Evoluzione tassonomica, classificativa e diagnostica dei disordini temporomandibolari

Irene Andriuolo1
Francesco Fantoni
Elisabetta Carli1
Mario Bosco2
1 Università degli Studi di Cagliari, Scuola di Specializzazione in Ortognatodonzia, Direttore prof. Vincenzo Piras
2 Università degli Sudi di Pavia, CLSOPD, Dipartimento di Discipline Odontostomatologiche «Silvio Palazzi», Direttore; Prof. Giuseppe Sfondrini

Riassunto

L’esigenza di organizzare tassonomicamente le patologie risponde alla necessità di inquadrarle in un ambito che le identifichi in modo univoco sotto il profilo clinico, al fine di rendere universale il linguaggio diagnostico. Tuttavia, la complessità del sistema stomatognatico ha posto la ricerca di fronte a limiti epidemiologici, classificativi e, conseguentemente, diagnostici. Scopo del presente lavoro è quello di offrire una revisione critica della letteratura medico-scientifica inerente l’evoluzione terminologica e tassonomica, che è alla base della moderna elaborazione degli strumenti diagnostici e classificativi.

La stesura del presente lavoro è stata effettuata previa una revisione critica della letteratura accreditata internazionale. A partire dal 1934, con la descrizione di Costen di una sindrome caratterizzata da alterazioni uditive, rigidità mandibolare, tinnitus, vertigini e cefalea, si riconobbe un gruppo di segni e sintomi legati al dolore facciale. Nel corso degli ultimi decenni, numerosi autori hanno cercato di introdurre termini tassonomici e conseguenti criteri diagnostici, clinici e classificativi sempre più adeguati per definire tutte le patologie dell’apparato stomatognatico non odontogene.

Tale evoluzione, accompagnata dall’aumentata comprensione di tali patologie, ha prodotto accesi dibattiti ancora irrisolti tra le diverse scuole, ma ha permesso di ottenere terminologie largamente condivise dal mondo scientifico quali per esempio il termine DTM (disordine temporo-mandibolare) e strumenti classificativi e diagnostici attuali molto accurati, tra cui i Research Diagnostic Criteria for Temporomandibular Disorder (RDC/TMD).

Summary

Taxonomic, classificative and diagnostic evolution of temporomandibular disorders. Literature review

The need to organize the diseases taxonomically meets the need of setting a framework that uniquely identifies under the clinical point of view, in order to make universal the diagnostic language. However, the complexity of the stomatognathic system has put research in the face of epidemiological, classificative and, consequently, diagnostic limits. The purpose of this paper is to provide a critical review of the scientific and medical literature which concerns the evolution of terminology and taxonomy, which is the basis of the modern development of diagnostic and classification tools.

The drafting of this work was carried out after a critical review of the international accredited literature. Starting in 1934, with the description made by Costen of a syndrome of auditory disorders, stiff jaw, tinnitus, dizziness and headache, was recognized a group of signs and symptoms associated with facial pain. Over the past decades, many authors have tried to introduce taxonomic terms and consequently diagnostic, clinical and classificative criteria, ever more appropriate to define all the conditions not odontogenous of the stomatognathic system.

This development, accompanied by increased understanding of these diseases, has produced yet unresolved debates between different schools, but has resulted in widely shared terminology by the scientific community such as for example the term TMD (temporomandibular joint disorder) and using classifiers and current very accurate diagnosis, including the Research Diagnostic Criteria for Temporomandibular Disorder (RDC / TMD).

Nonostante sia universalmente riconosciuta l’importanza dell’utilizzo di metodi di valutazione riproducibili e accurati al fine di formulare diagnosi corrette, questo assunto, in molte branche della medicina, non è semplice da ottenere. Negli ultimi decenni, l’interesse di molti clinici e ricercatori si è indirizzato sui disturbi a carico dell’articolazione temporomandibolare (ATM) e alle strutture a essa correlate, considerati la principale causa di dolore cronico non odontogeno nella regione oro-facciale1. Tuttavia, la complessità del sistema stomatognatico, composto da strutture differenti tra loro (strutture ossee componenti l’ATM, menisco-discale, muscoli masticatori ecc.), e la presenza di fini interazioni anatomiche, funzionali e neurofisiologiche con distretti corporei attigui (apparato uditivo esterno, apparato respiratorio superiore, ghiandole salivari, strutture muscolari e ossee del collo ecc.) hanno posto la ricerca di fronte a limiti epidemiologici, classificativi e, conseguentemente, diagnostici2.

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Tali patologie, inoltre, presentano spesso un carattere autolimitante, remittente o fluttuante tendente alla cronicizzazione per il quale è spesso complesso il reperimento dei segni e sintomi, data l’eterogenicità e la possibile sovrapposizione delle manifestazioni cliniche, tra cui soprattutto il dolore, che per sua natura è strettamente legato alla soggettività dell’individuo. Tali caratteristiche hanno condotto molteplici autori a sostenere come alcune forme di patologie stomatognatiche non odontogene possano essere considerate a tutti gli e etti patologie somatiche croniche quali le functional somatic syndrome (FSS)3. A partire dagli anni Sessanta, con l’introduzione del concetto di gate control4, il dolore non viene più considerato solo un fenomeno nocicettivo, che viaggia lungo fibre nervose specifiche, ma come un fenomeno ben più complesso che coinvolge sia la sfera psico-emotiva sia quella psico-sociale5-9.

La percezione dell’intensità del dolore non è, quindi, sempre proporzionale al tipo e all’estensione del danno1, ma dipende dall’interazione dinamica tra fattori fisici, psicologici, culturali e ambientali. Si impone quindi, come suggerito dalla letteratura3, di modificare l’approccio terapeutico e diagnostico dell’odontoiatria tradizionale, teso alla ricerca di una noxa patogena oggettivabile, come per le malattie odontogene più di use, in quanto si rende necessaria una valutazione e gestione clinica di questi pazienti più ampia, multidisciplinare che preveda la collaborazione con specialisti di altre branche sia odontoiatriche sia mediche10.

Tutto ciò si è riflesso nel corso degli anni in una continua evoluzione dei sistemi classificativi, nell’intento di risolvere il problema tassonomico insito proprio nell’estremo polimorfismo delle loro manifestazioni cliniche, creando al contempo accesi dibattiti tra le diverse scuole di materia, che hanno prodotto una divulgazione spesso incompleta e di difficile comprensione e adattabilità per l’attività clinica quotidiana11-18. Il presente lavoro, allo scopo di fornire una maggior chiarezza su tale argomento, rappresenta quindi un tentativo di descrivere, attraverso una revisione critica della letteratura medico-scienti ca, l’evoluzione terminologica e tassonomica che è alla base dell’elaborazione degli strumenti diagnostici e classificativi moderni.

Evoluzione tassonomica, classificativa e diagnostica dei disordini temporomandibolari - Ultima modifica: 2009-11-19T12:39:12+00:00 da Redazione

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