Possiamo già parlare di impianti ultra-corti?

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Negli ultimi anni sono stati compiuti sviluppi importanti nell’approccio ai siti edentuli ad anatomia complessa e sfavorevole, sia dal punto di vista della tecnologia implantare che per quanto riguarda i relativi protocolli chirurgici. Di fatto, in molti casi l’implantologo ha la possibilità di scegliere fra diverse alternative quella più adatta a gestire il caso.
Le aree atrofiche a livello del mascellare superiore, in particolare presso le regioni latero-posteriori, sono certamente un esempio fondamentale. La svolta implantologica qui inizia a partire dai primi anni ’80, con l’introduzione da parte di Boyne dei primi protocolli di grande rialzo di seno e trova prosecuzione o, forse, completamento, con la cosiddetta tecnica Summers di rialzo transalveolare. Tutte queste procedure sono state variamente implementate da altri Autori, proprio per fornire alternative al clinico.
Un razionale operativo differente, applicabile allo stesso substrato anatomico e anche ad altri, è invece rappresentato dai cosiddetti impianti corti.
Un precedente articolo apparso su queste pagine osservava come, a seconda degli studi, il limite massimo di lunghezza perché un impianto corto sia considerato tale, a seconda degli studi, si attesti su 8-11 mm. Constatava poi come tali prodotti fornissero indicazioni positive a breve e medio termine, nell’attesa però di un corpo adeguato di indicazioni long-term.

Gli impianti dentali ultra-corti: cosa dice un articolo dalla letteratura

Come si può evincere dalla parte introduttiva del presente articolo, tuttavia, la rincorsa tecnologica è rapida: un recente articolo a cura di Markose e colleghi, infatti, fornisce un’analisi di sopravvivenza, ovviamente a breve termine, riferita a una sistematica implantare definiti “impianti ultra-corti“. L’asticella viene quindi spostata al limite massimo di 6 mm.
Per esattezza l’indagine è di tipo retrospettivo e ha coinvolto un totale di 372 pazienti (considerati per classi d’età, oltre che per il sesso) trattati con altrettanti impianti da 6 o da 5 mm, in arcata superiore o anche inferiore, con 3 tipologie di osso (D2-D4).
Questi particolari impianti presentano spalla inclinata (sloping shoulder design) e corpo plateau root formed, il che assicurerebbe una superficie relativa maggiore del 30% rispetto al classico impianto filettato.
La sopravvivenza cumulativa è pari al 97% a un follow-up medio di 28 mesi.
Nel confronto per classi sono state ritrovate differenze staticamente significative per quanto riguarda l’arcata e il tipo osseo (come prevedibile in favore della mandibola) e, soprattutto, in relazione alla lunghezza dell’impianto, in favore degli impianti leggermente più lunghi. Viene riportato un hazard ratio di 1.44, il che significa che il posizionamento di un impianto da 5 mm è soggetto a un rischio di fallimento maggiore del 44% rispetto a quello da 6 mm nel periodo considerato.
Questo dato risulta particolarmente utile dal punto di vista clinico perché fornisce un riscontro diretto della sistematica in oggetto.
Riferimenti bibliografici
Possiamo già parlare di impianti ultra-corti? - Ultima modifica: 2018-09-21T06:38:29+00:00 da redazione

1 commento

  1. Molto interessante questo articolo. Le tecnologie odontoiatriche e i relativi protocolli di intervento si stanno evolvendo in modo veramente veloce. Speriamo di poter cominciare ad applicare la tecnica degli “impianti ultra-corti” il prima possibile. Un saluto.

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