Fratture di LeFort: diagnosi e cura

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In un articolo precedente è stata considerata la base teorica che sottende alle fratture del mascellare superiore secondo il modello di LeFort.

È stata evidenziata la presenza, all’interno delle basi ossee, di precisi pilastri di resistenza e di come le linee di frattura tendano a presentarsi ai margini degli stessi, anche in ragione della forza e della direzionalità dell’impatto.

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A questo punto, può essere interessante studiare come i traumi di questo tipo si presentino dal punto di vista del riconoscimento clinico obiettivo e, di conseguenza, come debbano essere correttamente trattati.

Sul piano dell’evidenza clinica, il paziente traumatizzato a livello del terzo medio del volto presenta ovviamente edema ed ecchimosi del tegumento in corrispondenza della zona interessata. È frequente che queste soffusioni si estendano alle mucose orali e congiuntivali.

L’azione, anche blanda, della muscolatura estrinseca del mascellare determina generalmente una mobilizzazione del moncone fratturato (retrusione e abbassamento), il che va a causare la perdita dell’occlusione individuale. In questo senso, possono essere evidenziati precontatti molari (e, di conseguenza, morso aperto anteriore). In caso di fratture sagittali, siano esse mediane o paramediane, si può osservare la presenza di diastemi patologici in corrispondenza delle rime di frattura. Non è infrequente la lacerazione dei tessuti molli intraorali e quindi l’esposizione ossea.

Il coinvolgimento delle pareti della cavità nasale potrà causare una copiosa epistassi. Nei casi più gravi, in cui viene coinvolto il corpo dell’osso sfenoide, si può evidenziare rinoliquorrea.

Diversi sono anche i sintomi che interessano la cavità orbitaria. Questi segni variano a seconda del tipo di frattura, che potrà seguire i modelli della LeFort II e della LeFort III e coinvolgere solitamente pavimento o parete mediale orbitarie. Diplopia, esoftalmo o, più frequentemente, enoftalmo, telecanto (cioè un allargamento della distanza intercantale).

Il coinvolgimento di tronchi nervosi, come ad esempio il ramo infraorbitario, potrà causare deficit sensitivi.

É sempre consigliata l’indagine radiografica: tra le tecniche tradizionali, può essere indicata la proiezione semiassiale di Waters, che notoriamente valorizza la resa dei seni mascellari. Nella maggior parte dei casi, comunque, il paziente viene sottoposto a tomografia computerizzata.

Il trattamento di questi traumi – come quello di qualunque frattura – prevede naturalmente la riduzione e il mantenimento dei monconi in posizione di immobilità. In caso di dislocazione modesta, la terapia può consistere semplicemente nel blocco intermascellare con ferule metalliche, ed essere poi finalizzata attraverso la rieducazione funzionale con elastici. Per i casi che presentano una importante dislocazione o in presenza di franca comminuzione ossea è invece indicata l’esplorazione chirurgica e l’immobilizzazione tramite mezzi di osteosintesi. 

Fratture di LeFort: diagnosi e cura - Ultima modifica: 2016-01-31T07:43:46+00:00 da redazione

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