Articaina vs lidocaica

Da quando Horace Wells nel 1844 scoprì gli effetti dell’inalazione del protossido d’azoto, il mondo dell’Odontoiatria, così come il resto dei rami della Medicina, si è concentrato su come realizzare trattamenti completamente indolori.

Oggigiorno, anche se la scienza in questo campo è molto progredita, risulta ancora attuale la discussione su ciò che si ricerca con un’anestesia e, in particolare, su che tecnica e quale principio attivo utilizzare in ogni paziente e in ogni situazione. Questo articolo cercherà dunque di fornire risposte a queste domande tramite una revisione sistematica della letteratura basata sull’evidenza scientifica.

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La tipologia di anestesia maggiormente utilizzata nel campo dell’Odontoiatria è l’anestesia locale; tuttavia non dobbiamo dimenticare che esistono tre tipi di anestesia secondo l’area anestetizzata che riassumiamo brevemente qui di seguito.

L’anestesia generale consiste in una perdita della coscienza totale e controllata del paziente durante l’intervento. Il ricorso a questa tecnica in ambito odontoiatrico è indicato nei casi in cui la collaborazione con il paziente risulti limitata o assente, oppure quando si tratti di un soggetto a rischio e debba quindi essere trattato in condizioni di massima sicurezza1. In questi casi l’odontoiatra deve considerare questo tipo di anestesia, ovviamente praticata da un medico anestesista e in un ambiente ospedaliero.

L’anestesia regionale inibisce una regione del corpo, normalmente la metà inferiore. Anche questa tecnica deve essere utilizzata soltanto da un anestesista e, in questo caso, non ci sono indicazioni nel nostro campo.

L’anestesia locale è certamente la più impiegata nell’ambito della pratica odontoiatrica quotidiana.

Da un punto di vista chimico sono utilizzate delle basi deboli che hanno una tipica molecola costituita principalmente da due strutture: una lipofila (anello aromatico) e un’altra idrofila (ammina terziaria o secondaria), unite da una catena intermedia che può essere tipo estere o ammide2,3. La parte amminica dell’anestetico gli permette di attraversare le barriere lipidiche. L’anello aromatico o porzione lipofila condiziona la diffusione e l’unione alle proteine che ha l’anestetico locale: questo condizionerà a sua volta la durata dell’effetto. Senza dubbio la parte chimica più importante degli anestetici locali è la catena intermedia, che ci permette di dividere gli anestetici locali in due tipi: ammidi ed esteri.

Il meccanismo di azione di entrambi i tipi si basa sul diminuire la permeabilità dei canali sodio presenti nelle fibre nervose e inibire quindi i potenziali d’azione che si creano in questi canali che sono alla base della trasmissione nervosa4.  Sono stati scoperti differenti tipi di canali del sodio4. Uno di questi in particolare, quello resistente alla tetrodotoxina (TTX), gioca un ruolo molto importante nel meccanismo d’azione degli anestetici e la sua attività aumenta con il crescere della prostaglandina E2. Questi canali sono significativamente meno sensibili (-25%) alla lidocaina e la loro presenza è la seconda causa di mancato effetto anestetico nei tessuti infiammati, preceduta solo dalla diminuzione del pH4,5. Quanto detto in precedenza ci riconduce a pensare se sia realmente utile l’uso di antinfiammatori non steroidei per ridurre l’infiammazione nella zona e quindi potenziare l’effetto anestetico riducendo l’azione del canale relazionato con la prostaglandina4-7.

I fattori che condizionano il grado di penetrazione e la durata degli anestetici locali sono dunque: PH del tessuto, pKa del farmaco, il tempo di diffusione, la morfologia del nervo, la concentrazione del farmaco e la sua liposolubilità8.  In quanto al grado di penetrazione dell’anestetico, i fattori più importanti sono il pH del tessuto e la pKa del principio attivo. In quanto alla farmacocinetica, l’assorbimento degli anestetici locali dipende dal luogo di somministrazione (più lento nelle zone grasse e più rapido in quelle vascolarizzate), dalla dose, dalla concentrazione utilizzata, dalle caratteristiche chimico-fisiche della sostanza, il pH della dissoluzione e la pKa dell’anestetico. Uno dei fattori più importanti per l’assorbimento dell’anestetico è l’uso o meno di vasocostrittore. Il suo impiego presenta grandi vantaggi: diminuisce le possibilità di reazioni sistemiche, in quanto limita la sua diffusione nel torrente sanguineo, aumenta la durata dell’effetto, evita l’assorbimento e riduce il sanguinamento, facilitando così l’intervento. Bisogna d’altra parte prestare attenzione all’utilizzo di vasocostrittori soprattutto ad alte dosi, nei pazienti diabetici, ipertesi, cardiopatici, gestanti ecc. La distribuzione del farmaco è condizionata dal coefficiente di solubilità e dal grado di unione alle proteine plasmatiche che possiede l’anestetico. Se il grado di unione è basso e la solubilità alta, il farmaco si distribuirà meglio ai tessuti e avrà una minore concentrazione plasmatica. In quanto al metabolismo, dipende totalmente dal tipo di anestetico. Gli esteri sono metabolizzati nel plasma dalla pseudocolinesterasi plasmatica. Le amine si degradano nel fegato e si eliminano tramite urina a una velocità che dipende dal pH dell’urina (più l’urina è alcalina più l’eliminazione sarà lenta) e una piccola parte con le feci9. Il passo successivo è come veicolare l’anestetico nella zona dove deve agire. Qui entrano in gioco le tecniche di anestesia locale. Come primo metodo per far “arrivare” l’anestesia dove vogliamo che agisca, descriveremo l’anestesia topica superficiale. Si tratta dell’applicazione di una sostanza anestetica dissolta in un gel o una crema direttamente sulla pelle o sulla mucosa. La sua efficacia ha una grande componente psicologica. Allo stesso modo l’uso di aghi fini e di metodi di distrazione possono essere più efficaci dell’uso dell’anestetico topico stesso. Inoltre, la mucosa ha un grande potere di assorbimento e bisogna fare attenzione all’eventuale reazione tossica che si può scatenare anche con l’utilizzo di una blanda anestesia e di corta durata.

Un’altra tecnica è l’anestesia plessica che viene effettuata con una siringa iniettando l’anestetico attraverso un ago10. Si applica all’altezza dell’organo (nel nostro caso il dente) che dobbiamo anestetizzare e in questo modo conseguiremo un’anestesia “comoda” per permetterci di realizzare i nostri interventi senza che si diffonda a tessuti che non abbiamo interesse ad anestetizzare. In funzione della zona in concreto dove applichiamo l’iniezione, l’anestesia infiltrativa si suddivide in vari tipi: periapicale, subperiostea, intraligamentosa e intraossea. La tecnica periapicale è quella più utilizzata: si applica nel fondo del vestibolo, all’altezza dell’apice dentario; con questa anestesia si consegue un’anestesia pulpare efficace – oltre che ossea, periostea, legamentosa (PDL) e della mucosa vestibolare – ed è utilizzata in procedimenti di routine nel mascellare superiore. Nella tecnica subperiostea si realizza un’iniezione verso la corticale vestibolare dell’osso e si attraversa il periostio. Successivamente, si inietta lentamente l’anestetico. È un’anestesia efficace però molto dolorosa, per questo a oggi è in disuso.  La tecnica intraligamentosa è un’anestesia molto importante: si tratta di iniettare direttamente nel legamento parodontale l’anestetico, fra il dente e l’osso. Sono stati descritti eventi di diffusione di infezioni parodontali con l’uso di quest’anestesia, quindi sarebbe conveniente utilizzarla con siringhe speciali per questa tecnica che controllano la pressione dell’iniezione e la dose come raccomandato da Kaufman28.

L’anestesia intraossea si realizza perforando dapprima l’osso con una fresa per creare un accesso attraverso il quale effettuare l’anestesia. Questa tecnica non presenta nessun vantaggio rispetto a quelle precedentemente descritte ed è molto invasiva. Si potrebbe giustificare il suo uso soltanto nei casi di pulpite irreversibile nel primo molare inferiore, quando non abbiamo altre possibilità29. Nei trattamenti di endodonzia, dove è difficile ottenere una corretta anestesia del dente, possiamo realizzare un’iniezione intrapulpare che agisce direttamente nella polpa del dente; questa tecnica ci fornisce un’anestesia di corta durata però efficace per poter terminare di rimuovere il tessuto pulpare.  L’anestesia tronculare si differenzia da quella plessica in quanto si anestetizza un tronco nervoso in una sede a monte delle ramificazioni che innervano la zona su cui poi si andrà a intervenire. La regione buccale è innervata da due rami del nervo trigemino, il secondo e il terzo. Il terzo ramo del trigemino è solito essere suscettibile a questo tipo di anestesia, in particolare anestetizzando il nervo mandibolare e linguale a livello della spina dello spix. Nel mascellare, soltanto in condizioni eccezionali, è utilizzata un’anestesia tronculare che consiste nell’iniezione di anestetico dietro alla tuberosità mascellare verso la fossa pterigoidea. Inoltre, consideriamo l’anestesia tronculare del nervo infraorbitario che possiamo realizzare per via transcutanea o intra-buccale, anche se non sono tecniche a oggi molto utilizzate.

A livello mandibolare alcuni Autori mettono in discussione l’uso indiscriminato della tecnica tronculare per molti trattamenti nel settore inferiore, dovuto al fatto che tale tecnica ha un’alta percentuale di insuccesso data dalla difficoltà di localizzazione del nervo e presenta la possibilità di innervazione secondaria11.  Senza dubbio, a meno di avere la necessità di trattare vari denti in una stessa emiarcata inferiore, si conclude che se si tratta di premolari l’anestesia routinaria sarà mentoniera (nel foro d’uscità del nervo mentoniero, orientativamente nella mandibola a livello dell’osso fra la radice del primo e del secondo premolare).  Se i denti da trattare sono incisivi, è stato dimostrato che un’anestesia infiltrativa periapicale è la più efficace e quindi tecnica d’elezione12. Oltre a questa introduzione, necessaria per spiegare cosa sono gli anestetici e come utilizzarli, analizzeremo ora quale principio attivo impiegare a seconda del tipo di paziente e perché.

Materiali e metodi

Per la composizione di questa revisione, sono stati analizzati articoli presenti in Medline e Pubmed utilizzando i seguenti mesh term: “articaina vs lidocaina”, “anestesia locale”, “tecnica infiltrativa” e “tronculare” in lingua inglese. Sono stati selezionati articoli successivi all’anno 2002 e con alto indice di impatto. In un secondo momento sono stati inclusi articoli precedenti a questa data che per la loro importanza non potevano non essere menzionati. Sono stati selezionati articoli per argomentare quale principio attivo utilizzare come anestetico nei differenti pazienti, a seconda dei trattamenti da realizzare.

Discussione

Esistono differenti tipi di anestetici: esteri (cocaina, procaina, cloroprocaina e tetracaina) e amidi (lidocaina, articaina, mepivacaina, bupivacaina, ropivacaina e levobupivacaina).

Gli anestetici di tipo estere non sono, a oggi, utilizzati per la loro corta durata d’azione e per i molti effetti avversi. In quanto agli amidi, la lidocaina è stato il primo anestetico di questo gruppo a essere utilizzato con successo: ha un rapido onset time e una lunga durata. Il 90% si metabolizza nel fegato e la vita media varia dai 90 ai 120 minuti ed è, probabilmente, l’anestetico più utilizzato al mondo. L’articaina appartiene al gruppo degli amidi anche se possiede un gruppo estere addizionale che si metabolizza rapidamente nel plasma. Possiede una potenza e una rapidità d’azione simile a quella della lidocaina ed è il secondo anestetico più importate in competizione diretta con l’uso routinario di lidocaina. La mepivacaina, sempre del gruppo degli amidi, si differenzia per la delicata vasocostrizione che produce; ciò non rende necessario l’abbinamento alla sua composizione di epinefrina, conosciuta come adrenalina: è quindi utilizzata per pazienti a rischio vascolare dove utilizzare vasocostrittori risulterebbe pericoloso. La bupivacaina è un anestetico di tipo amide che ha una velocità d’azione più lenta degli altri, però possiede una durata maggiore; risulta utile quando utilizzato per diminuire parte dei dolori post-operatori nelle chirurgie aggressive. È più potente, anche se più tossico, della lidocaina.  Le caratteristiche che deve possedere un buon anestetico sono alta potenza, bassa tossicità, bassa tendenza a provocare effetti sistemici, alta rapidità d’azione e lunga o media durata. La maggior parte di queste sono possedute sia dalla lidocaina che dall’articaina. Questi sono, inoltre, i due anestetici più studiati e comparati in letteratura.

La lidocaina è ancora l’anestetico piu utilizzato soprattutto per la sua potenza; tuttavia in questi ultimi anni questo fattore è stato messo in discussione rispetto ad altri anestetici e, in particolare, si è cercato di capire realmente quale fosse il migliore tra lidocaina e articaina.

Vari Autori e studi difendono l’uguaglianza di entrambi gli anestetici, apportando dati scientifici nei quali si argomenta che non ci sono differenze significative nell’efficacia del controllo del dolore e nell’incidenza di reazioni avverse13,14. Uno studio in particolare ha comparato il tasso di successo dell’anestesia con un pulpometro in pazienti con pulpite irreversibile e ha osservato che non c’è una differenza significativa fra i trattati con articaina 4% 1:100.000 epinepfrina e lidocaina 2% 1:100.000 epinefrina13.  Il precedente studio ha ottenuto un risultato simile a un altro di Rosenberg et al. nel quale si sono confrontati entrambi gli anestetici senza osservare differenze statisticamente significative nella loro efficacia14. In un altro studio sull’articaina e sulla lidocaina, utilizzate in questo caso con un’anestesia intraligamentosa, furono evidenziati dati leggermente a favore dell’articaina ma tuttavia non significativi15.

In contrapposizione con i precedenti studi, altri articoli supportano una superiorità dell’articaina alla lidocaina in quanto a efficacia e capacità di diffusione16-19.

È importante fare riferimento alla quantità di superficie tissutale anestetizzata. Si è osservato che l’articaina anestetizzava un’area superiore a quella di lidocaina e mepivacaina16. Si è studiato, inoltre, la potenza dell’articaina comparata con quella della lidocaina utilizzando entrambe con anestesia plessica dopo tronculare del nervo mandibolare. I risultati hanno dimostrato una maggior percentuale di successo nel gruppo di pazienti trattati con articaina17. Robertson et al. in un altro studio riguardante l’anestesia plessica nei denti posteriori mandibolari, ricalca il maggior indice di efficacia dell’articaina nei confronti della lidocaina18.  L’articaina 4% ha un’efficacia maggiore di quella al 2%; tuttavia, essendo la seconda più che sufficiente per i nostri trattamenti, è raccomandato il suo utilizzo19.

Due meta-analisi completamente dedicate a questa comparazione articaina-lidocaina supportano gli argomenti per i quali la prima è la più efficace nel trattamento routinario dei primi molari. Inoltre, gli effetti avversi sono paragonabili e l’articaina, invece, possiede un maggior dolore post-iniezione, anche se clinicamente ininfluente20,21. A parte paragonare entrambi gli anestetici è importante parlare del ruolo che i vasocostrittori giocano nell’efficacia dell’anestetico stesso.  I vasocostrittori, oltre che ridurre il sanguinamento nel campo operatorio, migliorano la qualità dell’anestesia. Tanto nell’anestesia plessica maxillare come in quella tronculare mandibolare, alcuni studi hanno concluso che nel caso dell’articaina, a differenza della mepivacaina, è necessario l’utilizzo di un vasocostrittore come l’epinefrina conosciuta come adrenalina, con concentrazione di 1:200.000 o 1:100.000 per conseguire un’anestesia profonda efficace22.  In quanto alla concentrazione del vasocostrittore, si è concluso che l’articaina 4% con epinefrina 1:100.000 è tanto sicura quanto quella 1:200.000. Sarebbe quindi più sicuro in alcuni casi utilizzare epinefrina 1:200.000 per malattie cardiovascolari, essendo dimostrato che l’anestesia con articaina 4% ed epinefrina 1:200.000 produce meno stimolazione cardiovascolare dell’articaina 4% epinefrina 1:100.00023.
Argomento di discussione è anche la concentrazione degli anestetici. Alcuni articoli24 sostengono che non c’è differenza di tossicità fra le dosi 2% e 4% di articaina e che senza dubbio la maggior rapidità d’azione si raggiunge con quella al 4%. Altri invece sostengono che aumentando la concentrazione dell’anestetico cresce sensibilmente il rischio di parestesia a seguito dell’anestesia tronculare inferiore, anche se i motivi non sono tuttora chiari25.  Relativamente agli effetti secondari che procurano entrambi gli anestetici, si è dimostrato che l’articaina è ben tollerata, è sicura ed efficace se utilizzata come anestetico locale in odontoiatria26.
La lidocaina ha una percentuale di effetti avversi prodotti molto simile all’articaina. Questi due tipi di anestetici locali hanno un’incidenza molto bassa per quanto riguarda i casi di reazioni allergiche quando utilizzati per anestesia locale27.
Si sospetta che i pochi casi di supposta allergia possano essere dovuti ad altri allergeni.

Conclusioni

L’articaina è l’anestetico d’elezione nel trattamento odontoiatrico per la grande maggioranza degli articoli scientifici scelti; allo stesso modo la lidocaina è ancora quello più studiato e analizzato e rimane quindi un anestetico di riferimento possedendo tutte le caratteristiche ottimali richieste per un utilizzo nell’ambito dell’attività clinica quotidiana.

Entrambi gli anestetici sono considerati sicuri in ambito odontoiatrico e hanno similari effetti secondari; tuttavia l’articaina agisce più rapidamente e la sua azione è più prolungata nel tempo. L’inconveniente principale dell’articaina, a parte il maggior dolore post-iniezione (clinicamente poco influente), è una prolungata durata dell’effetto anestetico. Ciò potrebbe quindi mettere in discussione il suo utilizzo per trattamenti facili e veloci, soprattutto nei pazienti particolarmente sensibili. D’altra parte questa caratteristica risulta molto utile in trattamenti più complessi dato che una maggior durata dell’anestetico può essere un vantaggio per alleviare il dolore post-operatorio soprattutto nelle prime ore post-trattamento. 

Corrispondenza
Dottor S. Moldes
smoldes1@gmail.com

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Articaina vs lidocaica - Ultima modifica: 2014-12-12T10:49:54+00:00 da Enrico Colnaghi

1 commento

  1. Buon giorno, ho subito ieri 16.4.2018 un intervento presso uno studio dentistico per estrazione di un canino e subito dopo un impianto. Tutto è riuscito perfettamente sono state adoperete due fialette di articaina. Purtroppo dopo 2 ore circa dall’intervento mi siè gonfiata la lingua in maniera insopoortabile e sono dovuto andare al pronto soccorso per risolovere il problema con massiccia dose di cortisone che sarò costretto ad utilizzare per varie giornate.Faccio presente che ho fatto altri impianti sempre presso lo stesso studio senza aver subito nessun problema.
    In questo caso mi hanno detto che il dentista ha usato come anestetico articaina, in altri casi è stata usata la lidocaina. Cosa mi consigliate per futuri interventi? Vi ringrazio per la risposta.

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