Il rischio carie in odontoiatria ricostruttiva

22. Strumento per la raccolta della placca.

Riassunto
La libera professione porta quotidianamente il protesista ad affrontare le problematiche della durata dei propri restauri. Tale aspetto risulta essere fortemente influenzato dalle tecniche, dalle competenze professionali ma anche da una serie di fattori dell’ospite che devono essere attentamente ponderati. Ci troviamo quindi in un momento in cui l’interesse dell’operatore si dovrebbe spostare dalla mera valutazione dell’aspetto terapeutico strettamente detto a un’attenta analisi prognostica. Alla fine quindi di un iter analitico il protesista deve valutare individualmente la miglior terapia protesica per il paziente, che necessariamente dovrebbe essere personalizzata, minimamente invasiva, con maggior possibilità di successo, anche con l’utilizzo di metodiche solitamente destinate alla prevenzione in pazienti non protesici.

Summary
The caries risk in restorative dentistry
The survival of the restorations is an every-day problem in prosthetic dentistry; it’s linked  o skills and competence of the clinician, but also to the characteristics of the patient. Dentists must analyze patients from multiple points of view, in order to chose the best therapeutic path, that has to be the less invasive; the evaluation of caries risk is strictly necessary to understand which kind of prosthetic treatment is the best for the patient.

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Ezio Bruna1
Andrea Fabianelli2
Giulio Pavolucci3
Giovanni Sammarco3
1MD
2DDS, MSc, PhD
3DDS, contributo relativo alle metodiche non protesiche di riduzione del rischio di carie

 L’analisi della letteratura, da quella più datata a quella più recente, mette in evidenza come fra le più importanti cause del fallimento a lungo termine del trattamento protesico vi siano la carie dei monconi e la decementazione1-4 (Figure 1-3). La recidiva cariosa dei monconi protesici è oltretutto di difficile individuazione e tale fattore complica notevolmente la diagnosi precoce delle lesioni5.

1-3. Esempio di protesi fallita per carie del moncone.

Le risposte reperibili in letteratura internazionale riguardanti questo genere di problematica si rivolgono tendenzialmente a due diversi aspetti6-8. La prima risposta è quella che tende al raggiungimento della maggior precisione possibile a livello dei margini protesici. Benché la precisione rivesta una fondamentale importanza in odontoiatria come in altri campi, essa non è in grado, da sola, di azzerare il rischio di attacco carioso dei monconi protesici. A questo riguardo è possibile difatti compiere diverse considerazioni. In primis il concetto di “precisione” applicato ai margini protesici, che si traduce nella misurazione del gap marginale ritenuto accettabile dai diversi Autori, è estremamente variegato9-12. Autori come McLean Jahngiri16riportano come siano di difficile individuazione clinica gap inferiori ai 100 microns. Tutte le sperimentazioni sulla microinfiltrazione mettono in evidenzia come non vi sia una chiusura marginale in grado di evitare l’infiltrazione da parte delle tossine batteriche e tracers17. In secundis è comune esperienza clinica il reperimento di lavori protesici non eccellenti dal punto di vista della precisione marginale, ma che nel corso di svariati anni (talvolta decenni) non abbiano dato luogo alla formazione di carie dei monconi, mentre manufatti decisamente più precisi abbiano comunque permesso la formazione di processi cariosi anche entro i primi 5 anni di esercizio. Tale evidenza non può che esitare nella considerazione che fattori indipendenti dalla mera esecuzione e precisione protesica, quali ad esempio la predisposizione individuale o la possibilità di eseguire agevolmente le manovre di igiene, siano cruciali nell’insorgenza delle lesioni cariose associate ai restauri protesici. Altra risposta alle problematiche cariologiche dei pazienti protesici, è il ricorso, talvolta decisamente ingiustificato, alla terapia implantare. Bisogna ricordare che tale presidio, oltre a rappresentare l’ultimo gradino nella scala dell’invasività (Edelhof ), non è certo scevro di problematiche: è dipendente dalla presenza di adeguati volumi ossei, ha una predicibilità del risultato estetico inferiore alla protesi tradizionale, presenta nel 40% dei pazienti problematiche cliniche e biologiche entro i primi 5 anni dal posizionamento delle fixtures. Nei pazienti parodontali, inoltre, i coni di riassorbimento perimplantari sono ulteriormente più frequenti, probabilmente a causa del medesimo meccanismo autoimmune che sostiene la malattia parodontale18,19, che evidentemente è in grado di esplicare la propria azione lesiva indipendentemente dalla presenza dei denti. Il meccanismo che conduce alla formazione della placca batterica, nel tempo si evolve. Da una placca tendenzialmente cariogenica, si ha lo sviluppo di un biofilm batterico contenente microrganismi che possono innescare la malattia parodontale20. Anche per i sopracitati motivi, quindi, la protesi tradizionale è ben lungi dall’essere soppiantabile: dare un’adeguata risposta alle problematiche legate alla cariorecettività è, a nostro parere, una via più etica e perseguibile, nei confronti del paziente protesico a sostegno dentale.

 

Analisi della cariorecettività
(basi scientifiche)

Sempre più, in discipline quali l’odontoiatria conservativa e pediatrica, viene promosso l’utilizzo di metodiche favorenti la valutazione personalizzata del rischio carie7. Scopo del presente articolo è quello di trasferire tali metodiche in campo protesico. Indispensabile premessa al compimento di tale tipo di valutazione, è quella di mettere in evidenza le notevoli differenze, talvolta vantaggiose, talvolta meno, sussistenti fra paziente pediatrico e paziente protesico, generalmente adulto o anziano. Fra le caratteristiche a vantaggio del paziente adulto, rispetto al paziente pediatrico, possiamo certamente annoverare una minore permeabilità dentinale21 e una maggiore facilità nell’ottenimento di una adeguata compliance, specie nell’igiene orale e nei suggerimenti dietetici. Le caratteristiche a svantaggio del paziente adulto/anziano risiedono nell’aumentata probabilità di rilevamento di superfici abrase o erose, con possibile scopertura radicolare e conseguente esposizione dentinale22 e quindi alla presenza di superfici meno lisce, più difficilmente detergibili. Il paziente adulto, inoltre, è senz’altro più soggetto a stati patologici, ad abitudini quali fumo e assunzione di droghe e/o alcolici, a utilizzo continuativo di farmaci: tutti fattori in grado di agire negativamente sia dal punto di vista parodontale che cariologico, andando a interferire, fra l’altro, con la quantità e qualità della saliva prodotta. Un ulteriore genere di fattore favorente la genesi di lesioni cariose, più frequente nel paziente adulto/anziano, consiste nella presenza di protesi fisse o mobili, talvolta incongrue, che limitano o impediscono l’espletamento di corrette manovre igieniche. Di contro, nel paziente pedodontico, è più frequente imbattersi in apparecchi ortodontici, che certo non favoriscono l’igiene orale! Appare evidente, quindi, come l’unica risposta possibile alle problematiche correlate allo sviluppo di lesioni cariose anche a livello dei monconi protesici, sia quella di andare ad agire a livello dei fattori o condizioni che conducono, più o meno intensamente, alla formazione e progressione della carie. Primo passo di questo tipo di trattamento è quello di andare a valutare, mediante l’anamnesi generale e dentale, il livello di cariorecettività. Si procederà quindi con esami clinici e strumentali, in grado di agevolare l’individuazione dei pazienti ad attuale rischio. Nel seguito della trattazione verranno esposti i presidi comportamentali favorenti la diminuzione del rischio carie. In qualche caso, comunque, il ricorso alla protesi implantare, potrebbe rappresentare una valida alternativa, qualora non sia stato possibile ridurre in maniera significativa il rischio.

Il rischio carie in odontoiatria ricostruttiva - Ultima modifica: 2013-02-28T14:54:18+00:00 da Redazione

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