Il bugiardo

Incomprensibile, stavolta, il pensiero della Suprema Corte che pare, invero, preferire gli interessi di un negligente e cinico professionista a scapito di quelli di un ingenuo e sprovveduto paziente.

Duro colpo per gli Ordini professionali, detentori e custodi di dettami deontologici cui medici e odontoiatri devono attenersi per il dovuto e doveroso rispetto da mantenere sempre nei confronti della professione, dei colleghi e dei pazienti: il medico, chiamato dall’Ordine a rispondere di comportamenti all’apparenza non deontologici, in tutela – appunto – della professione, della categoria e del paziente, può non comparire a rendere ragione delle proprie azioni o, comparendo, può serenamente omettere di dire il vero, atteso non essere – questi – tenuto a osservare il dovere di verità o, anche solo, a rispondere a richieste di chiarimenti per evitare di incorrere nella violazione del nemo tenetur contra se edere, principio cardine del diritto di difesa e prevalente sul pieno e corretto esercizio delle funzioni istituzionali degli Ordini.

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Il caso

La Commissione Albo Odontoiatri dell’Ordine di XXX irrogava al Dott. S.N. la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione di odontoiatra per mesi tre, avendolo ritenuto colpevole in primo luogo della violazione dell’art. 1 del Codice Deontologico, per non avere prestato la massima collaborazione e disponibilità nei rapporti con il proprio Ordine, non presentandosi per ben due volte a una convocazione del Presidente della Commissione Odontoiatri, disposta per ottenere chiarimenti in merito a una pubblicità sanitaria posta in essere dalla X.X.X. S.a.s., di cui lo stesso Dott. S. era socio accomandatario, di poi della violazione degli artt. 55 e 56 sempre del Codice Deontologico per non avere usato la dovuta cautela nel fornire, negli articoli apparsi sulla rivista “X”, una efficace e trasparente informazione al cittadino, diffondendo a mezzo stampa, Internet e altri mezzi, una informazione arbitraria e discrezionale, priva di dati oggettivi e controllabili oltre che per non avere escluso qualsiasi forma anche indiretta di pubblicità commerciale, personale o a favore di altri, e da ultimo della violazione dell’art. 65 del Codice Deontologico, per avere partecipato alla X.X.X. S.a.s. (di cui risultava socio accomandatario, nonché operatore medico odontoiatra) con, come oggetto sociale, un insieme di voci riconducibili ad attività sanitarie non in linea con le norme che regolamentano l’esecuzione, per esempio, di manufatti protesici prevedendosi addirittura il noleggio degli stessi in totale assenza di una regolare autorizzazione ministeriale e mancando, altresì, l’indicazione di un responsabile odontoiatra (direttore sanitario) della società.

La Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie (C.C.E.P.S.), interessata della questione dal Dott. S., ne respingeva il ricorso confermando la sanzione comminatagli dall’Ordine.

La Commissione Centrale rilevava come, senza incorrere in alcun vizio procedimentale, mai l’Ordine avesse leso il diritto di difesa dell’incolpato né violato le norme del contraddittorio proceduralmente garantite.

Per la cassazione della decisione della Commissione Centrale il Dott. S. proponeva ricorso avanti la Suprema Corte.

La decisione

Alcune delle eccezioni avanzate dal ricorrente apparivano palesemente prive di fondamento: nulla quaestio circa un’asserita mancanza di motivazione nel provvedimento, o in merito alla possibilità in capo al Presidente della Commissione Albo Odontoiatri di raccogliere – ex art. 39 D.P.R. 221/1950 – preventive informazioni su fatti eventualmente oggetto di futuro procedimento disciplinare, o ancora in ordine a una scarsa circostanziata contestazione dell’addebito rivoltogli.

Non così, invece, quanto al quarto motivo di impugnazione. Il Dott. S., infatti, riteneva illegittima la decisione sanzionatoria assunta dal proprio Ordine professionale non solo perché in contrasto con la disciplina che informava la materia della pubblicità sanitaria, ma anche perché in contrasto con l’art. 39 D.P.R. 221/1950 che non imponeva alcun obbligo in capo al medico, eventualmente convocato per essere ascoltato, di rilasciare dichiarazioni o notizie che avrebbero potuto poi essere utilizzate a proprio carico, né prevedeva che la condotta di mancata presentazione alle convocazioni antecedenti la fase del giudizio disciplinare potesse costituire una mancanza disciplinarmente rilevante,

La Corte di Cassazione accoglieva il motivo di gravame rilevando come l’art. 39 D.P.R. 221/1950 espressamente includesse nell’ambito del procedimento disciplinare il momento – anteriore alla formale apertura che si ha con la contestazione dell’addebito e con la fissazione della data della seduta per il giudizio – della raccolta delle opportune informazioni, comprendente l’audizione del sanitario interessato da parte del Presidente della competente Commissione. Ribadiva, la Suprema Corte, che poiché l’istruzione preliminare non era una fase esterna al procedimento disciplinare, non potesse dirsi che il sanitario, convocato in sede istruttoria per rispondere a domande in ordine a un esposto presentato nei suoi confronti con riguardo a fatti integranti ipotesi di illecito disciplinare, fosse tenuto a osservare il dovere di verità e a dare risposta a richieste di chiarimenti. In caso contrario, sottolineava la Corte, sarebbe incorso nel pericolo di ledere la regola, basilare di ogni procedimento disciplinare abbia esso movenze giurisdizionali o amministrative, del nemo tenetur contra se edere, espressione del diritto di difesa costituzionalmente garantito e prevalente sull’esigenza del pieno e corretto esercizio delle funzioni istituzionali degli Ordini professionali. Questo approdo interpretativo – al quale le Sezioni Unite erano già recentemente pervenute (con le sentenze 28 febbraio 2011, n. 4773, e 30 dicembre 2011, n. 30173) con riguardo all’ordinamento professionale forense, superando il tradizionale opposto orientamento (sentenze 16 febbraio 1981, n. 6643, e 24 febbraio 1998, n. 1988) – era quindi ribadito, essendo conforme alla giurisprudenza della Corte Costituzionale. Di fronte alla distinzione tra procedimenti disciplinari giurisdizionali e procedimenti disciplinari amministrativi, il Giudice delle leggi più volte ricordava che la proclamazione contenuta nell’art. 24 della Costituzione se indubbiamente si dispiegava nella pienezza del suo valore prescrittivo solo con riferimento ai primi, non mancava tuttavia di riflettersi, seppure in maniera più attenuata, sui secondi, in relazione ai quali, in compenso, si imponevano al più alto grado di cogenza le garanzie di imparzialità e di trasparenza che circondavano e circondano l’agire della pubblica amministrazione (sentenza n. 460 del 2000). Non costituiva quindi illecito disciplinare la mancata presentazione dell’odontoiatra a una convocazione disposta, nella fase istruttoria anteriore all’apertura del procedimento disciplinare, dal Presidente della Commissione Odontoiatri per ottenere chiarimenti su segnalazioni o esposti in relazione a fatti disciplinarmente rilevanti a carico dello stesso iscritto.

Non solo. Secondo la Corte di Cassazione anche il motivo rivolto a censurare le statuizioni con cui la decisione della Commissione confermava la sussistenza dell’addebito relativo alla pubblicità sanitaria era fondato.

Pur rimanendo il potere-dovere degli Ordini professionali, ai sensi dell’art. 2, comma n1, lettera b) D.L. 223/2006 di verificare, ai fini dell’applicazione delle sanzioni disciplinari, la trasparenza e la veridicità del messaggio pubblicitario quanto al divieto di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, la Suprema Corte stigmatizzava il fatto che la Commissione Centrale non avesse spiegato il percorso logico seguito per giungere alla decisione impugnata, limitandosi ad affermare che nel provvedimento erano esaminate in modo dettagliato ed esauriente le circostanze di fatto contestate al ricorrente senza dar conto di quali in concreto sarebbero stati gli aspetti di non trasparenza e veridicità del messaggio pubblicitario relativo all’attività odontoiatrica né indicare sotto quale profilo le pubblicazioni si qualificassero servili e autocelebrative.

Tutela ordinistica

Quando, ciclicamente, si levano voci che vorrebbero l’eliminazione degli Ordini professionali si inveisce contro lobby e contro enti che, a occhi estranei, parrebbero essere solo a tutela di pochi, ricchi, dotti professionisti. Lungi dal vero, gli Ordini professionali nascono sì per la salvaguardia del decoro delle professioni ma, e soprattutto, per la tutela proprio dei cittadini fruitori di quei servizi che i professionisti, di cui si fidano e a cui si affidano, rendono.

Quest’ultima decisione non pare, però, tenere buon conto né delle esigenze dell’utenza né del reale scopo degli Ordini: il professionista – sia esso medico, odontoiatra, avvocato, ingegnere, architetto – può non riferire ai colleghi preposti alla tutela dei cittadini e della professione in merito al suo comportamento oggetto di segnalazione, può non presenziare alle convocazioni e può, comunque, non osservare il dovere di verità e tutto ciò per non ledere la regola basilare del nemo tenetur contra se edere (“Nessuno è tenuto ad accusare se stesso”).

Spiace rilevare come un diritto del singolo costituzionalmente garantito, il diritto di difesa, agli occhi della Suprema Corte appaia prevalente non tanto sull’esigenza del corretto esercizio di mere funzioni istituzionali, quanto sul diritto dei singoli a essere tutelati da professionisti senza scrupoli. 

Il bugiardo - Ultima modifica: 2014-05-23T10:00:55+00:00 da Redazione

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