Errata somministrazione di antibiotici in odontoiatria: il trend statunitense

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Da ormai alcuni anni a questa parte, in campo medico si è acquisita la consapevolezza delle possibili problematiche rispetto a un impiego scorretto degli antibiotici, con particolare riferimento alla pratica dell’overtreatment e al rischio determinato dalle forme di antibioticoresistenza. Tale prospettiva è probabilmente la problematica più preoccupante per quanto riguarda la tematica in esame, ma non è certo l’unica: si pensi ad esempio all’aspetto legato ai costi in ambito socio-sanitario.

La pratica clinica dell’odontoiatra prevede il ricorso in maniera sistematica a una varietà ridotta di classi farmacologiche: in particolare si considerino anestetici locali, antidolorifici ad azione antinfiammatoria (della classe dei FANS) e, appunto antibiotici. Questi ultimi vengono comunemente impiegati dall’odontoiatra in via profilattica o terapeutica secondo lo schema empirico: in altre parole si ricorre a molecole ad ampio spettro, somministrate in presenza di ragionevole indicazione clinica.

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Si consideri il riferimento dettato dal modello americano: negli Stati Uniti i dentisti coprono il 10% delle prescrizioni di antibiotici. Questi dati da soli inducono a pensare al rischio di inappropriata somministrazione. L’ipotesi è suffragata da dati come quelli rilevati nel 2013 in un sondaggio a cura dell’American Heart Association (AHA): il 70% degli odontoiatri interpellati ha ammesso di prescrivere, a scopo profilattico, antibiotici al di fuori dai limiti indicati dalle linee guida redatte dalla stessa AHA.

Di recente, un’altra associazione di categoria, la più importante in ambito odontoiatrico (American Dental Association, ADA) ha indagato il trend prescrittivo degli antibiotici a livello statunitense, anche al fine di quantificare i costi derivanti dalla inappropriata somministrazione.

Lo studio ha coinvolto una coorte estesa di pazienti lungo un periodo di 3 anni (1 gennaio 2013 – 31 dicembre 2015), per un totale di più di 6 milioni di prescrizioni. Queste corrispondono a 19 mln $ per il primo anno, scesi a 15 nel terzo: questo dato può essere soppesato a grandi linee con i costi degli stessi farmaci in Italia.

Per quanto riguarda le inappropriate prescrizioni, queste si attestano complessivamente al 14% del totale. Considerando nello specifico a quali situazioni si fa riferimento, il 12% corrisponde a casi di errata posologia del farmaco, ovvero casi che coprono 2-4 giorni e che non possono quindi essere definiti profilassi (somministrazione limitata a un singolo giorno) né terapia (almeno 5 giorni).

Il secondo quadro risulta molto distaccato in termini di numerosità (1.63% delle prescrizioni totali), ma incide in maniera molto maggiore rispetto al precedente in termini economici (10% contro il solo 6% del precedente) e non può pertanto essere sottovalutato. Si fa riferimento alla scelta di molecole che non dovrebbero trovare routinaria indicazione all’uso in odontoiatria.

In conclusione, i dati considerati appaiono molto interessanti. Sarebbe utile raffrontarli con un’altra grossa sfaccettatura della stessa tematica, ovvero le false indicazioni alla somministrazione dell’antibiotico.

Riferimenti bibliografici

Assessment of inappropriate antibiotic prescribing among a large cohort of general dentists in the United States Source: Journal of the American Dental Association [0002-8177] Durkin, Michael yr:2018 vol:149 iss:5 pg:372 -381.e1

Errata somministrazione di antibiotici in odontoiatria: il trend statunitense - Ultima modifica: 2018-09-12T06:21:23+00:00 da redazione

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