatrici eroganti prestazioni che comportassero un rischio per la sicurezza del paziente, il Tribunale avrebbe dovuto rigettare l’opposizione risultando tale condizione di fatto provata dalle stesse missive inviate dall’opponente al Comune, comprovanti l’esercizio delle attività tipiche della professione odontoiatrica, senza escludere quelle rischiose e invasive per la sicurezza del paziente.

Anche in questo caso la Cassazione riteneva il motivo infondato, sia perchè investiva una valutazione di fatto, demandata come tale al giudice di merito e non riproponibile dinanzi al giudice di legittimità, sia perché gli elementi indicati dal ricorrente che sarebbero stati trascurati dal giudicante non apparivano di per sé decisivi, facendo essi riferimento al solo titolo di Chirurgo Odontoiatra dell’interessato e non anche all’attività specifica che questi intendeva svolgere nel proprio studio che costituiva invece, in base alla normativa di settore sopra richiamata, l’elemento fondamentale per poter ritenere soggetta ad autorizzazione l’apertura di uno studio professionale da parte di un Odontoiatra. E inammissibile era ritenuto anche l’ultimo motivo di ricorso avanzato dal Comune di X, là ove lamentava come il Tribunale non si fosse pronunciato su un presentato motivo di appello che censurava la statuizione del Giudice di pace là ove aveva motivato l’annullamento dell’ordinanza ingiunzione per non avere essa comminato anche l’interdizione dall’esercizio della professione, investendo una questione da ritenersi chiaramente assorbita nelle ragioni che il giudice di appello aveva ritenuto di porre a fondamento della propria statuizione di conferma della decisione di primo grado, ragioni che appaiono certamente in grado di sorreggere, da sole, la conclusione accolta. Il ricorso era, dunque, respinto con condanna del Comune ricorrente al pagamento delle spese di giudizio. Sebbene sia un cambiamento da molti auspicato, l’Italia non è ancora una Confederazione di Stati né uno Stato Federale: l’autonomia regionale garantita dalla Costituzione non può andare a ledere i diritti superiori dei cittadini, ai quali provvede il legislatore nazionale.

Davide e Golia

L’Odontoiatra oggi è ormai rassegnato: in qualunque Regione si trovi sa che prima di aprire il proprio studio dovrà scontrarsi, lui piccolo Davide, contro il Golia della burocratizzazione che, più fortunato del personaggio biblico, ben raramente stramazza al suolo. Ma quando la Suprema Corte è la sua fionda, il piccolo Davide può illuminare il cammino di un esercito frastornato che altro non aspetta che l’opportunità di levarsi. Si faccia comunque attenzione: l’impianto normativo italiano è così ricco di sfaccettature che buon consiglio non può che essere quello di non esitare, là ove la materia appaia estremamente complessa, a rivolgersi a chi, per passione e professione, sia in grado di indicare l’esatto comportamento volta per volta da adottare.

La benedizione - Ultima modifica: 2014-03-23T14:23:49+00:00 da fabiomaggioni

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