Dalla Svezia, una ricetta per l’odontoiatria

Lars Gerhard Sennerby

È quella di Lars Gerhard Sennerby, 50 anni, Titolare della cattedra di Ricerca sui Biomateriali presso il Dipartimento Biomaterials and Handicap Research dell’Insitute for Surgical Sciences dell’Università di Goteborg, in Svezia. La sua passione per la ricerca clinica e sperimentale, e quella per la buona cucina.

In realtà, il mio interesse per la clinica è iniziato tardi, durante gli anni dell’università: ero più attratto dalla ricerca che non dalla professione odontoiatrica. Tuttavia, senza saperlo a quel tempo, ebbi la fortuna di trovarmi in una delle più famose e prestigiose scuole di odontoiatria, con insegnanti come il Prof. P-I Brånemark di Anatomia, il Prof; Bo Krasse di Cariologia, il Prof. Jan Lindhe di Parodontologia, il Prof. Gunnar E. Carlsson di Gnato-fisiologia e Protesi, e molti altri. In particolare, il periodo vissuto al Dipartimento di Parodontologia fu molto stimolante. Qui ho imparato a eseguire i piani di trattamento: eravamo abilitati a fare molta chirurgia sotto la supervisione dei più celebri professionisti come Jan Wennström, Lars Heijl, Jan Gottlow e Tord Berglundh.

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Prof. Sennerby, quando è nata la sua passione per l’odontoiatria?

In realtà, il mio interesse per la clinica è iniziato tardi, durante gli anni dell’università: ero più attratto dalla ricerca che non dalla professione odontoiatrica. Tuttavia, senza saperlo a quel tempo, ebbi la fortuna di trovarmi in una delle più famose e prestigiose scuole di odontoiatria, con insegnanti come il Prof. P-I Brånemark di Anatomia, il Prof; Bo Krasse di Cariologia, il Prof. Jan Lindhe di Parodontologia, il Prof. Gunnar E. Carlsson di Gnato-fisiologia e Protesi, e molti altri. In particolare, il periodo vissuto al Dipartimento di Parodontologia fu molto stimolante. Qui ho imparato a eseguire i piani di trattamento: eravamo abilitati a fare molta chirurgia sotto la supervisione dei più celebri professionisti come Jan Wennström, Lars Heijl, Jan Gottlow e Tord Berglundh.

E la passione per l’implantologia, invece, quando è nata?

Anche questa è cresciuta col tempo. Credo che la combinazione di ricerca e di lavoro clinico, con cui possiamo realizzare nuove scoperte per aiutare i pazienti, sia un aspetto molto affascinante. La chirurgia, poi, è generalmente percepita come qualcosa di negativo: in fondo, la rimozione di processi patologici equivale a prendere qualcosa al paziente. Con la chirurgia implantare, invece, in realtà diamo qualcosa al paziente, vale a dire denti nuovi: è fantastico! Incontrare pazienti felici e grati è ovviamente molto stimolante. Per me tutto iniziò durante il corso di anatomia, nel 1981. Qui incontrai il Prof. Tomas Albrektsson, che poi è diventato il mio supervisore di dottorato. Era il nostro maestro in neuro-anatomia: invitò gli studenti con interessi per la ricerca a partecipare al Bone Research Group. Seguii i suoi consigli. Il capo del dipartimento era il Prof. P-I Brånemark: non avevo idea di chi fosse, né avevo mai sentito parlare di impianti dentali. Il gruppo aveva circa 16 anni di esperienze cliniche negli impianti osteointegrati. Il Prof. Albrektsson usava impianti in titanio per la microscopia vitale di tessuto osseo vivo: questo fu il modo in cui venni a contatto con la protesi. Ho imparato a usare la microscopia vitale nelle ossa e nei tessuti molli, con grandi opportunità di eseguire interventi chirurgici e imparare la biologia di base. Penso che ogni medico dovrebbe studiare la microcircolazione viva, dal momento che è il presupposto di tutto ciò che può essere definito chirurgia. Con il tempo sono stato maggiormente coinvolto nel progetto di osteointegrazione: ho ancora il ricordo di quando usavo il proiettore per diapositive durante gli incontri internazionali di osteointegrazione a Göteborg nel corso degli anni Ottanta. Mi sono laureato nel 1986 e ho lavorato per tre anni come odontoiatra generalista. In parallelo ho preparato la mia tesi di dottorato. Nel frattempo, nel 1988 il prof. Lekholm mi aveva offerto un posto nella Clinica Brånemark dove ho ricevuto la mia formazione in chirurgia implantare e ho lavorato part-time fino al 2002, quando ho iniziato la mia attività clinica in uno studio privato. Durante il periodo nella Clinica Brånemark ho incontrato colleghi italiani, con molti dei quali ho ancora oggi contatti proprio in Italia. In effetti, abbiamo fondato il Feltre – Fiera Di Primiero Implant Research Group e già completato alcuni studi clinici insieme. Quest’anno abbiamo aperto la Clinica Feltre: una nuova piattaforma per attività scientifiche, cliniche e didattiche.

A proposito, com’è considerata l’odontoiatria italiana nello scenario internazionale?

L’implantologia moderna si è sviluppata nelle cliniche italiane. Non a caso, se si ricerca su PubMed «carico immediato, impianti dentali», si possono trovare numerose pubblicazioni in Italia. Penso che l’Italia detenga una posizione importante nel mondo nella letteratura scientifica. Tuttavia, a causa della barriera linguistica, si vedono ancora pochi relatori italiani negli incontri internazionali e questo è un vero peccato.

Rispetto agli altri Paesi europei, come si posiziona invece la Svezia nella classifica generale e con quali peculiarità?

La Svezia ha una lunga e forte tradizione di ricerca, che per molti aspetti è stata possibile grazie al generoso sostegno del governo all’università. Inoltre, la maggior parte dei dentisti e dei medici era e è tuttora impiegata in ospedali pubblici e cliniche dove la laurea in medicina è stata importante per fare carriera e per ottenere posizioni di rilievo. Tutte queste attività di ricerca hanno portato a numerose scoperte e, naturalmente, a pubblicazioni scientifiche. Purtroppo, come a volte capita, le università sono finanziate sotto molti aspetti in modo discutibile. Oggi come oggi, la ricerca, ma anche lo stipendio dei professori, è sovvenzionata dai consigli di ricerca e dall’industria. Tuttavia, la mia sensazione è che la Svezia sia ancora oggi uno dei principali Paesi nell’ambito della ricerca sui biomateriali, e non solo per i risultati nel settore dell’implantologia.

 

Che beneficio ha tratto l’odontoiatria dalla ricerca sui?

Oggi impieghiamo biomateriali in ogni aspetto dell’odontoiatria quotidiana: otturazione dei denti e dei canali radicolari, corone e ponti, cementi, staffe e «wires», impianti e sostituti ossei sono possibili grazie ai nuovi materiali. Naturalmente, in questo ambito, la ricerca, multidisciplinare, è della massima importanza. Abbiamo visto numerosi sviluppi nel corso degli anni, non solo per quanto riguarda le otturazioni. Quando ero studente, l’amalgama e il silicato erano gli unici materiali di riempimento che oggi, 30 anni più tardi, non vengono più utilizzati. L’uso di metalli di memoria negli apparecchi ortodontici è un altro buon esempio del successo della ricerca interdisciplinare, così come quella sugli impianti osteointegrati i cui risultati clinici sono oggi più prevedibili. Tra il 1965 e il 1970, quando il prof. Brånemark eseguiva i primi trattamenti, il tasso di sopravvivenza di un impianto posizionato su una mandibola edentula era del 50%. Oggi, ci sorprenderemmo di perdere un solo impianto in una mandibola edentula: più in generale, i moderni studi di follow-up clinico mostrano un tasso di insuccesso intorno al 2%.

Quali sono le sfide future in questo settore?

Innanzitutto, rendere il trattamento implantare accessibile a tutti i pazienti. Questa è una sfida sia per i produttori, sia per i fornitori di terapia implantare, dentisti e odontotecnici. Da un punto di vista biologico, invece, il problema dell’aumento osseo è un aspetto che necessita ancora di ricerca: spero che in futuro si rendano disponibili materiali e procedure per realizzare in modo più semplice e prevedibile la ricostruzione delle parti mancanti.

Come sarà invece, più in generale, l’odontoiatra nei prossimi anni?

L’odontoiatria si sta trasformando in un mercato orientato al cliente. I pazienti saranno sempre più consapevoli della sicurezza e della prognosi delle procedure che utilizziamo e dei loro costi. Non è più come un tempo, quando il medico decideva cosa fare, senza consultare il paziente, per poi presentare il conto dei trattamenti eseguiti. Le parole «in codice» dovranno essere fruibili e accessibili a tutti. Questo significa che dovremo basare il concetto di salute e di cure dentali solo su prove scientifiche e di sicurezza a lungo termine.

Cosa consiglia ai giovani odontoiatri italiani e a quelli di mezza età?

La formazione odontoiatrica in Italia oggi è basata più sulla teoria che sulla pratica. Pertanto, il mio consiglio al giovane dentista italiano è quello di trovare un collega esperto che possa fargli da supervisore. Anche lavorare all’interno di un gruppo dove è possibile discutere i casi e le difficoltà con altri colleghi è molto utile, così come formarsi su tutti gli aspetti dell’odontoiatria, sui materiali disponibili e sulle nuove procedure. Dopo qualche anno di lavoro come odontoiatra generalista, può essere tempo di pensare a una specializzazione, proprio come ho fatto io. Ai colleghi italiani esperti, invece, raccomando dunque di prendersi cura dei giovani odontoiatri, soprattutto nei primi anni della loro professione.

Prof. Sennerby, per concludere, se non avesse intrapreso la carriera che l’ha portata sin qui, cos’altro le sarebbe piaciuto fare nella vita?

Da bambino ero molto interessato all’archeologia, passavo molto tempo nel museo locale. Appena trovavo anche solo un chiodo arrugginito per terra mi recavo subito al museo con la speranza di aver trovato qualcosa di importante, un reperto dell’età della pietra. «Probabilmente risale agli inizi degli anni ‘60» mi dicevano. Eravamo nel 1968. Io e un amico fondammo anche un club di etnologia da quanto eravamo interessati alla storia romana e italiana. Ricordo che scrivemmo anche un saggio sugli Etruschi. Da una prospettiva freudiana, penso che questo possa essere il motivo per cui trascorro così tanto tempo in Italia. In un modo o nell’altro ho scelto comunque il mondo della ricerca. Se dovessi cambiare carriera, oggi probabilmente lavorerei nel settore del cibo e del vino per trovare e provare nuove ricette: d’altronde, non è anche questa ricerca?

Dalla Svezia, una ricetta per l’odontoiatria - Ultima modifica: 2010-06-01T14:12:32+00:00 da marinagaravaglia

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